Gente di montagna

Marco Camandona

“Marco mi ha aiutato in molte scelte e insieme abbiamo vissuto momenti che hanno segnato la vita di entrambi, per me è un secondo papà. Nella sua passione ha la capacità di vivere un sogno personale coinvolgendo ed entusiasmando molte altre persone, soprattutto giovani e giovanissimi che grazie a lui hanno scoperto il bello della montagna.”

François Cazzanelli

Sci alpinista e alpinista, con 10 Ottomila nella sua personale collezione è tra gli scalatori italiani con maggior esperienza nel campo dell’himalaysmo. Ma le qualità di Marco Camandona non si riassumono con i numeri. Umile, sempre disponibile, amante della montagna a tutto tondo. Dalle più alte montagne della Terra ha imparato il rispetto che si deve a pareti e pendii, ancor più si è innamorato delle sue genti. Da diversi anni impegnato nel sociale, ogni spedizione offre l’occasione per ritrovare vecchi amici e scoprire nuove storie, di genti e popoli della montagna. Non ha mai ambito a completare la salita di tutti e 14 gli Ottomila, ma dopo l’ultima realizzazione sul Dhaulagiri ci sta facendo un pensiero. Molti lo chiamano “maestro” per la sua instancabile attività che ha portato a galla il talento di molti giovani promesse dello sci alpinismo e dell’alpinismo.

La vita

Marco Camandona nasce il 20 dicembre 1970 ad Aosta. La sua famiglia di origine è lontana dal mondo dell’alpinismo, che invece caratterizzerà in modo marcato e indelebile la sua storia personale. Il nonno paterno di Marco fonda, nel 1927, l’Impresa Funebre Camandona che poi sarebbe passata nelle mani del padre, Giuseppe, e oggi in quelle dell’alpinista e guida alpina valdostana che porta avanti l’attività di famiglia con il supporto della moglie Barbara.

Con il padre Marco scopre il mondo della caccia e impara a muoversi tra i boschi della Valle d’Aosta. La vera passione sarebbe però arrivata solo con la maturità, verso i 18 anni. Un’età che, afferma lo stesso Marco, “oggi si direbbe troppo vecchia”. Succede dopo aver effettuato l’esame come maestro di sci alpino, disciplina di cui è stato anche atleta per il Centro Sportivo Esercito. A 24 anni poi, nel 1994, diventa aspirante guida alpina con l’ambizione di costruirsi “un’opportunità di lavoro e passione”.

Oggi Marco Camandona, oltre a essere guida alpina e maestro di sci alpino, è allenatore federale di sci alpinismo e direttore tecnico da oltre vent’anni del Millet Tour du Rutor Extrême, una delle più dure e rinomate gare su lunga distanza che lo sci alpinismo conosca. Oltre a questo è giudice per la federazione internazionale di sci alpinismo e membro del Soccorso Alpino valdostano.

Impegnato nel sociale, dal 2015 supporta un progetto umanitario in Nepal attraverso la Onlus SANONANI. Obiettivo di questa organizzazione, messa in piedi grazie alla fondamentale collaborazione di un affiatato team, è quello di aiutare bambini e famiglie che non possono offrire sostentamento a numerosi figli. L’intento è quello di creare una vera e propria casa famiglia dove chi ha bisogno possa trovare un pasto caldo, un letto e tutto il sostegno necessario.

L’alpinismo

Come anticipato la passione per l’alpinismo coinvolge Marco Camandona solo in età adulta, ma ben presto sarebbe diventata travolgente. Nel giro di una manciata di anni il suo curriculum si compie delle classiche alpine, a cui si aggiungono in breve i più impegnativi itinerari, dal Monte Bianco alle Dolomiti.

Nel 1994, grazie al talento dimostrato nei sei anni precedenti, Marco prende la decisione di iscriversi al corso per aspiranti guide alpine. Un segnale chiaro di quanto è forte la sua passione per la montagna. Qui conosce, nella veste di istruttore, Abele Blanc. Tra di loro l’intesa è immediata grazie a quei tratti caratteriali che in qualche modo li ha fatti incontrare. Per Marco la conoscenza con Abele ha segnato un punto preciso della sua vita alpinistica: con lui avrebbe scoperto l’altissima quota.

Nel 1996, appena concluso il corso guide, Abele Blanc e Adriano Favre lo invitano a prendere parte a una spedizione diretta al Manaslu. Marco accetta con entusiasmo e si prepara a vivere questa esperienza. “Non sapevo esattamente dove sarei andato e cosa avrei fatto, ma l’idea mi ha fin da subito entusiasmato”. In quell’occasione una bufera di neve e vento ferma l’ascensione di Marco a 7800 metri, mentre Abele si porta a casa la vetta. Ma questo non ha affatto demotivato il giovane, che al rientro dai mesi nepalesi è ancora più motivato e voglioso di sperimentare le sensazioni che solo l’aria rarefatta sa regalare. “Il Manaslu è stata la più grande esperienza alpinistica della mia vita, mi ha maturato alpinisticamente e soprattutto psicologicamente: saper rinunciare mi ha preparato ad affrontare con forza e intelligenza le spedizioni successive.

Marco ci riprova nella primavera del 1998. Questa volta l’obiettivo è ancora più ambizioso: concatenare Shisha Pangma e Cho Oyu con un tentativo di ascensione in velocità. Con lui ci sono Abele Blanc e Waldemar Niclevic. I tre sono intenzionati a realizzare le salite in puro stile alpino, senza ossigeno e utilizzando solo due campi. Risultato? Il 14 maggio raggiungono la vetta dello Shisha Pangma. 9 giorni dopo, il 23 maggio, sono in cima al Cho Oyu.

Il 2000 accoglie Camandona con un progetto ancora più ambizioso: K2. Prima nessun valdostano è mai riuscito a mettere piede sulla cima della seconda montagna della Terra. Con lui l’ormai affiata cordata che si è formata nel 1998. La vetta arriva il 29 luglio “è stato un momento entusiasmante anche se la stanchezza e la mancanza d’ossigeno mi avevano offuscato la lucidità. Di quei momenti e degli attimi che li hanno preceduti ho solamente dei flash, dei ricordi slegati e non un’immagine continua, però dentro di me ho la consapevolezza di aver realizzato il mio grande sogno”.

Nel 2003, con Adriano Favre, Abele Blanc, Christian Kuntner, Corrado Gontier, Alex Busca e Massimo Farina, effettua un tentativo alla parete sud dell’Annapurna, tra le più tecniche in Himalaya. Dopo aver lavorato per settimane sulla montagna l’intera squadra, di comune accordo, decide di ritirarsi a 400 metri dalla vetta a causa delle tempistiche che li avrebbero visti completare la salita solo a buio ormai fatto. La decisione è più che saggia. All’Annapurna sarebbe tornato nel 2005, ma questa volta la lezione della montagna sarebbe stata ben più severa di una rinuncia. A volte la montagna toglie o, meglio, prende. Si porta con se i suoi figli prediletti. Un distacco da quota settemila metri coinvolge diversi scalatori, tra cui Marco Barmasse e Abele Blanc. A Christian Kuntner va peggio e ci rimette la vita. L’incidente chiude la spedizione. Solo un anno dopo, il 12 ottobre 2006, Marco Camandona riesce a posare il suo piede sulla cima dell’Annapurna, salendo per il versante nord. Sono le 12.30 e lui è solo a 8091 metri. “Senza Abele e senza Christian, dopo tanti sacrifici non è così che l’avevo immaginato. la solitudine in quegli attimi è paurosa”.

Nel 2010, insieme ad Abele Blanc, Silvio Mondinelli e Michele Enzio, Camandona decide di affrontare la nord dell’Everest. “Non è mai stata nei miei programmi alpinistici, ma sicuramente essendo la montagna più alta del globo ha sempre suscitato un non so che di affascinante nei miei sogni”. Un sogno raggiunto tra la nebbia e sotto la neve che cade copiosa.

Salite prima e seconda vetta della terra, non rimane che cimentarsi con la terza. Così, nel 2014, ecco che Marco si affaccia al Kangchenjunga. La spedizione di cui fa parte è eterogenea, con alpinisti giovani e altri ormai veterani dell’Himalaya: Emik Favre, François Cazzanelli, Marco Confortola e Franco Nicolini. Camandona è l’unico a raggiungere la vetta, il 18 maggio.

Il 23 maggio 2016 troviamo Marco in cima al Makalu, con lui l’amico Marco Confortola. Nel 2018 torna nuovamente all’Everest, questa volta per il versante nepalese. Con lui si trova François Cazzanelli. Entrambi si trovano in spedizione nella duplice veste di alpinisti e guide, accompagnando l’astronauta Maurizio Cheli (con Camandona) e l’imprenditore Sergio Cirio (con Cazzanelli). Alla fine Cirio rinuncia alla sua salita, a causa di un imprevisto: “uno Sherpa che doveva portare delle bombole di ossigeno essendo stato male ha ritardato l’arrivo al Campo 4 rispetto agli orari stabili per la salita alla vetta”. La mancanza di bombole (le due guide salivano con ossigeno per poter svolgere al meglio la loro attività nei confronti del cliente) ha portato una squadra a dover desistere dalla salita. Insieme alla rinuncia di Cirio Camandona sceglie di cedere il passo al giovane Cazzanelli, che si trova per la prima volta di fronte alla possibilità di giungere in cima all’Everest. Pochi giorno dopo questi fatti Camandona e Cazzanelli si uniscono in cordata e insieme, senza utilizzo di bombole d’ossigeno, raggiungono la vetta del vicino Lhotse.

Nuovo anno, nuova spedizione. Nell’autunno 2019 Marco parte alla volta del Manaslu insieme a François Cazzanelli, Emrik Favre, Francesco Ratti e Andreas Steindl. La salita avviene per la via normale e tutti i componenti del gruppo raggiungono regolarmente la vetta il 26 settembre. Da segnalare l’arrivo in vetta di Camandona insieme a Cazzanelli, partito in quella stessa giornata dal campo base, che ha effettuato salita e discesa nel tempo record di 17 ore e 43 minuti.

Non c’è nove senza dieci… il detto non suona esattamente in questo modo, ma per Marco Camandona sì. Dopo un 2020 segnato dall’impossibilità a raggiungere le più alte montagne della Terra e dopo una spedizione a K2 e Broad Peak saltata, Marco torna in Himalaya nell’autunno 2021. Lo fa in sordina, senza annunci e proclami. Meta di questa nuova spedizione è la vetta del Dhaulagiri che Marco raggiunge il primo ottobre, con lui il giovane Pietro Picco alla sua prima esperienza himalayana. Con questa salita gli Ottomila messi nel cassetto sono 10 e all’appello ne mancano solo più 4: Broad Peak, Gasherbrum I, Gasherbrum II e Nanga Parbat. “Fino a oggi non ci ho mai pensato, adesso però l’idea mi stuzzica. Non ho fretta, ma penso che cercherò di concretizzare la cosa”.

Oltre a queste sono altre le salite che hanno visto Camandona protagonista di notevoli exploit sulle montagne del mondo. I piedi di marco hanno calpestano le nevi sommitali del Denali, dell’Aconcagua, dell’Elbrus, e le terre vulcaniche del Kilimangiaro, ma non solo. Nel 2012 affronta il Churen Himal (7371 m) insieme a François Cazzanelli, Emrik Favre, Alain Marguerettaz e Sete Scherpa. L’obiettivo è l’apertura di una nuova via sulla parete ovest, un itinerario di misto che avrebbe impegnato gli alpinisti su un dislivello di circa 3000 metri (tra campo base e vetta). La via realizzata porta il nome di “Princess Cecile Line” in onore dell’unica nipote femmina di Marco.

“Il ritorno è sempre un momento forte e intenso, ci si rende conto di quanto sono importanti gli affetti familiari, eppure la vita è lì, nel suo nascondere le cose più alte in mezzo al quotidiano”.

Marco Camandona

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2 Commenti

  1. Con tutto il massimo rispetto per Camandona..
    Dovete spiegarmi perché quando si parla di alpinisti italiani,nessuno è mai a caccia di record o collezioni,come fosse un disonore..
    Non fatemi credere che è salito con la forza su 10 dei 14 ottomila..
    Ci sono miriadi di 7000 e 6000 piu belli e difficili di tanti 8000..
    Però quando si tratta di italiani sono tutti puri ed immacolati..
    Tutti che salgono in stile alpino e cosi via.
    Un po meno campanilismo non guasterebbe!!!l
    Le montagne sono di tutti e non ci sono vessilli nazionali da esibire in vetta..

    1. Noi italiani siamo sempre molto vanitosi, amiamo la bella vita e non ci dispiace se qualcuno ce la permette, di solito facciamo gruppo fra simili e ci aiutiamo e nascondiamo agli altri, ma soprattutto amiamo metterci in mostra sia prima di fare qualcosa si dopo, anche se abbiamo mancato di fare ciò che dicevamo….. abbiamo alpinisti poco rappresentativi fuori da piccoli ambienti quasi sempre pieni di gente che non ci capisce niente.
      E non diciamo mai del tutto come abbiamo fatto le cose, solo se non le facciamo le raccontiamo bene e diveniamo eroi dell’umiltà.
      E si scala quasi sempre con gli stessi, raramente ci si confronta e quasi mai con stranieri.
      Va così e ci si sente liberi e felici !

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