Gente di montagna

Gianni Calcagno, una vita di avventure dalla Liguria al K2

Il fortissimo scalatore genovese fu tra i precursori delle spedizioni leggere, anche in luoghi estremi. Riposa, per sempre, in un crepaccio del Denali

“Non lo vedevo più tutti i giorni, ma per me Gianni era rimasto ugualmente un punto di riferimento, una sicurezza. Pensavo spesso: ‘C’è Gianni’. Ed era bello avere questa certezza.”

Alessandro Gogna

Tra i primi scopritori delle rocce di Finale, la “carriera” alpinistica l’ha portato in tutto il mondo. Ma in realtà Gianni Calcagno non è mai stato un professionista. Con la sua passione ha contribuito a sviluppare il concetto di avventura legato alle salite alpinistiche. Dotato di ironia tagliente ha dato esempio e stimolato molti giovani degli anni Settanta e Ottanta. Dalle Alpi Marittime la sua attività ha raggiunto le pareti del mondo, ha toccato la cima degli Ottomila e i più alti gradi di difficoltà del tempo.

La vita

Nato a Genova il 6 marzo 1943 Gianni Calcagno ha un fratello gemello, Lino. Quando ha solo 13 anni rimane orfano di padre e si trova a vivere un’infanzia complessa, tra studio e lavoro. La montagna arriva nella sua vita fin da subito, o quantomeno mostra una naturale tendenza a salire verso l’alto. A 5 anni insieme al fratello gioca sui muretti di casa mentre nel 1961, a 18 anni, si iscrive al CAI, spronato dalla nascente passione per il mondo alpino e probabilmente influenzato dalla visione del film “Italia K2”.

Gianni Calcagno muore il 16 maggio del 1992 sul Denali. Per volere della famiglia il suo corpo riposa sull’ultima montagna che l’ha accolto. Nel 1994 una spedizione di amici ha seppellito il suo corpo in un crepaccio. Alla sua scomparsa lascia la moglie, Giovanna, e una figlia, Camilla.

L’alpinismo

Il primo incontro con l’alpinismo per Gianni Calcagno è frutto dell’influenza di suo fratello Lino, che aveva frequentato un corso di alpinismo. Sono i primi anni Sessanta e dopo un paio di salite rimane folgorato da quella dimensione verticale dove sviluppa una naturalezza e un’abilità che lo portano in breve a emergere nell’ambiente degli scalatori. Dopo un breve periodo su facili difficoltà i due gemelli si portano già su quarti e quinti gradi migliorando in fretta. Tra di loro avevano anche coniato il detto “Chi non si accoppa diventa buono!”.

Nel 1963 arriva la sua prima salita sulle Alpi Marittime con i fratelli Eugenio e Gian Luigi Vaccari, poco dopo l’Argentera, per il Promontoire, da capocordata. L’anno successivo tocca alla prima apertura. In cordata con i coniugi Gianni e Margherita Pastine, traccia una nuova via sulla ovest della Punta Mafalda nelle Alpi Marittime. Nel frattempo mette a segno numerose ripetizioni, battendo a tappeto la zona delle Marittime.

Nel 1965 il panorama alpinistico si allarga da Liguria e Piemonte arrivando alla Grigna. In questo periodo lo troviamo spesso in cordata con Alessandro Gogna. “Quando arrampicavamo assieme andavamo rigorosamente a tiri alterni. E questa era una regola ferrea. Sandro era quello che s’interessava maggiormente della ricerca dei nuovi problemi e questo per una elementare ragione: io lavoravo, lui era studente, io lavoravo, lui non studiava, io lavoravo come un disperato e lui studiava alpinismo.

Sono anni che lo vedono impegnato in un alpinismo che oggi alcuni definirebbero “mordi e fuggi”. Spesso si partiva di notte, senza dormire, da Genova. Via verso la Grigna o il Monte Bianco. “Si attaccava, si colpiva, e si ritornava facendo dei viaggi allucinanti. Tutte le più grandi salite di quel periodo le abbiamo fatte così”. In questo modo sale la sud della Noire, la nord dell’Aiguille Blanche e molte altre.

Il 2 gennaio 1968 una delle sue ascensioni più importanti. In cordata con Alessandro Gogna, Camille Bournissen, Paolo Armando, Daniel Troillet e Michel Darbellay effettua la prima invernale della via Cassin alla nord-est del Pizzo Badile.

La metà degli anni Settanta segna la scoperta delle grandi montagne del mondo. Nell’agosto del 1975, con Guido Machetto, affronta la ovest del Tirich Mir. Sono solo loro due, in stile leggero. Senza bombole e senza portatori d’alta quota sui 7700 metri di questa vetta pakistana. Un’impresa nuova per il tempo, su difficoltà altissime, purtroppo incompresa per molto tempo dalle cronache. Sarebbero poi venute altre cime di seimila e settemila metri e anche gli Ottomila. Nel 1984 è sulla vetta del Broad Peak. In seguito partecipa al progetto alpinistico-scientifico “Quota 8000”, fondato e diretto da Agostino Da Polenza. Così nel 1985 parte alla volta del Pakistan e sale, nel giro di 15 giorni, Gasherbrum I e II. L’anno successivo raggiunge la cima del K2 e nel 1987 si guadagna il Nanga Parbat.

Chiusa la parentesi himalayana Calcagno torna nella sua Liguria e inanella una serie di salite tra Alpi, Appennino e Alpi Apuane. Poi vola verso ovest, prima sulle Ande dopo in nord America. Il 16 maggio del 1992 è sul Denali con l’amico Roberto Piombo. Salgono per la famosa via Cassin fin quando se la montagna se li prende per sempre.

Libri

  • La sfida agli Ottomila. Gasherbrum I, Gasherbrum II, K2, Broad Peak. Di Gianni Calcagno, Ugo Mursia Editore, 1988
  • Stile alpino. Un decennio di scalate. Di Gianni Calcagno, a cura di Marco Schenone, edito Vivalda Editori, 2018
  • Gianni Calcagno. Di Pietro Tarallo, edito Tormena, 1994
  • La pietra del Finale. Di Gianni Calcagno, Alessandro Grillo, Vittorio Simonetti, SIAG 1976
  • Giganti del Karakoram. Di Gianni Calcagno, Lorenzo Repetto, 1984, edito Microlito Editrice
  • Finale tra cielo e terra. Di Gianni Calcagno, 1998, edito Le Mani

“Gioire alla vista dell’alba, all’attesa del primo raggio di sole che viene a scaldarti le ossa, assaporare i giochi di luce e i riflessi del ghiaccio, capire di salire e vederlo dal panorama che cambia lentamente quasi ad ogni passo. E fermarsi ad attendere la sera, dividere con gli altri gioie, dubbi, timori e una scodella di brodo bollente. E gustare la notte, non così buia e carica di inquietudine come nella profondità della valle, ma limpida e chiara, con tutte le stelle del mondo che ti stanno a guardare. E rincorrere il pensiero che vaga ad esplorare ogni piega della montagna e ne torna così ingigantito da doverlo comprimere dentro per poterlo contenere ancora.”

Gianni Calcagno sull’andare in montagna.

 

Articolo scritto originariamente da Gian Luca Gasca, aggiornato dalla redazione di montagna.tv il 5 marzo 2024.

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