Alta quota

Decimo Ottomila per Marco Camandona: “Sto pensando agli altri 4”

Lo scorso 30 settembre, nel silenzio mediatico, Marco Camandona ha raggiunto la vetta del Dhaulagiri, il suo decimo Ottomila. Dopo oltre un anno di stop, imposto dalla situazione pandemica, e dopo essersi trovato impossibilitato a partire per K2 e Broad Peak lo scorso giugno, eccolo spuntare in cima alla settima montagna della Terra. “Prima di comunicarlo volevo agganciare i ramponi” commenta divertito lo scalatore valdostano. “Dopo oltre un anno a casa e dopo aver dovuto annullare la spedizione di giugno sono stato scaramantico”. Ma, in fondo, queste sono le storie che mancano nell’alpinismo di oggi, sempre più comunicativo e ricco di dichiarazioni.

In spedizione, e in vetta, con Marco la guida di Courmayeur Pietro Picco alla sua prima esperienza himalayana. Un battesimo con i fiocchi, al fianco di un “maestro” che nonostante i molti anni di attività continua a essere guida per giovani vogliosi di mettersi alla prova con sfide di ampio respiro.

Marco, com’è andata questa spedizione?

“Da quando abbiamo messo i ramponi ai piedi, tutto alla perfezione! Tutta la parte precedente è stata una vera e propria odissea. Già solo la partenza dall’Italia per Kathmandu è stata complessa, poi ci sono stati diversi problemi con il monsone, alluvioni, strade dissestate. Cuochi e aiuto cuochi non riuscivano ad arrivare. Basti pensare che siamo atterrati a Kathmandu il 30 agosto e siamo arrivati al campo base il 15 settembre.”

Come mai hai scelto di non comunicare la spedizione?

“Per tutte queste difficoltà. Stiamo vivendo un periodo in cui viaggiare è molto complesso e dopo aver dovuto annullare la spedizione per il Pakistan mi sono detto che forse avrei fatto meglio ad aspettare prima di fare proclami. Visti poi tutti i problemi incontrati mi sono reso conto di aver fatto bene.”

Anche questa volta hai portato con te un giovane, continua la tua attività di maestro?

“Ho scelto di portate Pietro e ho fatto bene, andava come una moto. (ride) Pietro è un ragazzo del nostro sci club, è nato con noi. Ha una laurea in ingegneria navale e dopo un periodo in giro per il mondo è venuto in Valle d’Aosta appassionandosi prima allo sci alpinismo e dopo alla montagna in generale. In poco tempo è diventato aspirante e  poi guida alpina. Devo dire che per essere alla sua prima esperienza himalayana su un Ottomila si è comportato molto bene, ne ho visti pochi andare così forte.”

Raccontaci qualche dettaglio sulla salita, è andato tutto liscio?

“La vetta è stata un successo di squadra. Non solo mio e di Pietro, ma anche degli sherpa della Seven Summits che stavano salendo con i loro clienti. Abbiamo deciso di unire le forze, con intelligenza e astuzia, per raggiungere il comune obiettivo. Bisognava battere traccia e aprire la via verso la vetta, abbiamo condiviso questo lavoro alternandoci al comando. Alla fine ci siamo riusciti in una giornata perfetta.”

Era da qualche anno che nessuno raggiungeva la vetta del Dhaulagiri…

“Dal 2018. Noi siamo riusciti unendo le forze. Ci siamo fidati l’uno dell’altro.”

Ora ti mancano solo 4 Ottomila per completare la collezione, ci stai pensando?

“Se i miei ragazzi mi danno una mano nei prossimi anni ne vedremo delle belle.

Sono onesto, non ci ho mai pensato fino a oggi. Adesso però l’idea mi stuzzica. Non ho fretta, ma penso che cercherò di concretizzare la cosa. Se i ragazzi mi danno una mano ce la farò. Adesso molti di loro sono partiti per la loro spedizione (Cazzanelli, Favre, Ratti, Perruquet, Bovard, nda) e un po’ vorrei essere là con loro.”

Lo faresti per il record?

“No. Avrebbero un valore personale, storico. Sarebbe il piacere di aver conosciuto queste 14 montagne. Rappresenta un modo per dare un senso alla mia conoscenza geografica, storica e culturale delle montagne del mondo.”

Frequenti le più alte vette della Terra da oltre vent’anni. Come sono cambiate negli anni?

“Sono cambiate tantissimo, sotto diversi punti di vista. Negli ultimi 5 o 6 anni soprattutto. La prima cosa che mi viene in mente è la comunicazione. Oggi dal campo base posso mandare foto ed essere in contatto costante con casa. Qualche anno fa, al tempo della mia prima spedizione, ricordo di essere arrivato a Kathmandu e aver fatto una chiamata a mio padre per dirgli che tutto stava andando bene. La comunicazione successiva sarebbe arrivata solo 46 giorni dopo, per dirgli che ero vivo, che non avevo raggiunto la vetta e che stavo tornando a casa. Oggi tutto è immediato, è straordinario.”

Le montagne invece?

“I cambiamenti climatici hanno influito anche sulle più alte cime della Terra. Sono cambiati i periodi in cui approcciarle. Ricordo che in autunno pensare di raggiungere una vetta prima del 10 ottobre era praticamente impossibile. Ora dal 26 settembre in avanti puoi tentare il Manaslu. Noi abbiamo fatto il 30 il Dhaulagiri e la data ultima sarebbe stata quella del 4 ottobre. Anche al Nanga Parbat sono cambiati i tempi. Un tempo era una vetta da provare a luglio o agosto, adesso a giugno.”

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2 Commenti

  1. Sul fatto che sia un grandissimo alpinista siamo tutti d accordo..
    Non capisco perché quando alla caccia di record ci vanno gli Italiani,li apprezziamo sempre e cmq..
    Quando i cacciatori di 8000 non sono alpinisti nostrani scattano le critiche sull etica,su chi ha battuto la traccia etc etc..

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