Montagne

Kangchenjunga

Posto all’estremo est della catena himalayana il Kangchenjunga, alto 8586 metri, è l’Ottomila più orientale. Gigante sconosciuto, di lui si parla sempre poco anche se negli ultimi anni stanno numericamente aumentando le spedizioni che assediano la montagna nella speranza di raggiungerne la vetta.

Posta al confine tra Nepal e Sikkim, rappresenta anche la più alta montagna dell’India. Per un discreto periodo di tempo è stata considerata la più alta montagna della Terra, questo almeno fino al 1849 quando l’ipotesi viene smentita dalle misurazioni del Great Trigonometrical Survey of India che hanno identificato Peak XV (futuro Everest) come cima più elevata al mondo. Solo nel 1856 è stato poi appurato in modo definitivo come il Kangchenjunga sia la terza vetta per elevazione.

Chiamato ufficialmente Kangchenjunga, secondo quanto riportato dalla Royal Geographical Society, il monte viene a volte citato come Kanchenjunga, Khangchendzonga o Kangchendzönga. In ogni caso il suo nome ricalca in modo abbastanza fedele quello locale di Kanchinjínga, termine tibetano nato dall’unione delle parole gangs – neve e ghiaccio –, chen – grande –, mzod – tesoro – e inga – cinque –. Dalla summa di questi termini nasce il toponimo che significherebbe: i cinque tesori della neve alta.

Geografia

La geografia del Kangchenjunga è estremamente complessa con picchi e creste che vanno a formare un enorme massiccio montuoso costituito da cinque vette. Da nord a sud queste sono: Cima Principale (8586 m), Cima Ovest (8505 m), Cima Centrale (8482 m), Cima Sud (8476 m), Kangbachen (7902 m).

Particolare è la cresta sommitale, che si estende da nord-ovest a sud-est, per una lunghezza di 1,5 chilometri. Lungo questa si incontrano Cima Principale, Cima Centrale e Cima Sud. Dalla Cima Principale si dipartono altre due creste: la ovest, che porta all’omonima cima e al Kangbachen; la nord, che raggiunge il colle nord da cui prosegue un’altra cresta diretta a est. Dalla Cima Sud si snodano invece le creste sud-ovest e sud-est.

Questo complesso sistema di creste genera quattro pareti, due nepalesi e due indiane. In Nepal si trovano la parete nord-ovest, che affaccia sul ghiacciaio Kangchenjunga e sul Ramtang, e la sud-ovest, che si affaccia sul ghiacciaio Yalung. In India sono invece localizzate le pareti nord-est, che guarda al ghiacciaio Zemu, e quella sud-est, che affaccia sul ghiacciaio Talung.

Storia

Fin dalla metà dell’Ottocento gli occidentali iniziarono a osservare la sagoma del Kangchenjunga. Uno dei primi fu il botanico inglese Joseph Dalton Hooker. Per qualche tempo visse a Darjeeling esplorando la regione del Sikkim per studiarne la flora. Nel 1855 poi si recò nella zona l’esploratore tedesco Hermann Schlagintweit, intenzionato a raggiungere le pendici della montagna. A bloccarlo fu il conflitto nepalese-tibetano, ma nonostante questo riuscì comunque a fare alcune salite esplorative che gli permisero di osservare il massiccio del Kangchenjunga, dipingendolo.

Il primo a scalare nella zona della terza montagna del Pianeta fu l’avvocato e alpinista inglese William Woodman Graham, celebre per essere stato il primo occidentale a guidare una spedizione alpinistica in Himalaya. Con lui si trovavano anche due alpinisti svizzeri, Emil Boss e Ulrich Kauffmann, insieme si mossero sul monte Kabru, cima di circa 7400 metri localizzata lungo una cresta che si diparte dal lato meridionale del Kangchenjunga. Non riuscirono a raggiungere la vetta ma stabilirono, con buona probabilità, il nuovo record di altezza del periodo.

Tra la fine del 1885 e il gennaio del 1886 si mosse, sugli inesplorati versanti nord e ovest del massiccio, un nativo della zona: il surveyor Rinzin Namgyal. Il suo lavoro fu utile per approfondire la conoscenza dell’area oltre che per definire con maggior precisione il confine tra India e Nepal.

Un’altra spedizione, questa volta guidata dall’inglese Douglas William Freshfield, si recò al Kangchenjunga nel 1899 con l’intenzione di effettuarne il periplo completo. Del gruppo facevano parte, tra gli altri, i fratelli italiani Vittorio ed Emilio Sella e la guida Angelo Maquignaz. Furono i primi a esaminare con attenzione i diversi versanti della montagna.

Il primo serio e concreto tentativo di salita risale al 1905 quando alle pendici del Kangchenjunga si presentò una piccola spedizione guidata da Aleister Crowley, di cui facevano parte Jules Jacot-Guillarmod, Charles Reymond, Alexis Pache e l’italiano Rigo de Righi. Gli uomini tentarono una salita autunnale dal versante sud-ovest, riuscendo di certo a superare i 6000 metri di quota, probabilmente toccarono i 6500 metri, anche se l’esatta altezza raggiunta non è certa. La spedizione venne chiusa nei primi giorni di settembre quando, durante il rientro a campo base, Alexis Pache e tre portatori d’alta quota vennero travolti e uccisi da una valanga.

Passarono 24 anni prima che una nuova spedizione si affacciasse alla montagna con l’intenzione di raggiungerne la cima. Fu Paul Bauer, futura medaglia d’oro olimpica per la letteratura e alpinista di grande talento, a guidare gli alpinisti che nel 1929 riuscirono a raggiungere i 7400 metri di quota lungo lo sperone nord-est. A impedirgli di proseguire verso l’alto fu la meteo, divenuta instabile. Nel maggio dello anno ci provò l’americano Edgar Francis Farmer, da solo con portatori locali che ben presto rifiutarono di proseguire verso la montagna. Decise così di andare avanti in solitaria, non fece mai ritorno.

Günter Dyhrenfurth, medaglia d’oro olimpica per l’alpinismo nel 1936, ci provò nel 1939 con una spedizione tedesco-austriaca-inglese composta da Uli Wieland, Erwin Schneider e Frank Smythe. Un gruppo di primordine che purtroppo non riuscì a fare molto per colpa delle pessime condizioni meteo.

Nel 1931 ecco di nuovo Paul Bauer, questa volta lungo lo sperone nord-orientale. Una spedizione tragica tra maltempo, problemi di salute e morti.

Un ultimo tentativo, prima di quello decisivo, venne messo a punto nel 1954 da John Kempe. Gli alpinisti si mossero in questo caso lungo la parete sud-ovest, lo stesso già indagato da Crowley nel 1905.

La prima salita

Nella primavera del 1955, facendo tesoro delle osservazioni riportate dagli alpinisti che si mossero sulla montagna nel corso della stagione precedente, una nuova spedizione inglese si portò sotto al versante sud-ovest del Kangchenjunga. Fissato il campo base sul ghiacciaio Yalung, gli scalatori iniziarono a muoversi sull’enorme parete, alta circa 3000 metri. Fu necessario allestire 6 campi prima di poter portare avanti il tentativo di vetta che vide Joe Brown e George Band raggiungere per primi gli 8586 metri della montagna, il 25 maggio. Norman Hardie e Tony Streathe li avrebbero poi seguiti il giorno seguente.

Prima salita invernale

I primi a immaginare una possibile salita invernale furono i polacchi nella stagione 1985-1986. Al tempo erano gli unici, o quasi, a essere interessati a questo tipo di alpinismo che poco e nulla aveva a che fare con quello primaverile o estivo sui giganti himalayani.

Fu una stagione complessa per la squadra di alpinisti guidati da Andrzej Machnik. La montagna era presa di mira dalle violente tempeste invernali. Nonostante questi i ragazzi riuscirono comunque a muoversi sulla montagna arrivando a fissare il quarto campo a circa 7800 metri. Una quota da cui sarebbe stato possibile attaccare la vetta. Per il tentativo decisivo si mossero in quattro. Jerzy Kukuczka e Krzysztof Wielicki in testa, Andrzej Czok e Przemek Piasecki a seguire. I primi due raggiunsero regolarmente la vetta, nel freddo penetrante, l’11 gennaio 1986 mentre i compagni erano impegnati in un terribile discesa. Czok, storico nome dell’himalaysmo polacco, era stato colpito dai sintomi acuti del mal di montagna. Doveva scendere in fretta ed essere sottoposto a cure mediche. I compagni ci provarono in tutti i modi, ma alla fine l’esito fu negativo e Czok perse la vita.

Vie alpinistiche

La principale via (normale) di salita al Kangchenjunga è quella seguita dai primi salitori nel 1955, lungo la parete sud-ovest. Nel corso del tempo sono poi stati aperti numerosi, per una montagna un tempo poco frequentata, altri itinerari sui vari versanti e diretti alle varie cime del massiccio.

  • 1977 – Major Prem Chand e Nima Dorjee Sherpa, membri della spedizione guidata dal colonnello Narinder Kumar, effettuano la seconda salita alla Cima Principale aprendo un nuovo tracciato lungo lo sperone est e la cresta nord.
  • 1978 – I polacchi Eugeniusz Chrobak e Wojciech Wroz realizzano la prima salita della Cima Sud salendo lungo la via normale fino al Great Shelf, il grande altipiano presente nella parte alta della montagna, e da qui aprendo un nuovo percorso che raggiunge la vetta. Comunemente chiamata Via Polacca.
  • 1979 – Nuova via sulla parete nord-ovest, nella parte sinistra, aperta da Doug Scott, Peter Boardman e Joe Tasker.
  • 1980 – Un team giapponese viola per la prima volta la parete nord-ovest raggiungendo la cima principale. Via Giapponese.
  • 1982 – Reinhold Messner, con Friedl Mutschlechner e Ang Dorje, apre una variante alla cresta nord. Salita senza uso di bombole d’ossigeno.
  • 1985 – Lungo la parete nord-ovest viene aperta una via diretta alla Cima Ovest. Gli apritori sono Tomo Česen e Borut Bergant che purtroppo perderà la vita in discesa.
  • 1989 – I russi fanno incetta di nuovi itinerari. Prima M. Turkevich, V. Pastukh, R. Khaibullin e S. Bershov raggiungono la Cima Sud per un nuovo itinerario che corre a destra rispetto al precedente; poi Anatolij Bukreev, V. Khrichthaty, V. Balyberdin e S. Arsentiev aprono una variante alla cima centrale dal terzo campo della normale. Un’altra variante viene aperta a partire dal campo 5.
  • 1991 – Gli sloveni Marko Prezelj and Andrej Stremfelj salgono la Cima Sud del Kangchenjunga percorrendo la cresta sud-ovest. Realizzazione premiata con il Piolet d’Or (prima edizione del premio).

Salite degne di nota

  • 1983 – Pierre Beghin realizza la prima salita in solitaria del Kangchenjunga. Senza uso di bombole d’ossigeno.
  • 1989 – Due team russi, di cui fa parte anche Anatolij Bukreev, realizzano la prima traversata di tutte le cime del Kangchenjunga sopra gli ottomila metri, dalla Ovest alla Sud e viceversa
  • 1998 – Ginette Harrison è la prima donna in vetta l Kangchenjunga. Salita per la parete nord-ovest.
  • 2014 – L’alpinista bulgaro Boyan Petrov raggiunge la vetta del Kangchenjunga. Particolare di questa salita è che Petrov soffre di diabete.

Altri eventi storici importanti

Meno mortale di altri Ottomila, il Kangchenjunga ha comunque in archivio una lunga lista di incidenti fatali. Alcuni alpinisti sono morti nei pressi della vetta, la maggior parte dopo averla raggiunti. Altri ancora sfiniti dalle condizioni meteo.

Tra i casi più emblematici la scomparsa, nel 1991, degli sloveni Marija Frantar e Joze Rozman i cui corpi sono stati ritrovati poco sotto la vetta. Puntavano a realizzare la prima salita femminile alla montagna. Nel 1992 poi la scomparsa di Wanda Rutkiewicz durante una tempesta. Nel 1995 quella di Benoît Chamoux e Pierre Royer insieme alla guida Sherpa nei pressi della vetta. L’ultimo incidente notevole risale al 2013 quando cinque alpinisti sono scomparsi durante la discesa, dopo aver raggiunto con successo la Cima Principale.

Basandoci su meri dati statistici, dai primi anni Novanta a oggi il 20% degli alpinisti che hanno tentato al terza montagna della Terra sono morti su di essa.

Guida al Kangchenjunga

Raggiungere il Kangchenjunga non è certo un viaggio per tutti. Serve un ottimo spirito di adattamento, un piede stabile e voglia di vivere una vera e propria avventura.

La prima cosa da fare per avvicinarsi alla montagna è volare su Kathmandu, capitale del Nepal. Da qui con un volo interno ci si sposta a Bhadrapur (circa 45 min) e si prosegue in jeep fino a Taplejung (circa 12 ore). Quindi inizia il trekking che in circa 8 giorni, comprendendo una necessaria pausa di acclimatamento, vi poterà al campo base del Kangchenjunga, sotto la sua parete nord.

Per poter accedere all’area dal Kangchenjunga è necessario pagare il permesso di trekking a pochi dollari. Diverso è invece per chi volesse scalare la montagna, che deve necessariamente avere il permesso di salita, a un costo maggiore.

È possibile organizzare il trekking in autonomia, in alternativa è consigliabile rivolgersi ad agenzie specializzate in questo tipo di attività. Ne esistono molte sia in loco che in Italia.

Curiosità

La tradizione vuole che l’area del Kangchenjunga sia dimora di una divinità chiamata Dzö-nga. Una creatura simile a uno yeti o a un Rākṣasa, una bestia dal regno delle tenebre.

Altre storie parlano invece di una valle dell’immortalità che si troverebbe attorno alla montagna. In tibetano questa valle viene chiamata Beyul Demoshong. Nel 1962 un Lama tibetano ha guidato una spedizione alla sua ricerca, storia narrata nel libro A Step Away from Paradise.

Il Kangchenjunga nella filmografia

  • Kanchenjungha, 1962, diretto da Satyajit Ray
  • Kangchenjunga. I  cinque tesori della grande neve, 2013, di Paolo Paganin
  • Kangchenjunga, 2016, di Krystyna Rachwal

Il Kangchenjunga nei libri

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