Bike

Soul Silk, un lungo viaggio a pedali dall’Italia alla Cina. Ultima puntata: dal Pik Lenin a Kashgar

Si conclude l’avventura di Yanez Borella, maestro di snowboard e ultrarunner, e Giacomo Meneghello, fotografo di montagna, impegnati nel progetto “Soul Silk”: ripercorrere in e-bike la Via della Seta, dall’Italia alla Cina, salendo una cima per ognuno degli Stati attraversati. Un viaggio di quasi 100 giorni, oltre 10.000 km di strada e un numero incalcolabile di metri di dislivello. Il tutto trainando due carretti muniti di pannelli fotovoltaici, per ricaricare le batterie delle bici, e contenenti tutto ciò che può servire per affrontare in autosufficienza la lunga e impegnativa impresa.

La spedizione “Soul Silk”, di cui Montagna.TV è media partner, è nata dalla voglia di dimostrare che inseguire i propri sogni è possibile, basta avere il coraggio di uscire dalla propria zona di comfort e mettersi in gioco. Dimostrando che è ancora possibile vivere viaggi e avventure vere, non solo “surrogati” preparati per noi.

La partenza dall’Italia è avvenuta il 19 aprile. I due viaggiatori hanno concluso il loro viaggio raggiungendo la città cinese di Kashgar. Ecco il racconto degli ultimi giorni:

La mappa di “Soul Silk”, un lungo viaggio a pedali dall’Italia alla Cina

Dopo un saluto collettivo lasciamo il campo base del Pik Lenin, diretti nuovamente verso il villaggio di Sary Tash, a 3.100 metri di quota. Ci troviamo a percorrere per la seconda volta la strada dissestata che conduce al fondovalle, da dove finalmente riapprodiamo su una strada asfaltata fino al paese. Sarà la nostra ultima notte in Kirghizistan. È arrivato dopo tre mesi il momento di puntare alla nostra meta finale: la Cina. Circa 80 km ci separano dall’Irkeshtam Pass, dove ci attende la dogana, a una quota di quasi 3mila metri. Ottanta chilometri che si snodano tra i tipici paesaggi kirghisi. Attorno a noi pascoli, cavalli in libertà, immancabili bambini pronti a salutarci lungo la via e sullo sfondo le possenti vette innevate della catena del Pamir.

Lungo la strada incontriamo George e Ben, due ciclisti inglesi in viaggio come noi. Ci troviamo subito in sintonia e decidiamo di dirigerci insieme verso il confine cinese. L’Irkeshtam Pass ci accoglie con un paesaggio decisamente differente da quelli finora attraversati: imponenti montagne di roccia rossa e poco verde tutto intorno.
Eccoci alla prima dogana, ancora una volta con le nostre bici disperse tra file e file di camion parcheggiati. È chiaro che qui non si scherza. Al confronto, attraversare i precedenti confini è stato un gioco da ragazzi. Ci invitano a smontare le bici e ci sottopongono a una perquisizione certosina, con tanto di controllo dei cellulari e delle schede fotografiche via software. Siamo entrati in un altro mondo.

Prima di partire avevamo letto su alcuni blog che, con alta probabilità, dopo aver superato i lunghi controlli non ci sarebbe comunque stato possibile raggiungere in bici il primo paese oltre la dogana. Ciò che non potevamo immaginare è però che i nostri passaporti sarebbero stati consegnati direttamente ai tassisti incaricati di condurci all’ufficio immigrazione. Ci ritroviamo sostanzialmente obbligati a coprire così 143 chilometri, fino al secondo punto di controllo. Nuova perquisizione, nuovo interrogatorio. Per ottenere il via libera bisogna dichiarare dove si è dormito la sera precedente e in quale hotel si intenda dormire la sera a venire, e naturalmente dichiarare di possedere una prenotazione di volo di rientro entro i tempi prestabiliti dal visto. Finalmente verso sera riconquistiamo la libertà.

Il giorno successivo, riprese le bici, puntiamo assieme ai nostri compagni inglesi verso Kashgar, città storica della Via della Seta. Pochi chilometri e ci accorgiamo che i controlli non sono finiti. Anzi, forse è solo l’inizio. Nei quasi 100 km che ci separano dalla città tocca superare 8 check point, uno per ogni ingresso o uscita di paese o immissione in nuova strada. Arriviamo solo verso sera a Kashgar, snervati a dir poco. Anche qui, nel caratteristico centro della città vecchia, tra folcloristici negozietti e piccoli locali dove mangiare davvero di tutto, la presenza di telecamere e polizia militare risulta opprimente. I poliziotti indossano spesso scudo antisommossa ed elmetto, oltre alle armi. È come essere in stato di guerra. E in fondo è così.

La regione dello Xinjiang, grande quasi quanto l’Europa, rivendica da anni l’autonomia dalla Cina. Tali tensioni, sommate anche a qualche attentato, hanno portato il governo cinese, che già di per sé rappresenta solo sulla carta una repubblica, a disporre un ferreo controllo su tutti i territori. Minando di conseguenza la libertà stessa della popolazione. Per noi turisti la situazione risulta davvero complessa da affrontare. Un fatto risaputo, che ci troviamo ad affrontare, è ad esempio che i social network, Google e altri numerosi siti sono bloccati. Non è possibile utilizzare altro che i motori di ricerca cinesi.

Nei giorni seguenti affrontiamo la Karakorum Highway, la strada asfaltata più alta al mondo. Anche qui i cinesi lasciano scarsa libertà di visita del territorio: valli recintate, visita ai ghiacciai del fondovalle sottoposta a orari prestabiliti e a pagamento. Nel complesso un sistema turistico totalmente diverso da quelli incontrati lungo il cammino. Qui tutto risulta più complicato. Anche la popolazione amichevole e curiosa a cui ci eravamo abituati sembra non esistere più. Tutti presi dal loro schema di vita, per noi di difficile comprensione.

A causa del tempo perso tra controlli e deviazioni ci rendiamo conto di essere decisamente in ritardo per coprire interamente in bici i chilometri che separano Kashgar da Xian, la meta finale del nostro viaggio. Pensiamo allora a un’alternativa: affrontare alcuni tratti in treno così da attraversare rapidamente il deserto dello Xinjiang e uscire dalla regione militarizzata. Poi finalmente potremo tornare a pedalare. Acquistiamo i biglietti presso l’ufficio turistico e, in attesa di partire due giorni dopo, visitiamo un po’ il Karakorum. Una volta tornati in stazione ci attende però una sorpresa: le bici non sono ammesse sul treno. Abbiamo una sola possibilità: spedirle. Con rammarico decidiamo di rifiutare.

Il nostro voleva essere un viaggio in bici, fin dove possibile, con il proposito di andare a visitare in ogni zona i punti di nostro interesse. Trovarci costretti ad attraversare la Cina da semplici passeggeri non è certamente ciò che ci eravamo prefissati. È così che decidiamo di abbandonare il progetto iniziale e rientrare in Kirghizistan. Ripartiremo da lì per tornare a casa in aereo. Una scelta che, soprattutto a freddo, non vediamo come una resa. È semplicemente la conseguenza dell’aver compreso che quella che avevamo identificato come meta del nostro viaggio non rappresenta più “il nostro sogno”.

Anche il rientro in Kirghizistan, però, si rivela diverso dalle nostre aspettative. Abbiamo in mente di affrontare un passo diverso dalla via percorsa all’andata, così da chiudere in un certo senso un cerchio. Arriviamo in dogana di domenica, trovando gli uffici chiusi. Attendiamo fiduciosi l’indomani quando ci informano che, per affrontare il passo, serva necessariamente l’accompagnamento di una guida turistica, disponibile peraltro solo in città. Ormai allo stremo delle forze, più mentali che fisiche, decidiamo di rientrare dalla medesima via già percorsa. Varcato il confine kirghiso ci investe un senso di libertà perso da giorni. Finalmente attorno a noi ritroviamo nuovamente una popolazione accogliente e un ambiente verdeggiante. Ritrovato ad ogni modo il sorriso, ci dirigiamo all’aeroporto di Osh. È ora di tornare a casa.

Ci resta solo un rammarico: non aver potuto esplorare la Cina come sognavamo fin dall’inizio. Abbiamo preferito seguire i nostri ideali di viaggio piuttosto che scendere a compromessi.

Sono passati 99 giorni dalla nostra partenza congiunta da Mezzolombardo (TN). Abbiamo percorso in totale 9.700 km alla scoperta della Via della Seta, affrontando deserti, vette, pianure sterminate. Abbiamo conosciuto l’Oriente, nelle sue mille sfaccettature. È stato un viaggio ibrido, fatto di fatica, pazienza, avventura. Un viaggio soprattutto culturale. Vivendo sul ciglio delle strade e attraversando capillarmente i paesi toccati lungo il percorso, ci siamo ritrovati a tu per tu con gli abitanti del luogo. E abbiamo potuto cogliere gli aspetti più veri di queste terre, non solo quelli meramente turistici. La bici e le difficoltà connesse alla scelta di tale mezzo di trasporto, portano inevitabilmente a sentirti un tutt’uno con gli ambienti che attraversi. Non si ha la possibilità, nei momenti di stanchezza e sconforto, di salire in auto e tornare nella propria zona comfort, magari lontana mille miglia. Non resta altro che cercarla e trovarla lì, in quell’ambiente che in quel determinato istante rappresenta la tua “casa”.

Leggi le precedenti puntate:

  1. Dalla Marmolada alla Croazia
  2. Dalla Croazia a Istanbul
  3. Da Istanbul alla vetta dell’Erciyes
  4. Da Kayseri a Tbilisi
  5. Da Tbilisi alla vetta del Little Chimgan
  6. Dal Little Chimgan al Pik Lenin

Articoli correlati

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close