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Messaggi sulla pietra, i misteri delle coppelle

Quante volte osserviamo piccole concavità nelle rocce accanto al sentiero? A cosa servivano? Nessuno può dirlo con certezza e questo ne alimenta il fascino

L’incontro con nuove strane incisioni concave, certamente artificiali, lungo un dorso roccioso panoramico, dove lo sguardo spazia dal Bernina al fondovalle della Valtellina, dai ghiacciai ai vigneti, solleva sempre un vero rompicapo riguardo la loro origine e funzione.
Ogni volta che ci si imbatte in questi piccole concavità ricavate nella roccia ci si interroga riguardo ai motivi che spinsero i nostri antenati a incavare un numero tanto grande e geograficamente esteso di coppelle.

La “cultura” delle coppelle si perde nella notte dei tempi, risale al Mesolitico, per poi diffondersi nel Neolitico sino a raggiungere nell’Età del bronzo la massima diffusione in tutto il globo e termina con il dissolversi del modo primitivo, divino, sacro e magico di osservare il mondo.

Quel che sappiamo è che sono presenti in culture del tutto diverse e con diverse sfumature nella forma: a pianta circolare o ellittica, con sezione circolare, conica e tronco di piramide, con diametri variabili da un centimetro a oltre dieci, e profondità da mezzo centimetro a sei, sette.

Nella maggior parte dei casi le rocce su cui sono incise le coppelle sono di natura metamorfica, in particolare gneiss. Spesso si trovano su grandi massi erratici, isolate o in gruppo, a testimonianza di come anche queste pietre solitarie e aliene dal territorio circostante dovessero rivestire un particolare ruolo magico.

Cosa sono dunque? A cosa servivano? Non ci sono risposte certe, solo ipotesi, assai diverse, in molti casi persino concomitanti. Furono contenitori di olii o grassi infiammabili usati per l’illuminazione e la segnalazione lungo vie di comunicazione? Se in gruppo una volta incendiate le sostanze che contenevano potevano forse illuminare scenograficamente un rito rivolto alla sfera celeste.

Oppure semplici depressioni per rompere ghiande, noci o anche frutti di mare? Mortai dunque? Sono il risultato di piccole escavazioni per ricavarne polvere minerale impiegata per medicamenti o amuleti per richiedere protezione e, perché no, maledizione? Forse contenitori per polveri coloranti o segni di confine? Oppure dei segnavia o addirittura vere e proprie mappe del territorio? Per quanto rozze, scritte con un alfabeto a noi sconosciuto? O ancora mappe stellari e rappresentazioni del cielo notturno? O semplici giochi di svago dei pastori di ogni tempo?

Le ipotesi si inseguono, rimbalzano, da cavità votive, a espressioni sacre, da segni rituali, di sacrificio e di culto, a incisioni dal significato più banale. Segni divini o magici? Raccoglitori di sangue? O mortai per polverizzare l’amanita muscaria, per ricavare il potente allucinogeno che permetteva allo sciamano di comunicare con l’ultramondo?

In fondo è bello conservare il mistero ed accontentarci d’apprezzare la bellezza dei siti dove si incontrano le coppelle, spesso sopraelevati, ben esposti al sole ed eletti a luoghi sacri, che invitano a pensare!

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