Soul Silk, un lungo viaggio a pedali dall’Italia alla Cina. Quarta puntata: da Kayseri a Tbilisi
Prosegue l’avventura di Yanez Borella, maestro di snowboard e ultrarunner, e Giacomo Meneghello, fotografo di montagna, impegnati nel progetto “Soul Silk”: ripercorrere in e-bike la Via della Seta, dall’Italia alla Cina, salendo una cima per ognuno degli Stati attraversati. Un viaggio di circa 100 giorni, oltre 10.000 km di strada e un numero incalcolabile di metri di dislivello. Il tutto trainando due carretti muniti di pannelli fotovoltaici, per ricaricare le batterie delle bici, e contenenti tutto ciò che può servire per affrontare in autosufficienza la lunga e impegnativa impresa.
La spedizione “Soul Silk”, di cui Montagna.TV è media partner, è nata dalla voglia di dimostrare che inseguire i propri sogni è possibile, basta avere il coraggio di uscire dalla propria zona di comfort e mettersi in gioco. Dimostrando che è ancora possibile vivere viaggi e avventure vere, non solo “surrogati” preparati per noi.
La partenza dall’Italia è avvenuta il 19 aprile. I due viaggiatori hanno ora percorso il tratto da Kayseri a Tbilisi, la capitale della Georgia. Ecco il loro racconto:
Spezzata la lunga traversata turca con la parentesi scialpinistica sul monte Erciyes, riprendiamo da Kayseri la nostra marcia verso la Georgia, optando per la via del mare invece di proseguire per l’Anatolia Orientale. Ci dirigiamo quindi verso Nord, affrontando la catena montuosa del Ponto che separa l’Anatolia Settentrionale dal Mar Nero, tra passi di oltre duemila metri e paesini sperduti. Due villaggi in particolare meritano una nota a parte: Golova e Siran.
Nel primo ci fermiamo per ricaricare le batterie, ritrovandoci catapultati in una realtà quasi fuori dal tempo e dalla Turchia finora visitata. È il giorno del mercato e la folla ci attornia sorpresa. Chissà se da queste parti sono mai passati degli europei (con un carretto al seguito)? La polizia ci fa capire che siamo tollerati ma non troppo graditi, e vogliono accertarsi che lasceremo l’abitato quanto prima. Nessun problema. Giusto il tempo di fare un giro al mercato e togliamo il disturbo. I prezzi sono così bassi che ripartiamo con un carico di formaggio di capra e frutta secca.
A Siran arriviamo invece in serata, dopo aver percorso l’ultimo chilometro praticamente in mezzo a una mandria di mucche. Mettiamo piede in paese sotto la ormai solita pioggia e, per puro caso, incrociamo il proprietario di un hotel, forse l’unico o quasi presente in zona. Il tizio ci offre ospitalità e così, dopo aver valutato un istante l’opzione di campeggiare poco più avanti, decidiamo di accettare l’offerta. In hotel ci accolgono con curiosità e veniamo invitati a partecipare alla cena di Ramadam (o “Ramazan”, come dicono loro). Una breve ma intensa esperienza di convivialità musulmana, in cui la religione diventa motivo di unione e si finisce per cenare tutti assieme.
Rifocillati a dovere, superiamo a fatica la dorsale montuosa che ci separa dal Mar Nero e facciamo una tappa veloce al monastero di Sumela, che sfortunatamente possiamo solo ammirare da fuori a causa di lavori di messa in sicurezza che lo rendono attualmente inaccessibile. Scendiamo verso il mare, raggiungendo Trebisonda, storica città turca che ha ispirato il famoso detto “perdere la Trebisonda”, ossia “perdere il controllo”, con riferimento al fatto che nell’antichità questa cittadina sul Mar Nero rappresentava una sorta di faro per tutti i naviganti in viaggio sulla rotta tra Europa e Medio Oriente.
Senza entrare in città, proseguiamo lungo la costa del Mar Nero. Oltre a noi solo scogliere e mare. Pochi gli accessi ai paesi circostanti, e per di più pedonali. Un’atmosfera insolita per noi italiani, abituati all’affollamento delle coste tirreniche e adriatiche, dedite a un turismo a tratti di massa.
Dopo una breve sosta a Rize, città natale del presidente turco Erdogan, raggiungiamo la Georgia e Batumi, città sul mare tanto spettacolare quanto contraddittoria: da un lato grattacieli, torri, ruote panoramiche, casinò, un lungomare stile Miami, dall’altro baraccopoli di periferia e aree profondamente rurali popolate di mucche e galline.
Abbandonata questa piccola Las Vegas d’Oriente, ci addentriamo nella parte più selvaggia della Georgia, accompagnati ovviamente dalla pioggia. Paesini sperduti tra le montagne e strade sterrate ci riportano nuovamente in un’atmosfera da dopoguerra. Fango e pozzanghere rendono come sempre difficile procedere con i carretti, e iniziamo a sentirci dispersi nell’ignoto. In qualche modo riusciamo a ritrovare una via asfaltata e arriviamo in una zona della Georgia che si prospetta affascinante, tra monasteri sperduti, castelli, verdi colline, distese di fiori, auto che circolano senza paraurti come se fosse normale, bar in cui gustare ottimi dolci, vino e pane fresco.
Raggiungiamo Borjomi, città famosa per il suo parco naturale, e qui finiamo a dormire da nonna Zizi, una simpatica signora di una certa età che gestisce una spartana guest house. Tè, biscotti e grappa locale fanno tornare alto il morale, ma all’indomani il maltempo non ci molla e, vista l’esperienza vissuta con i carretti i giorni precedenti, abbandoniamo l’idea di scalare quella che avevamo identificato come cima georgiana: un vulcano di 3.300 metri raggiungibile soltanto dopo aver affrontato altri passi oltre i duemila metri su strade improbabili. Puntiamo quindi a una cima più agevole alta 2.790 metri, poco sopra Bakuriani, sfruttando una tregua di bel tempo molto breve, visto che appena scesi dalla montagna si scatena il diluvio.
La via per Tbilisi scorre invece attraverso paesini di campagna in cui ogni casa mostra splendidi piccoli vigneti, in pieno contrasto con i tubi del gas a vista. Ben presto ci rendiamo conto che i georgiani non sono amichevoli come i turchi e si mostrano abbastanza ostili quando chiediamo di poter ricaricare le batterie nei loro locali. Con le batterie totalmente a terra e il solito temporale di compagnia, le luci della capitale Tbilisi ci appaiono come un miraggio. Ma la gioia iniziale lascia subito il posto alla disperazione: i georgiani alla guida sono un pericolo assoluto! Mai visto niente di simile, neanche a Istanbul. Per fortuna in città ci attendono due amici italiani in vacanza: un’ottima scusa per uscire finalmente a cena per assaggiare piatti locali e respirare aria di casa.
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