Prosegue l’avventura di Yanez Borella, maestro di snowboard e ultrarunner, e Giacomo Meneghello, fotografo di montagna, impegnati nel progetto “Soul Silk”: ripercorrere in bici elettrica la Via della Seta, dall’Italia alla Cina, salendo una cima per ognuno degli Stati attraversati, dalla Marmolada al Monte Ararat fino ai 7.134 metri del Pik Lenin. Un viaggio di circa 100 giorni, oltre 10.000 km di strada e un numero incalcolabile di metri di dislivello. Il tutto trainando due carretti muniti di pannelli fotovoltaici, per ricaricare le batterie delle bici, e contenente tutto ciò che può servire per affrontare in autosufficienza la lunga e impegnativa impresa, incluse le attrezzature scialpinistiche e alpinistiche.
La spedizione “Soul Silk”, di cui Montagna.TV è media partner, è nata dalla voglia di dimostrare che inseguire i propri sogni è possibile, basta avere il coraggio di uscire dalla propria zona di comfort e mettersi in gioco. Dimostrando che è ancora possibile vivere viaggi e avventure vere, non solo “surrogati” preparati per noi.
La partenza dall’Italia è avvenuta il 19 aprile. Questo il resoconto dei primi 10 giorni.
L’avventura “Soul Silk”, il lungo viaggio a pedali che ci porterà dalle Alpi alla Cina lungo l’antica rotta della Via della Seta, è entrata nel vivo!
Dopo essere partiti tutti fiduciosi il 19 aprile – giorno in cui ho raggiunto Yanez a Mezzolombardo, dopo essere partito il precedente in solitaria da Livigno – arriviamo nei tempi stabiliti al cospetto della nostra prima vetta, Punta Penia (3.343 m) in Marmolada, in una giornata – era il sabato prima di Pasqua – senza nemmeno una nuvola: prima la salita in bici al Passo Fedaia, poi su fino in cima con gli sci.
Dopo la discesa, la necessità di fare quanto prima un check up freni ci porta a decidere di non spingerci oltre, preferendo fare tappa base a Cividale del Friuli, e già che siamo lì decidiamo di salire il Matajur (1.641 m), la cui cima è terra di confine tra il nostro Paese e la Slovenia. Una salita facile, in bici fino al rifugio e poi a piedi per circa 300 metri.
Il giorno successivo finalmente riusciamo a immergerci nel verde di questa nazione, piena di bei villaggi e poco traffico. E poi cos’altro chiedere a un Paese dall’accoglienza così festosa, dove in ogni bar in cui entri ti offrono da bere?!
Purtroppo il tempo perso per il controllo freni ci ha impedito di allungarci fino al Krn (il famoso Monte Nero, per noi italiani) o altre quote maggiori.
I pochi giorni che questo viaggio ci concede per assaporare ogni terra attraversata rappresentano di certo un limite. Ma la Cina è lontana, quindi tocca davvero ottimizzare i tempi. Due giorni dopo l’arrivo in Slovenia siamo già in Croazia.
La zona che attraversiamo noi non è quella classica da turista. L’entroterra è puntellato di case contadine dall’aspetto povero, l’aria che tira è ben diversa da quella della movida delle località costiere. Interazioni umane quasi zero, fatta eccezione per la cordiale accoglienza al Geoparco Papuk da parte di Goran (che tra l’altro era nel suo giorno libero) a cui portiamo i saluti del Geoparco Adamello Brenta, di cui siamo portavoce.
La Croazia non è patria di grandi vette, pertanto decidiamo di rimanere nei confini del parco e salire il Nevolijas (739 m), una cima ancora più facile da raggiungere rispetto a quella slovena: praticamente una passeggiata a piedi per sentieri che attraversano boschi di faggi e aree naturali molto belle, formando un lungo percorso ad anello.
In questi primi 10 giorni di viaggio che ci hanno condotti a Vinkovci (Croazia), abbiamo percorso 1.242 chilometri. Se ci aggiungiamo quelli sugli sci o percorsi a piedi, arriviamo a 1.284. Dislivello totale, tra percorsi in bici e salite in vetta: 15.000 metri. La nostra velocità media sui pedali è di circa 20 km/h, poco più nelle tappe di pianura, dove con condizioni di vento e asfalto favorevoli riusciamo a tenere una velocità di crociera anche superiore ai 30 km/h; poco meno nei tratti montuosi, considerato che in salita facciamo i 10-20 km/h, a seconda delle pendenze, mentre in discesa – se il fondo è buono e la strada non è piena di curve – raggiungiamo i 40-50 km/h.
Belle cifre, e siamo solo all’inizio. Le gambe vanno tranquille, ciò che un po’ rema contro è il meteo. Abbiamo avuto finora più giornate di maltempo che di caldo e sole pieno. E anche il vento, vista la mole del carretto che ci tiriamo dietro, gioca a sfavore. Sono 80 chili da gestire, quasi un compagno di viaggio aggiuntivo, che ci rende molto poco agili in ogni situazione, sia per strada che quando ci fermiamo a pernottare, dove a volte non si sa davvero dove piazzarlo, dato che non passa ovunque e pesa troppo per sollevarlo. Per non parlare delle forature: già quattro finora!
Al di là degli inconvenienti, affrontiamo ogni nuova giornata a mille. Sveglia ore 6.30, sistemazione bici e materiali 6.45, ore 7.15 colazione, poi una decina di minuti per gli ultimi preparativi e alle 8 in genere si parte. Durante la giornata non si pianifica molto, si fanno brevi pause fisiologiche, per togliere o mettere vestiti visto il meteo molto variabile, per guardare il percorso o mangiare qualcosa al volo. Ogni due giorni ci preoccupiamo di visitare (trovare prima di tutto) un supermercato per fare la spesa, senza badare molto alla dieta. Mangiamo di tutto, perché abbiamo sempre fame. Le pause più lunghe, di una o due ore, sono quelle che tocca fare in qualche bar o luogo dotato di corrente elettrica per ricaricare le batterie quando i pannelli fotovoltaici non bastano. Se va bene, la sera si arriva in un B&B o in un campeggio tra le 19 e le 20. E dopo aver sistemato i carretti è finalmente tempo di cena, (forse) una doccia, un’oretta di social, un momento di valutazione della tappa successiva e, salvo problemi, per mezzanotte si dorme.
Forse ha ragione la gente che, in ogni nazione, ci guarda stupita. Qualcuno, quando siamo fermi, si avvicina a curiosare o fare domande. Persino gli altri viaggiatori si meravigliano quando vedono i carretti. In realtà non ne abbiamo incrociati molti tra Italia e Croazia: giusto un tedesco trovato sul Passo San Pellegrino, che si è fermato a salutarci, e un romeno incontrato in Croazia e diretto in Portogallo dall’Ucraina, con cui ci siamo fatti un selfie. Per strada molti ci suonano, non sempre capiamo se sia un incoraggiamento, un avviso di sorpasso o una lamentela perché siamo di intralcio. Ma tanti comunque (camionisti e bikers in primis) ci salutano.
Bellissima avventura