Le 6 classiche nord delle Alpi
Definite “gli ultimi problemi delle Alpi” fino agli anni Trenta del Novecento, le sei classiche pareti nord delle Alpi hanno rappresentato (e rappresentano tutt’ora) un grandissimo traguardo alpinistico. Hanno retto a numerosi tentativi di prima di cadere e farsi violare da salite che sono facilmente entrate nella storia dell’alpinismo. Le vicende che le hanno riguardate raccontano una storia spesso cruda, fatta di tentativi, di una sfida con la montagna, con le difficoltà. Parla di morti e successo. È una narrazione tragica quanto romantica, che ha tenuto banco per circa un decennio. La prima a cadere è stata la nord del Cervino, l’ultima quella dell’Eiger.
Cervino
Ritenuta per lungo tempo impossibile, viene salita per la prima volta dai fratelli Franz e Toni Schmid tra il 31 luglio e il primo agosto 1931. Un’impresa incredibile per i due ragazzi tedeschi che sono rimasti in parete per circa 32 ore affrontando una salita di misto che ancora oggi offre opportunità solo agli alpinisti più preparati.
La storia della loro impresa oggi avrebbe tutto il sapore di una moderna avventura green (ai tempi era semplice necessità di contenere le finanze). I due partono da Monaco in bicicletta, carichi di tutto in necessario per affrontare la scalata, arrivando ai piedi della nord il 27 luglio. Qui piazzano una tenda e iniziano l’esplorazione della parete, alla ricerca di un punto debole. Quando partono, l’ultimo giorno del settimo mese, lasciano un biglietto al campo con nomi e destinazione. Informazioni utili per eventuali soccorritori. Salgono per un’intera giornata, fin quando il buio li coglie costringendoli a un bivacco forzato su un minimo spuntone roccioso che non gli consente nemmeno di sedersi. Si trovano a una quota di 4150 metri.
Alle prime luci dell’alba riprendono la scalata, ancora più dura e ripida del giorno precedente. Verso il primo pomeriggio sono finalmente in vista della cima, ma il tempo cambia. Inizia a grandinare e i due si trovano nel bel mezzo di una tempesta. In cima devono attendere che passi la parte peggiore della bufera, con fulmini e saette, prima di ridiscendere lungo la cresta dell’Hörnli e concedersi un meritato riposo alla capanna Solvay.
Cima Grande di Lavaredo
Una parete liscia e impossibile, secondo Julius Kugy. Impossibile per sempre, sostiene il goriziano.
Possibile la ritiene invece il triestino Emilio Comici che nel 1933 riuscirà nell’impresa insieme ai fratelli ampezzani Angelo e Giuseppe Dimai.
Impiegano due giorni per compiere la salita, utilizzando 90 chiodi da roccia, circa 50 moschettoni, moltissimi metri di corda e tanto tempo. Quando poi Comici racconta di questa salita, e in particolare dei mezzi utilizzati, a Kugy quest’ultimo risponde con una frase rimasta nella storia: “Vedi che avevo ragione a dire che la parete nord delle Tre Cime è impossibile da scalare?”. Il suo commento critico, apre una discussione sull’etica alpinistica e sugli strumenti che questa ritiene leciti. Difficile controbattere, a meno di farlo con i fatti. Così, nel 1937, Comici ripete la via in solitaria.
Negli anni la nord della Cima Grande è divenuta famosa in tutto il mondo, la più nota delle Dolomiti con migliaia di ripetizioni.
Grandes Jorasses
Il primo vero tentativo di scalare questa parete risale al 1928 quando la cordata composta da Leo Gasparotto, Albert Rand Herron e Piero Zanetti con Armand Charlet raggiuge le prime fessure di grande difficoltà. Nel 1931 ci provano senza successo due cordate tedesche. La prima, composta da Andreas Heckmair e Gustl Kröner, tenta il primo luglio; le seconda, formata da Hans Brehm e Leo Rittler, ci prova l’8 agosto ma l’esito è tragico. I due vengono travolti e uccisi da una scarica di sassi. Nel 1932 si avvicinano alla grande parete nomi di altissimo livello in campo alpinistico. Ci provano Gabriele Boccalatte e Renato Chabod; Lino Binel e Amilcare Crétier; Louis Carrel e Pierre Maquignaz che tentano con Crétier ed Enzo Benedetti. Nel 1933 tocca poi a Giusto Gervasutti e Piero Zanetti fare un tentativo. Salgono in agosto, riuscendo toccare la prima torre dello sperone Croz, poi sono costretti a rientrare causa maltempo. Un anno dopo Armand Charlet e Robert Greloz riprovano sulla via di Gervasutti, superano la prima e la seconda torre arrivando a circa 3600 metri. Qui vengono fermati da una liscia placca verticale.
Nel 1934 si prova un attacco in massa, ma anche questa volta il tentativo fallisce. A fermare gli alpinisti è il peggioramento delle condizioni meteo con lo scatenarsi di una bufera. Ancora una volta la nord delle Grandes Jorasses ha retto ai tentativi di salita. Nel 1935 ci riprovano. La cordata è composta da Rudolf Peters, che l’anno precedente ha trascorso 5 giorni sulla parete bloccato dalla bufera prima di poter ridiscendere a valle, e da Martin Meier. Tentano la salita il 28 giugno 1935, tutto va secondo i piani e il giorno seguente raggiungono la vetta.
Petit Dru
Il 1935 è l’anno del Monte Bianco così, poche settimane dopo la prima salita della nord delle Grandes Jorasses, Pierre Allain e Raymond Leininger riescono nella prima salita della nord del Petit Dru. Scalano con un’attrezzatura minimale, votata alla leggerezza. Una sola piccozza in due, niente ramponi, 60 metri di corda da 7 millimetri di diametro, qualche chiodo da roccia, un martello, moschettoni e scarpette d’arrampicata.
Pizzo Badile
È la metà del luglio 1937 quando Riccardo Cassin, Gino Esposito e Vittorio Ratti si ritrovano ai piedi della parete nord-est del Pizzo Badile. Attaccano alle 8 del mattino la gigantesca muraglia rocciosa, a guidare la cordata e Cassin. Il primo giorno va spedito e anche il luogo trovato per il bivacco è comodo. I tre lo condividono con la cordata comasca formata da Mario Molteni e Giuseppe Valsecchi, anche loro intenzionati a salire la parete.
All’alba del secondo giorno i cinque decidono di unirsi e proseguire come un unico gruppo. Nonostante tutto continuano rapidi nella scalata, che va avanti fino agli ultimi raggi del sole quando si preparano a un secondo bivacco. Di colpo la meteo cambia e si scatena un violento temporale, che dura per qualche ora. Al mattino il cielo è nuovamente sereno e il gruppo può proseguire, ma Molteni e Valsecchi iniziano a dare segni di cedimento a cui si aggiungono pioggia, grandine e neve. I cinque arrivano in cima verso le 16, la parete è vinta ma la sfida è ancora dura. Le condizioni climatiche sono pessime, la bufera infuria e la visibilità è praticamente azzerata. Il gruppo non riesce a trovare la strada per il rifugio Gianetti, rimangono fuori tutta a notte cercando di raggiungere il riparo. All’alba del quarto giorno la tempesta si esaurisce e il cielo rasserena, Cassin, Esporito e Ratti raggiungono il rifugio. Molteni e Valsecchi sono morti di sfinimento nella notte.
Eiger
Quella dell’Eiger è una vera e propria epopea fatta di alpinismo dal sapore eroico e romantico, come tipico del periodo. Un alpinismo dove la morte diventava motivo di orgoglio e non tragedia da piangere. Chi perisce nel tentativo di raggiungere le vetta diventa un eroe nazionale.
Il primo tentativo di salire la nord dell’Eiger viene attuato nel 1934 dalla cordata tedesca formata da Willy Beck, Kurt Löwinger e Georg Löwinger. I tre raggiungono una quota di 2900 metri, prima di rinunciare e rientrare verso valle. L’anno successivo ci provano i connazionali Karl Mehringer e Max Sedlmeyer che, raggiunto un buon punto per il bivacco a circa 3300 metri, vengono sorpresi dal maltempo e muoiono. Da allora il luogo in cui si sono fermati viene chiamato “bivacco della morte”. Nel 1936 ci provano i tedeschi Andreas Hinterstoisser e Toni Kurz e gli austriaci Willy Angerer ed Edi Rainer. I quattro si incontrano in parete e scelgono di unirsi in un’unica cordata. Riescono a salire di molto, rimanendo in parete quattro giorni quando poi decidono di ritirarsi a causa di un peggioramento delle condizioni climatiche. Verso la fine della discesa il gruppo viene travolto da una valanga, non si salva nessuno.
Due anni dopo l’ultimo tentativo sulla parete nord dell’Eiger si muovo gli italiani Bortolo Sandri e Mario Menti che precipitano nel vuoto nella parte bassa della parete. Un mese dopo quest’ultima tragedia ecco arrivare i tedeschi Andreas Heckmair e Ludwig Vörg e gli austriaci Fritz Kasparek e Heinrich Harrer. Partiti inizialmente come cordate separate decidono di unirsi in parete e chiudere insieme la prima salita dell’ultima grande nord delle Alpi. La scalata dura 4 giorni ed è una vera e propria battaglia con le condizioni climatiche e con le difficoltà tecniche della via. Alla fine raggiungono la vetta nella serata del 24 luglio e non è un solo una vittoria personale. La loro scalata, compiuta da una cordata austriaca e una tedesca, diventa mezzo di propaganda per il terzo Reich. I media del periodo ne danno notizia per settimane e gli alpinisti vengono ricevuti da Hadolf Hitler.