Storia dell'alpinismo

1913: la spedizione sconosciuta di De Filippi tra Karakorum e Asia Centrale

Il 22 agosto del 1913 iniziò il viaggio a fini scientifici del medico torinese, poi interrotto dallo scoppio della Grande Guerra. Una storia tutta da leggere

Agosto, oggi come cent’anni fa, non è il periodo migliore per mettersi in viaggio per l’India. L’avventura di Filippo De Filippi, medico e scrittore torinese, inizia proprio nella stagione delle piogge dell’Asia meridionale. De Filippi, Joseph Pétigax, Nello Venturi Ginori, Giotto Dainelli e Cesare Antilli s’imbarcano nei primi giorni del mese a Marsiglia, sul piroscafo Arabia, insieme a quattro tonnellate di bagagli. Il 22 agosto la nave getta l’ancora nel porto di Bombay.

In poche ore in città, De Filippi incontra esponenti del governo, del giornalismo e della scienza dell’India britannica. La sera il gruppo riparte in treno per Delhi. Per chi è abituato agli aerei di oggi, due settimane di navigazione e circa 30 ore in treno sembrano un tempo infinito. Al medico torinese, che ha studiato gli interminabili viaggi del gesuita Ippolito Desideri nel Settecento, sembra di muoversi come un razzo.

“Il viaggio dall’Italia a Lè per la via di Bombay, Delhi e il Cashmir si può compiere senza troppo affrettarsi in quaranta giorni, ed ha cessato di essere avventuroso anche nel tratto di via carovaniera tra il Cashmir e Lè” scrive nel suo racconto dell’impresa.

La preziosa parentela con la famiglia Sella

Filippo De Filippi, nato a Torino, eredita la passione per i viaggi dal nonno, medico, zoologo e tra i primi seguaci italiani di Charles Darwin. A farlo entrare nel giro giusto è però la madre Olimpia Sella, biellese, cugina di Quintino, ideatore del CAI. Vittorio Sella, cugino e amico di De Filippi, è un grande fotografo di montagna. Grazie a lui, Filippo si avvicina a Luigi Amedeo di Savoia, il Duca degli Abruzzi.

Nel 1897 Filippo De Filippi partecipa alla spedizione che conquista il Monte Sant’Elia, tra l’Alaska e il Canada. Al ruolo di medico aggiunge quello di estensore del volume della spedizione, che esce con la firma del Duca.  De Filippi. Senza lasciare l’Italia, scrive anche i libri delle spedizioni nell’Artico (1899-1900) e sul Ruwenzori (1906). Partecipa invece, con Vittorio Sella, all’esplorazione del 1909 sul ghiacciaio Baltoro.

Luigi Amedeo e le sue guide valdostane tentano di salire la seconda cima della Terra, e stabiliscono a 7498 metri, sul Chogolisa (o Bride Peak), il record assoluto di altezza. Quando torna in Italia, De Filippi ha in mente una spedizione diversa. Per un anno, le sue energie si concentrano sulla salute della moglie Caroline Fitzgerald. Alla sua morte, nel 1911, segue un periodo di depressione. A metà dell’anno successivo, però, Filippo mette a punto il Piano generale di una spedizione scientifica nel Karakorum orientale.

“Non c’è altra regione della Terra che pone allo studioso problemi così vari e così importanti” scrive. “Una spedizione specialmente preparata ed organizzata per ricerche scientifiche riporterebbe un’ampia messe di prezioso materiale per lo studio della fisica terrestre”. Il primo obiettivo è l’esplorazione geografica del bacino del fiume Shyok e dei ghiacciai Siachen e Rimu. Non è ancora terminato il Great Game, la guerra pacifica combattuta sul “Tetto del mondo” dalla Gran Bretagna, dalla Cina e dalla Russia zarista. La proposta di mappare questi luoghi assicura l’appoggio del governo di Londra.

Obiettivi ambiziosi per una spedizione che anticipava anche le domande di oggi

Tra gli obiettivi scientifici sono le rilevazioni gravimetriche (per capire le trasformazioni della crosta terrestre), lo studio del magnetismo terrestre, gli studi di glaciologia e meteorologia, la raccolta di campioni geologici, di animali e di piante, ricerche antropologiche su Baltì, Ladakhi, Uiguri e Kirghisi.

La spedizione, patrocinata dal Governo e dalla Casa Reale, ha l’appoggio dell’Accademia dei Lincei e della Reale Società Geografica. Le Forze armate contribuiscono con il distacco di sei tra funzionari civili e ufficiali. Forniscono strumenti scientifici l’Istituto Idrografico di Genova, la Sezione Fotografica Militare, la Regia Scuola di Applicazione degli Ingegneri di Padova, l’Osservatorio del Monte Rosa, l’Osservatorio Astrofisico della Smithsonian Institution di Washington e l’Istituto Geodetico Prussiano di Potsdam.

Contribuiscono all’impresa il Governo dell’India britannica, e privati come l’industriale belga Ernest Solvay (5.000 lire) e l’inglese R.W. Spranger (40.000 lire). Ben 50.000 lire vengono versate da De Filippi. Il Survey of India fa partecipare a proprie spese il maggiore John Wood e i topografi Jamna Prasad e Shib Lal.

Il 21 settembre 1913 la spedizione parte da Srinagar, capitale del Kashmir, verso le montagne. A ottobre, scavalcati i 3528 metri dello Zoji La, il gruppo raggiunge l’Indo e lo segue fino a Skardu, il capoluogo del Baltistan. De Filippi resta lì per gran parte dell’inverno, altri compiono esplorazioni nei dintorni. Giotto Dainelli e Joseph Pétigax effettuano un lungo trekking verso le valli del Baltoro e Saltoro.

Si riparte il 16 febbraio 1914, risalendo la valle dell’Indo fino al Ladakh e alla sua capitale Leh. Un viaggio in cui si passa dall’Islam sciita al Buddhismo, e che il confine tra il Pakistan e l’India rende oggi impossibile. Dopo due mesi e mezzo, e dopo lo scioglimento delle nevi, la comitiva riparte verso il Chang La e lo Shyok.

Due mesi sul ghiacciaio Rimu, poi il Turkestan e Tashkent

Per due mesi, da un campo a 5362 metri sull’altopiano del Dèpsang, gli scienziati esplorano il ghiacciaio Rimu, fino ad allora sconosciuto. Poi, il 16 agosto, un messaggero che arriva da Leh annuncia lo scoppio della Grande Guerra. Alberto Alessio, Cesare Antilli e Camillo Alessandri, tutti ufficiali, partono verso Bombay e l’Italia. Il resto del gruppo continua verso nord, accompagnato da preoccupazione e dolore.

Il 21 agosto si scavalca il Passo Karakorum, poi si continua accanto al fiume Yarkhand, nel Turkestan cinese. A settembre si arriva a Kashgar, dove dei giornali vecchi di un mese e più permettono di capire gli eventi in Europa. Il 31 ottobre si supera il confine tra Cina e Russia. Il 9 novembre la comitiva è a Tashkent, capoluogo del Turkestan russo. Qui la guerra, anche se lontana, inizia a pesare davvero.

Nonostante una contrattazione con le autorità locali, Filippo De Filippi e i suoi riescono a portare con sé in treno solo “i dati completi delle osservazioni, le carte, le negative fotografiche esposte, i cronometri, gli obiettivi fotografici e l’apparecchio gravimetrico di Sterneck coi pendoli”. Restano a Tashkent, in 18 casse, “strumenti astronomici, geodetici, magnetici, le camere fotografiche e i barometri”.

Occorre un mese per raggiungere Odessa e proseguire verso Bucarest, Vienna e Tarvisio. A maggio, quando l’Italia entra in guerra, anche questa frontiera si chiuderà. De Filippi potrà iniziare a lavorare al resoconto della spedizione (più di 30 volumi di grande formato, più una “relazione sintetica” in tre libri) solo nel 1918, dopo il ritorno della pace.

In Russia, però, la rivoluzione bolscevica e la guerra civile provocheranno lo smarrimento del materiale lasciato a Tashkent. Nei decenni successivi, la scienza italiana torna nel Karakorum con la spedizione del 1928 diretta dal Duca di Spoleto. Segue quella del 1954 diretta da Ardito Desio, che sale per la prima volta il K2 e svolge anche un importante programma di ricerca.

È un lavoro che prosegue anche oggi, soprattutto nel campo della glaciologia e delle conseguenze del cambiamento climatico, e che viene spesso raccontato dai media. L’avventura vissuta 110 anni fa da Filippo De Filippi e compagni, invece, resta una pagina pressoché sconosciuta dell’esplorazione italiana. È un peccato.

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