AlpinismoAlta quota

Gli Icefall doctors sono al lavoro, la stagione dell’Everest è iniziata

La stagione delle ascensioni all’Everest è ripartita. Mercoledì 22 marzo il Sagarmatha Pollution Control Committee (SPCC) ha pubblicato sul suo sito e sulla sua pagina Facebook le prime immagini degli Icefall doctors al lavoro. La squadra, formata quest’anno da otto Sherpa, s’incarica di attrezzare il percorso attraverso la seraccata del Khumbu, utilizzato dalle spedizioni dirette al versante meridionale dell’Everest (Sagarmatha in lingua Nepali), al Lhotse e al Nuptse, e di mantenerlo aperto e relativamente sicuro fino alla fine di maggio. Un mese fa, il 26 febbraio, l’organizzazione con sede a Namche Bazaar ha fatto conoscere i nomi degli otto Sherpa (Ang Sarki, Chhewang Nuru, Dawa Jangbu, Dawa Nuru, Mingma Temba, Pemba Tshering, Sonam Tshering, Dorjee) che sono già al lavoro da qualche giorno per sistemare ancoraggi, corde fisse e scalette tra crepacci e seracchi. Li affiancano il base camp manager Tshering Tenzing, e i cuochi Nawang Thaten e Wangdi Gelbu.

Se si considera che il SPCC, che ha sede a Namche Bazaar, è presieduto da Lama Kaji Sherpa e ha un direttivo formato da altri dieci Sherpa, si capisce che il compito di attrezzare la seraccata e di controllare che le spedizioni non abbandonino spazzatura ricade interamente sui montanari del Khumbu. Nel team degli Icefall doctors, l’unico componente di etnia diversa è Sanjiv Tamang, che si occupa della gestione dei rifiuti. “Dal 2 al 6 marzo, prima di mettersi al lavoro sull’Everest” spiega un comunicato dello SPCC, “i nostri Icefall doctors hanno seguito un corso con istruttori del Khumbu Climbing Center. Il punto più importante è la sicurezza. Auguriamo a tutti buona fortuna per questa stagione che inizia”.

Mentre gli Icefall doctors lavorano, iniziano ad arrivare a Kathmandu e poi nel Khumbu gli alpinisti. “Mi aspetto un numero elevato di persone impegnate sul versante nepalese dell’Everest” spiega sul suo blog Alan Arnette, il più informato cronista dell’alpinismo himalayano. La mia stima è di circa 400 clienti, supportati da 400-500 Sherpa e divisi tra trenta spedizioni. Facendo i conti si arriva a un migliaio di persone che vivranno al campo-base dell’Everest tra il 15 aprile e il 31 maggio, che segna la fine ufficiale della stagione”. Al campo-base sta anche per riaprire l’ambulatorio dove lavorano come volontari Lhakpa Norbu Sherpa e i medici Sachin Subedi, Suraz Bhatta e Andrew Nyberg.

Secondo Arnette, fino a oggi, il Ministero del Turismo nepalese ha rilasciato solo poche decine di permessi. “Questo non mi stupisce, perché la maggioranza delle autorizzazioni per la salita viene emessa quando gli aspiranti alla salita arrivano in Nepal, e quindi tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile”. “Ogni anno, a quel che sembra, le spedizioni arrivano in Nepal qualche giorno più tardi, a causa di miglioramenti tecnologici come l’acclimatazione fatta in casa utilizzando delle tende ipobariche. A metà aprile, però, il campo-base dell’Everest sarà affollato come al solito”.

La notizia della riapertura della Cina al turismo, e del Tibet dall’inizio del mese di aprile, è arrivata troppo tardi per consentire alle agenzie specializzate di tentare l’Everest da nord. Ma la notizia è comunque positiva. “Nelle ultime quattro stagioni il versante settentrionale dell’Everest è stato inaccessibile a causa del Covid. Ora il mondo si sta riprendendo dalla pandemia, e la Cina ha riaperto le due frontiere al turismo” spiega Adrian Ballinger, titolare dell’agenzia statunitense Alpenglow Expeditions. “Questo significa che, finalmente, anche l’alpinismo nell’Himalaya del Tibet riprenderà. Stiamo lavorando per la nostra spedizione al Cho Oyu nel prossimo autunno, e per quella al versante tibetano dell’Everest nella primavera del 2024. Siamo felici di tornare su queste montagne. E’ passato molto tempo, ma l’attesa è finalmente terminata”.

Alan Arnette, sul suo blog (www.alanarnette.com/blog) ricorda che all’interno o sui confini del Nepal si alzano otto “ottomila”, e cioè l’Everest, il Cho Oyu, l’Annapurna, il Manaslu, il Dhaulagiri, il Makalu, il Lhotse e il Kangchenjunga. Sul Cho Oyu, dove i tentativi di trovare una via di ascesa sicura da sud sono finora falliti, le spedizioni torneranno in autunno dal versante tibetano. Sulle altre cime, invece, l’alpinismo sta ripartendo in questi giorni. L’Annapurna, una volta meta solo dei migliori alpinisti, sta diventando popolare per clienti che usano sistematicamente l’ossigeno e accompagnati dai migliori Sherpa. La Seven Summits Treks, da anni leader del settore, e le altre agenzie nepalesi non pubblicano volentieri i loro prezzi, ma è noto che una spedizione all’Annapurna costa tra i 15.000 e i 20.000 dollari a testa. Una cifra che include l’avvicinamento e in elicottero e l’ossigeno, e che resta sotto alla metà del prezzo di un tentativo guidato all’Everest.

Fino a oggi sulla via normale dell’Annapurna qualche team ha raggiunto il campo II, poi delle pesanti nevicate hanno fermato il lavoro per installare le corde fisse fino in vetta. Intanto, sulla impressionante parete Nord-ovest della montagna, è in corso un tentativo in stile alpino, senza Sherpa e senza ossigeno supplementare, da parte dei polacchi Mariusz Hatala, Felix Berg e Adam Bielecki. “L’attività sul Manaslu finora è stata modesta, perché questa cima viene tentata e salita dai collezionisti di “ottomila” soprattutto in autunno” spiega ancora Alan Arnette. Qualche giorno fa, come abbiamo già raccontato, hanno iniziato il loro tentativo l’inglese Adriana Brownlee e la norvegese Kristin Harila, supportate da Gelje Sherpa e da altri sette Sherpa che installano le corde fisse.

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