Lorenzo Mazzoleni: il ricordo di una notte tragica sul K2
Il recente ritrovamento dello zaino ha fatto ricordare a molti la figura dell’alpinista lecchese caduto sul K2 nel 1996. Riviviamo quelle drammatiche ore leggendo il capitolo dedicato all’evento del libro "I Ragni di Lecco - Una storia per immagini", su concessione dello storico Gruppo di cui Mazzoleni faceva parte
È l’osso duro che tutti si aspettano il K2, e, inevitabilmente, fa la sua severa selezione: il 29 luglio agli 8611 metri della cima arrivano solo i fratelli Panzeri, Giulio Maggioni e Lorenzo Mazzoleni. Lui è l’ultimo a calcare la vetta, stanco e stravolto quanto e forse più dei compagni ed è lui che, fra le lacrime, grida al microfono della radio tutta la sua immensa felicità: “Il K2 è meraviglioso!”.
In quell’apice di gioia, purtroppo, il sogno finisce e comincia l’incubo.
Chi c’è stato lassù lo sa: la cosa più difficile non è arrivare in cima alla Grande Montagna, ma scendere. Prima di raggiungere la sicurezza delle tende piazzate sulla Spalla, attorno ai 7800 metri, bisogna ripercorrere il pericoloso traverso sotto la cima e poi il Collo di Bottiglia, un ripido passaggio obbligato, stretto fra una fascia di rocce sulla sinistra e un grande seracco a destra. Bisogna avere ancora una scintilla di energia in corpo e la mente lucida a sufficienza per affrontare questo infido scivolo di ghiaccio senza farsi risucchiare dall’abisso. I quattro Ragni ne sono consapevoli e per questo in salita hanno lavorato duro piazzando qualche centinaio di metri di corde fisse. Scendono dalla montagna ciascuno col proprio ritmo; Giulio davanti, poi Mario, in coda gli altri due. Tore, arrivato alla fine del traverso si volta a guardare Lorenzo, lo vede agganciarsi alle fisse ed è tranquillo: anche lui ormai è legato al filo di Arianna che lo riporterà al campo 3, lui lo aspetterà alle tende, assieme agli altri.
La loro, però, si rivela un’attesa vana, il tempo passa e Lorenzo è in ritardo, Lorenzo non si vede arrivare; bisogna andare a cercarlo! Escono Aldo Verzaroli e Gianpietro Verza, che il giorno successivo avrebbero dovuto tentare la vetta. Il primo pattuglia la grande spalla del K2, l’altro risale verso l’alto, ormai al buio. Sale Gianpietro, solo nelle notte più nera del K2, percorre tutto il Collo di Bottiglia chiamando a gran voce, ma di Lorenzo non c’è traccia e non c’è risposta ai suoi richiami. Forse è caduto, forse è ferito, bisogna cercarlo sui pendii che stanno sotto la via di salita, ma è troppo nera questa notte, troppo stanco Gianpietro e ormai fioco il fascio della sua pila frontale; deve rientrare al campo, riposare, e tornare poi all’alba, per tenere accesa una luce di speranza.
Intanto le notizie rimbalzano fino a Lecco, attraverso le antenne dei telefoni satellitari. La città si è addormentata in festa, esaltata dal successo e dall’urlo di gioia di quel suo figlio prediletto: il “ragazzo di bottega” educato all’amore per la montagna nelle uscite con l’alpinismo giovanile del Cai, diventato alpinista di rango con addosso il maglione dei Ragni e ora lassù, in cima al meraviglioso K2…
Già nella notte, però, uno squillo ha interrotto il sonno del presidente dei Maglioni Rossi, Pinuccio Castelnuovo, finalmente quieto dopo i giorni concitati che, come sempre, precedono il tentativo a una vetta. “Lorenzo non è rientrato”, le parole di Da Polenza sono uno schiaffo, un pugno allo stomaco.
Intanto nell’aria sottile del Pakistan le ricerche sono riprese. Verza e Verzaroli si calano lungo la via Cesen che si ricongiunge allo Sperone Abruzzi nei pressi del Collo di Bottiglia, dopo aver percorso i pedii ghiacciati sottostanti. C’è qualcosa laggiù, mille metri più in basso: un indizio, una macchia di colore avvistata col teleobiettivo. Le corde fisse lasciate dalla squadra giapponese in quei giorni impegnata sulla via agevolano le cose e infine la macchia prende forma: è un corpo, immobile in una tuta d’alta quota, gialla e rossa, proprio come quella di Lorenzo. È lui, è proprio lui e nella luce abbagliante dei ghiacci del K2 anche l’ultima speranza si spegne.