Gente di montagna

Tomaž Humar: “È pazzo, ma di certo non stupido” scrisse di lui Elizabeth Hawley

Un uomo fuori dagli schemi e spesso al centro di polemiche per il suo modo di rendere spettacolari le salite, vinse il Piolet d’Or per una via in solitaria sull’Ama Dablam.

“Ogni montagna ha la sua anima. Se la montagna non ti accetta e tu non ti sottometti alla sua volontà, ti rovinerà.”

Tomaž Humar

“È pazzo, ma di certo non stupido” scrive di lui Elizabeth Hawley. Figura difficile da inquadrare Tomaž Humar ha portato il concetto di stile alpino al suo limite massimo. Sloveno, autore di salite estreme, volto dell’alpinismo spettacolarizzato, è stato più volte al centro di polemiche per il suo modo di vivere la montagna e l’alpinismo. Con un curriculum di oltre 1500 vie e 70 prime ascensioni Humar si conferma un visionario, spinto da un’ambizione fuori dal comune e da un desiderio esplorativo portato al limite. Nonostante alcune cronache riportino le sue ascensioni come azzardate, lo sloveno non ha mai lasciato che fosse il caso a decidere per lui. Preparato tecnicamente, mentalmente e fisicamente si è sempre approcciato alle montagne con piena consapevolezza di quel che sarebbe andato a fare e dei rischi che avrebbe potuto correre.

La vita

Nato il 18 febbraio 1969 a Lubiana Tomaž Humar cresce in una famiglia profondamente religiosa. Negli anni a venire questa sfumatura cristiana cattolica subirà contaminazioni da parte del buddismo e dell’induismo, portando Humar verso una forma di religiosità panuniversale. Ha un fratello, Matej Humar.

La scoperta della montagna arriva durante l’adolescenza, e si intensifica quando a diciotto anni, nel 1987, si iscrive al locale club alpino. Per mantenersi lavora presso l’ufficio doganale di Lubiana.

Humar muore il 10 novembre 2009, a quarant’anni, durante la scalata solitaria della parete sud del Langtang Lirung. A ucciderlo un incidente in parete. Il suo corpo viene recuperato da un elicottero il 14 novembre. Lascia la moglie, Sergeya, e due figli, Urša e il suo omonimo Tomaž.

L’alpinismo

Dopo i primi approcci alpinistici Humar mostra subito spiccate doti verso la disciplina, oltre a un notevole sprezzo del pericolo. In totale la sua carriera vanta oltre 1500 ascensioni, tra cui spiccano diverse salite estreme e visionarie.

Dopo diversi anni di attività alpinistica alpina nell’autunno del 1994 riceve l’invito a partecipare alla spedizione slovena diretta al Ganesh V. In cordata con Stane Belak-Šrauf riesce nell’apertura di una variante lungo la parete sud-est. Nel maggio del 1995 è sempre il club alpino sloveno a invitarlo all’Annapurna, ed è che per la prima volta emerge in modo prepotente il carattere individualista di Humar. Durante questa spedizione contravviene agli ordini del capospedizione decidendo di fare un tentativo solitario lungo la via dei primi salitori giungendo in vetta. Questa è l’unica spedizione lungo una via classica a cui partecipa lo sloveno.

Nel 1996, con Vanja Furlan, riesce nell’apertura di una nuova via sulla parete nord-ovest dell’Ama Dablam. Realizzazione che gli vale il Piolet d’Or. Sempre nel 1996, in Nepal, apre una nuova via in solitaria sul Bobaye, seimila rimasto inviolato fino a quel momento. Nell’autunno di un anno dopo riesce, con Janez Jeglič e Carlos Carsolio, nell’apertura di un nuovo itinerario sul Lobuche East. Qualche giorno dopo questa salita si sposta ai piedi del Pumori, dove tenta l’apertura di una nuova via. Operazione poi interrotta per prendere parte a una missione di soccorso sul versante nord della montagna. Dopo raggiunge comunque la vetta passando per la via normale, insieme a Marjan Kovač e Janez Jeglič. Con quest’ultimo, meno di un mese dopo, riesce in un nuovo itinerario sulla ovest de Nuptse West. Purtroppo Janez muore durante la discesa.

Nell’autunno del 1998 si reca a Yellowstone, dove effettua la terza salita solitaria, e prima di un non americano, della via Reticent Wall su El Capitan. Circa un anno dopo si trova ai piedi del Dhaulagiri, su cui apre un nuovo itinerario lungo la parete sud in solitaria. La sua salita si arresta a 8000 metri e non raggiunge la vetta, nonostante questo la via suscita scalpore in tutto il mondo per le difficoltà raggiunte. Particolare di questa ascensione un cambio nella strategia comunicativa di Humar, che si porta al campo base una troupe per la realizzazione di un documentario (poi presentato l’anno successivo al Trento Film Festival).

Gli anni Duemila lo accolgono sulla vetta dello Shisha Pangma, in cordata con Maxut Zhumaiev, Denis Urubko, Aleksej Raspopov e Vassiliy Pivtsov. Tocca quindi all’Aconcagua, dove apre una nuova via sulla parete sud insieme a Aleš Koželj. Sempre con lui, e con Janko Oprešnik, nel 2005 traccia una variante di salita alla parete nord-est del Cholatse mentre in estate raggiunge le pendici del Nanga Parbat. Si avvicina al versante Rupal, su cui già si era cimentato nel 2003. L’intenzione è quella di effettuare una salita solitaria per una nuova via, ma i piani vengono sconvolti a circa settemila metri di quota da un repentino cambiamento delle condizioni. Esposto a un altissimo rischio valanghe riesce a rifugiarsi in una truna, dove rimane in paziente attesa per giorni.

In costante contatto con il campo base la speranza è quella di poter mandare un elicottero a prenderlo. L’operazione è delicatissima, sia per la quota, sia per la vicinanza alla parete verticale. Ma grazie all’abilità dei piloti dell’esercito pakistano tutto funziona e lo sloveno viene condotto in salvo. Nel frattempo la notizia della sua disavventura fa il giro del mondo sollevando polemiche sul modo in cui è stata gestita la comunicazione della sua salita e sulla spettacolarizzazione dell’alpinismo.

Molti, dopo un’avventura come quella sperimentata sul Nanga Parbat, si sarebbero fermati. Humar un anno dopo è sul Baruntse mentre il 2007 lo vede solitario sulla parete sud dell’Annapurna, su cui apre una nuova via. Due anni dopo tenta allo stesso modo il Langtang Lirung, raggiunge la vetta per la parete sud poi, in discesa, subisce un grave incidente che lo immobilizza. Si trova a cica seimila metri e si prova un recupero, ma gli elicotteri riescono a raggiungerlo solo il 14 non potendo fare altro che riportare a valle il suo corpo senza vita.

Sull’alpinismo di Humar si è detto molto, sia durante la sua breve vita, sia dopo. Di certo non ha mai amato le regole, ed è sempre stato fuori dagli schemi classici. Amore e odio sono stati i due sentimenti più comuni verso il suo modo di vivere la montagna, verso il suo modo di ambire ai sogni.

Riconoscimenti

  • 1996 – Piolet d’Or per la nuova via in solitaria sull’Ama Dablam.
  • 1996 – Alpinista sloveno dell’anno
  • 1999 – Premio Bloudek
  • 1999 – Ordine d’argento della libertà della Repubblica di Slovenia
  • 2000 – Genziana alla Carriera

Curiosità

Nei primi anni Duemila Tomaž Humar rimane vittima di un grave incidente nel cantiere della propria casa. Una brutta caduta con cui provoca la rottura del femore destro e una lesione al tallone sinistro. L’incidente ha conseguenze disastrose. Humar viene sottoposto a dieci delicati interventi chirurgici che alla fine riescono a stabilizzare la situazione, ma la diagnosi è pesante: sedia a rotelle. Ma alla fine riesce a rimettersi in piedi e in qualche modo cammina. La sua gamba destra è più corta della sinistra e la caviglia sinistra in parte bloccata, ma cammina. Una volta in piedi riesce, in breve, a tornare sul terreno verticale.

“L’80 percento dell’alpinismo è nella tua testa. Con un’efficace preparazione psicologica le difficoltà soggettive della spedizione possono essere controllate, ma ovviamente i pericoli oggettivi della scalata sono ancora presenti: lassù ci sei solo tu e la montagna, nient’altro. “

Tomaž Humar

Articolo scritto da Gian Luca Gasca, pubblicato originariamente l’1 marzo 2022 e aggiornato dalla redazione di montagna.tv il 16 febbraio 2024.

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