Gente di montagna

Buon compleanno Ignazio Piussi, Ladro di montagne

Il formidabile scalatore friulano nasceva il 22 aprile 1935. “Fu il più grande della sua epoca” disse di lui Reinhold Messner

L’alpinista è grande se la sua vittoria è grande; e la vittoria dell’alpinista è sempre una sola: quella su sé stesso e sulle condizioni che la sua anima gli pone. 

Dal libro “Ladro di Montagne” su Ignazio Piussi

E’ il 22 aprile 1935 quando Ignazio Piussi apre gli occhi sul mondo e in particolare sulle montagne della Val Raccolana, nel cuore delle Alpi Giulie. Nel borgo di Pezzeit cresce fortificato dal lavoro in malga e dalle spallate dei nove fratelli nati prima di lui. Non segue subito le orme di nonno Giuseppe e zio Osvaldo, alpinisti e Guide che accompagnarono anche Julius Kugy nelle sue esplorazioni, ma si lancia nel mondo sportivo. Fisico da atleta, 182 cm per 86 kg, pratica il salto dal trampolino e lo sci di fondo vincendo numerose gare. Passa poi al biathlon e al bob con il ruolo di frenatore. Una lussazione alla spalla durante un salto dal trampolino a Cortina nel 1954 interrompe la sua carriera da atleta, costringendolo a spostare le sue energie nel mondo verticale. 

Lorenzo Bulfon e i fratelli Perissutti sono i suoi compagni nei primi approcci all’alpinismo che culminano in alcune aperture sulla Nord del Mangart, il suo massiccio di casa, toccando inconsapevolmente il VI grado.

Appena ventenne compie il primo grande exploit lontano da casa, effettuando la prima ripetizione della Lacedelli-Ghedina-Lorenzi alla Cima Scotoni, a quel tempo considerata la via più difficile delle Alpi. Un solo chiodo gli permise di superare un tratto che nel 1952 i Cortinesi si racconta superarono con una piramide umana, e la sua forza lo spinse oltre quegli appigli che, sempre loro, spaccarono per mettere in difficoltà i ripetitori. Che siano leggende? In ogni caso con il clamoroso successo Ignazio non si riempie lo stomaco, anzi, per non soffrire ancor di più la fame, lavora come cacciatore prima e minatore poi. Proprio nelle Cave di Predil conosce altri scalatori allargando i suoi orizzonti.

Sottrae del tempo al lavoro come volontario nel Soccorso Alpino del Friuli Venezia Giulia fin dalla sua fondazione nel 1954. Conosce il Mangart come le sue tasche e ciò porta sia a numerosi salvataggi di clandestini in fuga dalla Jugoslavia sia alla riuscita della traversata integrale invernale del massiccio nel 1956, con Lorenzo Bulfon, Arnaldo Perissutti e Bruno Giacomuzzi.

Mette la firma, sempre con parsimonioso uso di chiodi, anche sul pilastro est di Cima Veunza nel 1955.

Dopo il servizio militare nell’artiglieria di montagna lavora come boscaiolo, ritagliandosi qualche giornata in parete, anche da solo; ne è un esempio la sua prima salita solitaria della “Deye- Peters” alla Torre Madre dei Camosci, nel massiccio del Jôf Fuart.

Sulla Torre Trieste il suo capolavoro

Nelle Alpi Giulie dà il meglio di sé scalando in libera, mentre appena fuori casa si dimostra portento nell’artificiale. In questo stile, tra il 6 e il 10 settembre 1959, realizza con Giorgio Redaelli il suo capolavoro: una linea a goccia d’acqua lungo la Sud della Torre Trieste. 330 chiodi normali, 90 espansione e 45 cunei di legno gli sono necessari per vincere 800 metri di roccia talmente incerta da sconsigliarne la ripetizione all’amico Roberto Sorgato. Perfino Rolando Larcher, che ne effettuò la prima salita in libera nel 2003 toccando il 7B, ribadì quanto la roccia fosse marcia.

Oltre al materiale alpinistico Piussi racconta: «Avevo rubato dei manici di scopa al Rifugio Vazzoler, li avevo segati e me li ero messi in tasca. Li infilavo in quei buchetti che ci sono lì, fatti dai fossili, e poi mettevo il chiodino. Bastava che uno partisse e li avrei tirati giù tutti». Non solo la grandiosa salita non trova il giusto clamore ma il giovane squattrinato deve pure farsi in quattro per ripagare l’uso delle cuccette. Altro che i tappeti rossi stesi ai giorni d’oggi ad alpinisti con la metà del suo valore.

Dal Freney al Civetta

Nel 1961 non può restare impassibile ai fermenti alpinistici sul rosso granito del Monte Bianco. La nota “tragedia del Freney” si è appena conclusa e i migliori alpinisti sono in gara per la conquista. E’ l’1 agosto quando, con Pierre Julien, mette piede sulla vetta, scaricato da un elicottero, per calarsi lungo la Cresta di Peuterey fino alla base del Pilone Centrale del Freney. Dopo tre giorni, uno zaino caduto nella crepacciata e il brutto tempo in arrivo interrompono la salita. Che sia lo spirito della montagna che vuole scuotersi di dosso chi le si avvicina con mezzi poco leali?

Piussi non demorde e torna a fine mese con Desmaison e altri due francesi ripetendo, a poche ore di distanza, la via appena percorsa da Chris Bonington e Don Whillans, utilizzando proprio le corde che gli inglesi avevano lasciato per superare l’ultimo difficile tratto.

Per togliersi il sapore amaro di questa prima ascensione mancata, torna nelle Dolomiti dove compie grandi nuove salite. Il 13 agosto 1962 apre la “Via del Pilastro”, sulla Nord del Piccolo Mangart di Coritenza, con Sergio Bellini e Umberto Perissutti. 

Lascia il segno sulla Nord Ovest del Civetta aprendo la “Via del miracolo”, grande salita in artificiale che sbuca su Punta Tissi, realizzata con Roberto Sorgato e Pierre Mazeaud dal 29 luglio al 2 agosto 1965. 

Il suo approccio misto di libera e artificiale di esprime al meglio sulla Cima su Alto della quale vince lo spigolo sud-ovest piantando solo 22 chiodi a pressione in tre giorni, dal 15 al 18 agosto 1967, con Aldo Anghileri, Alziro Molin, Ernesto Panzeri.

Nell’inverno del 1963, tra il 28 febbraio e il 7 marzo, mette a dura prova il suo fisico, scolpito dal lavoro e dall’allenamento, lottando sulla Nord Ovest del Civetta per otto giorni e tornando con otto chili in meno. Piussi trascina i compagni lungo la mitica “Solleder-Lettenbauer” realizzandone così la prima ripetizione nella stagione fredda. Nemmeno la rottura del fornello al terzo giorno lo ferma; risolve il problema spezzettando i cunei di legno per accendere piccoli fuochi per cucinare e sciogliere la neve. Perseveranza o sopravvivenza? Un’impresa tanto grande da dover attendere il 2000 per vederne una replica, questa volta in solitaria, ad opera di Marco Anghileri.

Pur cresciuto sulla roccia ama le avventure tra neve e freddo, tanto da provare per ben tredici volte la leggendaria Nordwand dell’Eiger che lo respinge ogni volta con un tempo orribile. 

L’Antartide e la spedizione al Lhotse

Questa sua passione trova sfogo ad inizio 1969 quando, con Marcello Manzoni, partecipa ad una spedizione in Antartide del CAI-CNR. I due raggiungono la vetta di otto cime vergini in ventuno giorni trascorsi nel bianco assoluto con tutto il necessario per sopravvivere sulle loro slitte. Affascinato da questa terra desolata, vi torna quattro anni più tardi per raggiungere la vetta del Monte Obelisk.

A Ignazio piace poco parlare delle sue imprese e, spesso, alcune restano inosservate come il suo giro in giornata sul tetto d’Europa. Partito da Chamonix, passa per le Dome du Gouter, le vette di Monte Bianco, Maudit, Tacul e torna alla cittadina francese per la Vallée Blanche. Un’impresa tuttora degna dei migliori alpinisti fast and light che dimostra il suo coraggio e la sua resistenza fisica.

Si mette in gioco anche come scalatore e protagonista nella pellicola “Abîmes” (Abissi) realizzato da Gilbert Dassonville nel 1972 e Genziana d’Oro CAI al Film Festival di Trento l’anno successivo. 17 minuti per ripercorrere l’avventura dell’amico Roberto Sorgato sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo. 

Prima di ritirarsi dall’alpinismo partecipa alla spedizione italiana del 1975 al Lhotse, guidata da Riccardo Cassin e di cui faceva parte anche Reinhold Messner. Proprio quest’ultimo dichiarò che Piussi è stato l’alpinista più forte degli anni Sessanta.

Nella sua carriera venne a contatto con i grandi nomi del panorama alpinistico internazionale, da Mazeud a Hiebeler, da Desmaison a Bonington, esperienze che gli permisero anche di imparare molte lingue senza studiarle sui libri. 

Visto il carattere aspro come le sue montagne, non si legò fisicamente e metaforicamente con tutti anzi, la sua sincerità e schiettezza gli crearono numerose inimicizie, amplificate da invidie per i suoi traguardi. 

Amante dei lavori manuali, si dedica alla gestione di Malga Gregnedul a Sella Nevea, dove trascorre gli ultimi anni chiacchierando con alpinisti di ogni generazione che passavano a trovarlo. 

Tra i più grandi protagonisti del mondo verticale degli anni ‘50-‘70, Ignazio Piussi ci lascia l’11 giugno 2008 nell’ospedale di Gemona, con alle spalle 73 anni di grandi avventure in tutto il mondo.

Libri

  • Nereo Zeper, Ladro di montagne, Franco Muzzio Editore, 1997. 
  • Marcello Manzoni, Zingari in Antartide, Alpine Studio, 2012.

Film

  • Ladro di montagne – Ignazio Piussi: montanaro, alpinista, esploratore,  regia di Nereo Zeper,  1999/ 58’. Vincitore della Genziana d’Argento al Trento Film Festival.

“E’ stato un caposcuola, noi siamo nati e cresciuti sulle sue tracce. E gli saremo sempre debitori. Aveva una caratteristica comune appunto ai grandi: era semplice sino all’umiltà”

Nives Meroi

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close