Cronaca

Addio a “The human fly”. Joe Brown si spegne a 89 anni

Se ne è andato lo scorso 15 aprile, a 89 anni, Joe Brown primo salitore del Kangchenjunga insieme a George Band. Nato il 26 settembre 1930 è stato un pioniere dell’arrampicata su roccia, esponente di una nuova generazione di scalatori inglesi provenienti dalla classe operaia e non più dall’agiata media e alta borghesia. Ad avvicinarlo a questo mondo sono le parole di Colin Kirkus, uno dei più forti scalatori d’inizio secolo, lette negli anni giovanili.

Carismatico e determinato Brown è stato capace di portare l’arrampicata a un nuovo livello grazie anche alle sue doti di forza e tecnica unite a un sano senso etico che gli impone di riuscire nelle sue salite utilizzando al massimo due chiodi per ogni tiro di corda. Nel caso fosse impossibile vorrebbe dire che non è ancora arrivato il tempo per riuscire su quella linea.

Le sue doti emergono fin dalle prime scalate su roccia nel vicino Peak District dove, tra il 1948 e il 1949, apre quelle che oggi rappresentano delle grandi classiche per gli appassionati come Brown’s Eliminate sulla falesia di Froggatt oppure Right Unconquerable sull’arenaria di Stanage. Nel 1952 poi, insieme a Doug Belshaw, mette a segno quello che è ritenuto il suo capolavoro assoluto: Cenotaph Corner sull’affioramento roccioso dalla caratteristica forma a libro aperto di Dinas Cromlech, nel nord-ovest del Galles. La via è oggi una pietra miliare per gli arrampicatori inglesi, forse la via più conosciuta di tutto il Regno Unito. Un punto di passaggio per poter fare qualcosa di più. Un grande diedro affrontato da Brown con ai piedi solo un paio di calze e la roccia ancora bagnata, una testimonianza immortale della sua grandezza.

Soprannominato The master e The human fly ha segnato un’epoca guidando una generazione verso qualcosa di nuovo e un tempo creduto impossibile. Gli sono bastati venti anni di carriera per affermarsi nel mondo dell’arrampicata diventando una leggenda.

Dalle Alpi all’Himalaya

Verso la metà degli anni Cinquanta il nome di Joe Brown inizia a farsi conoscere anche fuori dal Regno Unito, nel mondo degli alpinisti d’alta quota. Dopo aver tracciato, insieme a Don Whillans, la via Sassenach sul Ben Nevis (un percorso estremo, divenuto grande classico e ambito da molti) decide di muovere i suoi primi passi sulle Alpi. Qualche ripetizione, per prendere confidenza, poi una nuova linea sull’Aiguille de Blaitière (3522 m, Monte Bianco) e la terza salita della ovest del Petit Dru in sole 25 ore. Una performance che genera un certo vociare attorno alla sua figura, e a quella del compagno Whillans, tanto che una volta rientrato in patria viene invitato a prendere parte alla spedizione britannica diretta all’inviolata terza vetta del Pianeta: il Kangchenjunga. Sarà proprio lui, insieme a George Band, a violare la montagna raggiungendo la vetta il 25 maggio del 1955. L’incontro con l’aria rarefatta accende una scintilla di passione che l’anno successivo lo spinge in Karakorum, alla ricerca di un accesso alla Torre Muztagh (7273 m) dove riesce insieme a Ian McNaught-Davis, Tom Patey e John Hartzog.

Negli anni a venire continuerà a effettuare viaggi di esplorazione sulle montagne del mondo. Sul massiccio del Monte Bianco si renderà protagonista di numerose nuove vie con diversi compagni, tra cui figura anche il connazionale Chris Bonington. E ancora in Karakorum dove, nel 1976, riuscirà nella difficile salita della Nameless Tower (gruppo di Trango) dove lui e i suoi compagni Martin Boysen, Julian Mo Anthoine e Malcom Howells si troveranno a superare in liberà difficoltà mai toccate prima in altissima quota.

A fianco della sua attività alpinistica Joe Brown ha dato un notevole contributo allo sviluppo dei materiali per la tecnica e la sicurezza in quota.

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