Gente di montagna

Jerzy Kukuczka, un amore infinito

Il secondo uomo a scalare tutti i 14 Ottomila ha lasciato un ricordo indelebile, che va ben oltre le sue doti alpinistiche. Nonostante i pochi mezzi a disposizione riuscì a compiere salite estreme. Con tenacia e semplicità

Se si volessero paragonare gli alpinisti polacchi con gli occidentali bisognerebbe prendere come esempio le automobili di loro produzione: perfette, ma su strade perfette. Quelle polacche sono rozze, brutte e antieconomiche ma resistono molto più di un fuoristrada e possono sostituire anche un carro armato. Jerzy Kukuczka

Ritenuto uno dei più forti alpinisti del suo periodo Jerzy Kukuczka era un fuoriclasse, un visionario, un sognatore. Un uomo fatto di montagna. “Aveva bisogno della montagna come fosse il pane” racconta di lui la moglie Cecylia. “Le vette lo attraevano come una calamita, una passione senza fine”. Jurek, come lo chiamavano gli amici, è stato un tornado per il mondo dell’himalaysmo.

In appena 8 anni porta a termine la salita dei 14 Ottomila, divenendo il secondo uomo al mondo a completare questa cavalcata dopo Reinhold Messner. Durante queste salite apre dieci nuove vie e per ben quattro volte raggiunge la vetta di un Ottomila in inverno, tra cui Dhaulagiri, Kangchenjunga e Annapurna in prima assoluta.

Per ripercorrere la figura leggendaria di Kukuczka vi suggeriamo il film Jurek“, disponibile su YouTube sottotitolato in lingua inglese.

Gli Ottomila

Nato il 24 marzo 1948 Jerzy Kukuczka è certamente il più famoso tra gli alpinisti polacchi. Nonostante questo rispetto ad altri suoi colleghi occidentali, durante il corso della sua vita non ottenne mai un riconoscimento mediatico pari a quelle che sono state le sue realizzazioni alpinistiche.

Cresciuto sui monti Beschidi, nel piccolo centro di Istebna (dove oggi gli è dedicato un museo curato dalla moglie Cecylia), si avvicina alla montagna intorno ai 17 anni dopo una piccola parentesi dedicata al sollevamento Pesi. I suoi primi approcci al mondo verticale li ha con i gruppi scout. Con loro frequenta i corsi di arrampicata, sui monti Tatra, scoprendo la sua vera passione. Un amore vero e sincero per la montagna, per le verticalità più strapiombanti, per quei tracciati che solo lui riusciva a immaginare.

Cresciuto nella Polonia del secondo dopoguerra la sua carriera alpinistica, come quella di tutti i polacchi, è stata complessa e sempre alla continua ricerca di risorse con cui poter finanziare i nuovi progetti. Come Krzysztof Wielicki ha spesso sottolineato, si facevano i lavori più svariati per riuscire a racimolare i soldi necessari. “Dipingevamo in velocità le ciminiere delle fabbriche”, poi partivano e stavano via mesi alla ricerca di un obiettivo alpinistico che pochi altri avevano il coraggio di immaginare. I suoi compagni erano i polacchi degli anni Ottanta, oltre al già citato Wielicki, ne facevano parte Wojciech Kurtyka, Artur Hajzer e Ryszard Pawłowski.

Il suo primo approccio con l’aria rarefatta fu nel 1979 quando raggiunse la vetta del Lhotse seguendo la via normale. Un battesimo che l’avrebbe portato a compiere, in tempo record, l’ascesa dei 14 Ottomila. Soli otto anni, contro i sedici impiegati dall’italiano Messner, aprendo dieci nuove vie e salendone 4 in invernale. “Non sei stato il secondo, sei stato il più grande” il telegramma inviatogli da Reinhold Messner dopo la salita dello Shisha Pangma con cui il Kukuczka chiuse la sua corona himalayana nel 1987.

Non poté che togliersi il cappello Reinhold di fronte a un formidabile fuoriclasse. Sette volte in stile alpino su un Ottomila, nel 1985 ne salì tre (Dhaulagiri e Cho Oyu in invernale; Nanga Parbat per una nuova via). Nel 1986 ne aggiunse altri tre: Kangchenjunga in prima invernale con Krzysztof Wielicki; il Manaslu per una nuova via in stile alpino; e il K2 con Tadeusz Piotrowski. Una scalata estrema quella sul K2 che portò i due alpinisti ad aprire la “Via Polacca” alla parete sud, tutt’ora irripetuta. La più pericolosa via dell’Himalaya, definita “suicida” da Messner, perché oltre a essere estremamente difficile da un punto di vista tecnico è anche rischiosamente esposta alle valanghe. La scalata costrinse gli alpinisti a quattro bivacchi sulla montagna, sopra quota ottomila, senza riparo cibo o acqua. Una condizione che portò i due al limite e a tragiche conseguenze. Nel corso della discesa Tadeusz perse i ramponi quindi cadde nel vuoto e non venne più ritrovato. Kukuczka continuò invece la sua marcia verso il campo base, vi arrivò distrutto ma vivo.

Con il completamento dei 14 Ottomila ci si sarebbe aspettati una perdita d’interesse verso le più alte montagne della terra, ma così non fu. Anzi, pochi mesi dopo aver terminato le sue salite eccolo ripartire per una spedizione. La meta fu il suo primo Ottomila, il Lhotse, su cui si mosse con l’intenzione di aprire una nuova via lungo l’inviolata parete sud. Una parete mastodontica e spaventosa che il polacco, insieme a Ryszard Pawłowski, stava per portare a compimento. Si trovavano a una quota di circa 8200 metri e stavano attaccando la vetta quando la vecchia corda a cui era ancorato, acquistata per pochi soldi in un mercato di Kathamandu, ha ceduto sfilacciandosi. Il volo fu eterno e fatale e il suo corpo non venne mai ritrovato. Era il 24 ottobre 1989.

Curiosità

Dopo la sua morte, in Polonia molte scuole materne, elementari, medie inferiori e superiori sono state intitolate alla memoria di Jerzy Kukuczka. Come le scuole anche molte strade hanno preso il nome dell’alpinista.

In suo ricordo le poste polacche hanno emesso un francobollo che lo ritrae con, sullo sfondo, la catena himalayana.

Ogni anno a Katowice, nel sud ovest della Polonia (non molto distante dal luogo di nascita dell’alpinista), si tiene la Kukuczki Marathon, gara di corsa dedicata all’alpinista.

Onorificenze

Ordine olimpico d’argento 1988

Libri

Il mio mondo verticale, Versante Sud, 2012

In un mese tra le montagne si vivono molti anni. È una occupazione per uomini bramosi di vivere e di vita, noi uomini ne abbiamo troppo poca. Jerzy Kukuczka


Articolo scritto originariamente da Gian Luca Gasca, aggiornato dalla redazione di montagna.tv il 22 marzo 2024.

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9 Commenti

  1. “Ritenuto uno dei più forti alpinisti del suo periodo”

    beh si può dire sia ritenuto uno dei più forti della storia (per molti è IL più forte), ed è spesso citato come il migliore himalaysta di sempre.

    1. Concordo, in quegli anni non c’era la tecnologia che oggi “supporta” gli alpinisti. Jerzy appartiene a quella categoria di alpinisti che resistevano a gelo e fatica senza perdere la lucidità mentale. Egidio

  2. Grazie a Gianluca Gasca per questi suoi articoli così interessanti che aiutanto chi, come me, si è avvicinato a questo mondo (solo da lettrice però…) da pochissimo tempo.

  3. Solo una piccola precisazione, proprio alla fine: era il 24 ottobre del 1989 e non del 1987 a quanto ne so. In quei giorni ero a Kathmandu e credo di aver incrociato i polacchi della spedizione per le vie della città, fortissimi e bruciati dal sole. Bellissimo articolo comunque.

  4. La componente più interessante della montagna, in particolare l’alpinismo himalayano invernale, è l’avventura !
    Io che sono un signor nessuno ho sempre ammirato quest’uomo e le sue salite che reputo oramai irripetibili
    poiché tutto è cambiato grazie materiali, tecnologia, comunicazioni …
    Grazie Jerzy, per me sarai sempre il numero 1

  5. Quest’Uomo e stato Uno die piu forti alpinisti che non a Mai esistito,la sua Tenace Forza e Grande Intelligenz la guidato a fare straordinaria imprese non Solo imalaiane ma in tutto parco Alpino. Io riccordo tutti Le Sue grandi imprese leggero e personalmente seguendo Queste imprese dandomi delle sobbisfazioni di gioia.lui sarra e rimmara sempre Il piu Grande Alpinista di questo universo Sara un Grande esempio per Le nuove generazioni.di Alpinisti.

  6. Come molti alpinisti dicevano che Messner fosse il successore di Bonatti, così molti himalaysti dicono che Urubko sia il degno successore di Kukuczka.
    Per me sono bellissime storie !

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