AlpinismoGente di montagna

A tu per tu con Benjamin Védrines: velocità e immaginazione al potere

Il forte scalatore francese ha collezionato, anche nelle scorse settimane, notevolissime salite sul Bianco e negli Ecrins. Con il K2 all’orizzonte

L’uomo dei record. In ordine sparso ricordiamo alcune delle sue imprese: 7h28 per il Broad Peak; Pelvoux-Dôme-Meije in 14 ore; la Chamonix-Zermatt con gli sci in meno di 15 ore; la prima invernale in giornata della Gousseaut-Desmaison sulla nord delle Grandes Jorasses; 6h50 per l’Integrale di Peuterey; la recentissima trilogia in invernale Drus -Droites- Jorasses.

Nell’universo DC, Benjamin Védrines, ambassador di The North Face, sarebbe senz’altro Flash, il supereroe capace di violare le leggi della fisica. Dopo le imprese delle ultime settimane sulle Alpi e alla vigilia del suo ritorno sul K2, gli abbiamo posto alcune domande. Per conoscerne meglio il pensiero e le scelte di una vita sempre al massimo.

Fai tante cose diverse: dalle salite tecniche nelle Alpi alle grandi vie in Himalaya. Ma ciò che prediligi sono i record di velocità?

Per me il fatto di essere polivalente sta nel principio stesso di essere un alpinista. La montagna offre grande varietà e l’alpinista è quello che riesce a godere di tutte queste diverse sfumature.

La velocità mi piace da sempre. Per due motivi. Il primo è che amo la sensazione di leggerezza, efficacia, dinamicità, fluidità. Se sei veloce, sei efficace, sei padrone di cosa stai facendo. Il secondo motivo è che la velocità mi permette di essere creativo. Andare in montagna, per me, non è solo un atto sportivo ma è creazione, immaginazione. Mi piace poter immaginare nuovi progetti, concatenamenti, sfide un po’ fuori dagli schemi. È un modo per mettermi alla prova ma fuori dagli schemi standard delle gare.

La lentezza è limitante, quindi?

Rispetto la lentezza, però, sì, mi da frustrazione. Io cerco di essere “semplicemente veloce”. Non deve essere una velocità forzata, deve essere naturale, vera. Proprio come gli stambecchi. Che li guardi correre come dei pazzi sulle rocce ma con grande naturalezza e solidità. Io voglio essere una piuma, leggera per sua natura.

Con obiettivi così, non è facile trovare dei soci di cordata!

Ahahah, eh no! Amo la solitudine, sono un po’ un orso e andare in montagna da solo è un rifugio per me. A diciotto/diciannove anni facevo solo sci ripido da solo, non mi interessava andare con gli altri. Poi, ad un certo punto, ho smesso perché non mi piaceva più il rischio tout court. Ho ricominciato con lo sci ripido, dopo anni di pausa, insieme a dei soci perché ho scoperto la bellezza della condivisione in quelle situazioni.

Ora sto cercando un equilibrio tra il bisogno di solitudine e la voglia di compagnia; cerco di coltivare entrambe le cose. Ma più si sale di livello e più gli alpinisti si specializzano nella loro nicchia. È davvero difficile trovare soci con gli stessi obiettivi.

Il rischio fa parte della tua vita?

Assolutamente. E lo accetto. Ho bisogno di andare in montagna, è una dipendenza. Ho tanti progetti per il futuro e non mi voglio porre limiti. In ogni caso, reputo che il mestiere di guida alpina sia pericoloso tanto quanto l’alpinismo estremo. La montagna pone rischi a qualsiasi livello.

Come ti stai preparando per il K2, il tuo prossimo grande obiettivo?

Con un approccio più professionale e maturo rispetto al passato. A livello psicologico, sono seguito da un mental coach che mi aiuta a capire come prendere le decisioni migliori quando sarò lassù. Sto puntando anche tanto sulla dieta, il cibo può essere un alleato contro l’ipossia. E poi mi sto allenando in modo specifico con il coach Leo Viret. Ora sto facendo tanto volume, soprattutto sci alpinismo e bici. Preparo una buona base fisica per i prossimi due mesi circa. Poi inizierò con allenamenti più specifici e strutturati sempre su resistenza e velocità. Scalerò poco, solo una volta a settimana, tanto comunque perderò il mio livello durante la permanenza in Himalaya.

Le tue ascensioni spesso diventano film. Cosa significa filmare mentre si è in azione?

Questo per me è un aspetto molto importante, viene considerato molto poco ma in realtà ha un impatto sulla scalata. Realizzare contenuti implica energia ma soprattutto tempo. A volte devi sacrificare minuti per riprendere, per realizzare delle immagini particolari. Sono tutti minuti che togli a quello stai facendo in montagna in quel momento. Per me, è un aspetto che cambia molto da progetto a progetto.

Quando ho molta voglia di condividere ciò che sto facendo, sono disposto a perdere del tempo per filmare. Altre volte, invece, preferisco concentrarmi di più sulla salita. Ma, a dir la verità, l’atto di filmare mi piace molto e mi viene naturale. Filmo da quando ho salito la mia prima cima a sedici anni e non riesco a non farlo ogni volta che vado in montagna. Ho hard disk pienissimi di materiale.

La montagna è l’unico punto fermo nella tua vita?

La montagna e la mia compagna Anne sono i miei pilastri. Stiamo insieme da undici anni e mi sostiene in tutto. Lei mi segue in ogni mio progetto e mi incoraggia. È davvero importante e speciale avere una accanto una persona così.

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