Alpinismo

In volo per l’Asia. Il 20 aprile 1954 partì la spedizione italiana al K2

La spedizione italo-pakistana al femminile partirà a metà maggio, l’anniversario della prima salita del K2 cadrà a fine luglio. Pochi ricordano, invece, che 70 anni fa gli alpinisti lasciarono l’Italia già a fine aprile

La luce è bassa e intensa, perché il sole ormai sta tramontando, e in qualcuna delle immagini si vede l’ombra della cima che si allunga verso l’orizzonte. Tre bandierine legate a una piccozza garriscono violentemente nel vento.   

I due alpinisti delle foto si chiamano Lino Lacedelli e Achille Compagnoni, hanno rispettivamente 29 e 40 anni, vengono da due località alpine celebri come Cortina d’Ampezzo e Cervinia. Le immagini, parte in bianco e nero e altre a colori, li mostrano sulla cima del K2, 8611 metri, la seconda montagna per quota della Terra. Sono saliti dal Pakistan, davanti a loro si spalanca la Cina. 

Negli anni a venire, quelle foto di Achille e di Lino usciranno su quotidiani e riviste, su libri ed enciclopedie, e verranno riprese nelle copertine illustrate della “Domenica del Corriere” e in fumetti. Il breve video che i due riescono a girare lassù verrà inserito in “Italia K2”, un film che avrà un enorme successo. A Genova, il 5 settembre, 40.000 persone accoglieranno il ritorno via mare della squadra.    

Non occorre praticare l’alpinismo, né essere degli esperti di montagna, per capire che la spedizione del 1954 al K2 è un momento di svolta per l’Italia. Le macerie della guerra sono ancora vicine, il boom economico è lontano, la Nazionale di calcio non brilla, e milioni di sportivi italiani si consolano con le vittorie di Gino Bartali e Fausto Coppi al Tour de France e al Giro d’Italia. 

Il permesso di salire ottenuto in cambio della costruzione di una diga

Nel 1953 il Presidente del Consiglio è Alcide De Gasperi, un trentino che conosce la montagna, e quando il geologo friulano Ardito Desio gli chiede aiuto per organizzare una spedizione al K2 si entusiasma. Pochi giorni prima Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay hanno conquistato l’Everest, e l’impresa è stata celebrata in Gran Bretagna e in tutto il mondo.   

Quando il premier pakistano Mohammed Alì Bogra viene a Roma i due statisti si incontrano, e l’accordo viene rapidamente firmato. Gli alpinisti italiani potranno tentare il K2 nel 1954. In cambio le nostre aziende costruiranno la diga di Tarbela sull’Indo, decisiva per fornire acqua ed energia alla popolazione del Pakistan. Non apprezzano l’accordo gli americani, che hanno tentato il K2 nel 1953 e vorrebbero tornare un anno dopo, e invece restano come i francesi nella celebre canzone di Paolo Conte su Bartali.

Oggi gli “ottomila” dell’Asia fanno ancora vittime, ma come i lettori di Montagna.tv sanno bene, vengono saliti ogni anno da uomini e donne che utilizzano un’attrezzatura collaudata e sicura. La spedizione del 1954 è anche un grande esperimento, dove gli alpinisti testano ogni giorno il vestiario e i materiali “made in Italy”, dalle tende fino ai respiratori e alle bombole, dalle corde di nylon alle piccozze, dai ramponi agli scarponi di pelle di renna. 

La prima ascensione del K2 cambia l’alpinismo italiano, perché gli uomini del Monte Bianco e delle Dolomiti si incontrano, le guide alpine e i borghesi di città collaborano, il patois degli alpinisti di Courmayeur e il tedesco dell’altoatesino Erich Abram si mischiano con gli accenti di Milano, di Biella, di Piacenza e della Carnia 

La base del K2 si raggiunge dalla città pakistana di Skardu, che la spedizione raggiunge in aereo, con quindici e più giorni di cammino (la parola trekking non è ancora stata inventata) prima tra deserti, oasi, ponti da paura e traversate esposte che secondo Pino Gallotti “richiedono qualche nozione di arrampicata su roccia”. 

La via di salita, che segue via via lo Sperone Abruzzi, la Piramide Nera, la Spalla e il famigerato Collo di Bottiglia, e ha tra i passaggi più famosi il camino-diedro superato nel 1938 dall’americano Bill House, è pericolosa e difficile dal primo fino all’ultimo metro. Oltre al 31 luglio, quando Lacedelli e Compagnoni arrivano finalmente sulla cima, altre giornate dell’estate del 1954 sono destinate a entrare nella storia. 

Una è certamente il 30 luglio, quando Walter Bonatti e il portatore Amir Mahdi portano fino a 8100 metri di quota le pesantissime bombole di ossigeno per la cordata di punta, bivaccano con 40° sottozero. Tornano a valle vivi ma Mahdi, che ha degli scarponi meno caldi, subisce gravi congelamenti e si ritrova con i piedi mutilati. I resoconti ufficiali ignoreranno o quasi l’episodio, e la polemica andrà avanti per cinquant’anni. 

Il giorno della preghiera e del dolore è il 21 giugno, quando la guida valdostana Mario Puchoz viene uccisa da un edema polmonare in una tenda a 6300 metri di quota. Cinque giorni dopo, quando gli alpinisti e i portatori d’alta quota riescono a riportare il suo corpo a valle, Mario viene sepolto nei pressi del campo-base, di fronte alla roccia e alle nevi del gigantesco versante meridionale del K2. 

La festa della partenza dall’Italia

Contrasta con queste immagini dure l’allegra partenza dall’Italia degli alpinisti il 20 aprile. Il capospedizione Ardito Desio e il medico Guido Pagani sono già in Pakistan, Mario Fantin e Francesco Lombardi, rispettivamente il cineoperatore e il topografo, stanno viaggiando via mare, per vegliare sulle tredici tonnellate di bagaglio.

Tutti gli altri si radunano il 19 aprile a Milano, dove il cardinale Ildefonso Schuster dona alla spedizione una copia della “Madunina” del Duomo. Gli alpinisti sono giovani, robusti, abbronzati e non hanno mai preso l’aereo. Nelle prossime ore scopriranno gli odori e i quartieri malfamati di Beirut (che all’epoca di scrive Beyrouth, alla francese) e i cammelli e le donne velate di Karachi.
Quando decollano da Ciampino alla volta dell’Asia gli alpinisti sono emozionati e agitati, guardano il paesaggio dal finestrino, fanno domande e commenti ad alta voce. Gli altri passeggeri, uomini d’affari o turisti, li guardano con un po’ di fastidio, e chiedono agli italiani se il loro gruppo sia un’orchestrina in trasferta. Invece Lacedelli e Compagnoni, Puchoz e Bonatti, Gino Soldà, Cirillo Floreanini, Erich Abram e tutti gli altri non vanno a suonare in un night-club di Beirut o di un’altra città dell’oriente. Vanno a scrivere una pagina importante di storia, quella dell’alpinismo e di tutti noi.   

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