Alpinismo

Le 10 tragedie più gravi dell’alpinismo in Asia, dall’Himalaya al Pamir

Sfortuna, impreparazione, valutazioni errate, malattie. L’alta quota non fa sconti. Ecco le pagine più drammatiche della storia dell’alpinismo sulle montagne asiatiche

In 128 anni di storia, dalla scomparsa di Albert Frederick Mummery e dei Gurkha Ragobir Thapa e Gaman Singh nel 1895 sul Nanga Parbat, l’alpinismo sulle vette dell’Himalaya, del Karakorum e delle catene vicine, dall’Hindu-Kush al Pamir, ha causato più di mille vittime. Non sarebbe giusto, però, ricordare gli incidenti alpinistici più gravi senza pensare alle molte migliaia di montanari dell’India, del Nepal, del Pakistan e dei paesi vicini uccisi nello stesso periodo da frane, inondazioni e terremoti.

Particolarmente pericolose, negli ultimi anni, sono state i GLOF (Glacial Lake Outburst Floods), le inondazioni causate dal crollo di laghetti che il riscaldamento globale ha creato all’interno dei ghiacciai. Il 7 febbraio del 2021, una massa d’acqua che ha percorso le valli di Ronti Gad, Rishiganga e Dhauliganga, nello stato indiano dell’Uttarakhand, ha distrutto decine di villaggi e ucciso oltre 200 persone.

1. Everest 1922, morte al Colle Nord

Il ripido pendio che sale ai 7000 metri del Colle Nord è il tratto più pericoloso della via di salita dal Tibet. Il 7 giugno 1922, nonostante la neve fresca e il caldo, la seconda spedizione inglese all’Everest parte per un nuovo tentativo. Gli alpinisti Somervell, Mallory, Crawford e Noel salgono seguiti da 14 portatori tibetani e sherpa. Alle 13.30 il pendio si stacca, quando la valanga si ferma gli inglesi e 5 portatori tornano in superficie, ma 9 tibetani e sherpa sono stati sepolti in un crepaccio, e per 6 di loro non c’è niente da fare. “Solo sherpa e tibetani sono morti, perché uno di noi britannici non ha condiviso il loro fato?” scrive Somervell nel suo After Everest.

2. Nanga Parbat 1934 e 1937, le bufere e le valanghe dei tedeschi

Il Nanga Parbat, oggi in territorio pakistano, è il primo “ottomila” a essere tentata dall’uomo. La spedizione del 1934, diretta da Willy Merkl e finanziata dal neonato governo nazista, tenta per il versante di Rakhiot. Dopo la morte di Alfred Drexel per edema polmonare, Peter Aschenbrenner ed Erwin Schneider raggiungono i 7900 metri, a poco più di 200 metri di dislivello dalla cima. In discesa una bufera uccide 3 tedeschi (Uli Wieland, Willo Welzenbach e Merkl) e 6 sherpa. La spedizione del 1937, diretta da Karl Wien finisce in tragedia nella notte del 14 giugno, quando una valanga investe il campo IV uccidendo 7 alpinisti e 9 sherpa.

3. Everest 1952, la strage segreta

Dal 1949, quando Mao prende il potere a Pechino, fino al 1956, l’Unione Sovietica e la Cina Popolare hanno buoni rapporti. Nel 1952, secondo il Times, un team congiunto tenta di salire l’Everest. Spedizioni sovietiche hanno già operato oltre i 7000 metri nel Tien Shan e nel Pamir. Il Times scrive di una team di 35 alpinisti, diretto da Pavel Datschnolian, che vola a Lhasa, prosegue verso Rongbuk e sale sulla via degli inglesi. A fine novembre Datschnolian informa la base che entro due giorni, tempo permettendo, arriverà in cima. Poi lui e altri 5 alpinisti scompaiono, probabilmente uccisi da una valanga. Secondo le fonti ufficiali cinesi e sovietiche, però, né la spedizione, né la valanga hanno mai avuto luogo.

4. Manaslu 1972, la grande valanga

Gli ampi pendii glaciali percorsi dalla via normale del Manaslu, 8163 metri, sono spesso battuti da grandi valanghe. Prima dell’alba del 10 aprile del 1972, uno smottamento di neve e ghiaccio uccide 10 sherpa, 4 sudcoreani e un giapponese. Sopravvivono altri sherpa e il coreano Kim Yae Sup, 21 anni, che aveva tentato il Manaslu anche per recuperare i resti del fratello morto un anno prima. Kim racconterà che la valanga colpisce la tenda in cui stava iniziando a prepararsi per la salita e la trascina per 800 metri, poi una seconda ondata di neve e pietre colpisce la zona e uccide una parte dei sopravvissuti.

5. K2 1986, l’estate terribile

Nel 1986 11 spedizioni tentano la seconda cima della Terra, e si registrano ben 12 vittime. Sulla Magic Line dello sperone Sud-ovest operano il veneto Renato Casarotto e un gruppo di americani due dei quali, Alan Pennington e John Smolish, sono uccisi da una valanga il 21 giugno. Il 23 scompaiono i francesi Liliane e Maurice Barrard, sorpresi dalla bufera in discesa dopo aver raggiunto la cima. Il 16 luglio Casarotto muore in un crepaccio. Nei giorni successivi restano bloccati dal maltempo ai campi alti e perdono la vita gli inglesi Julie Tullis e Alan Rouse, gli austriaci Alfred Imitzer e Hannes Wieser e la polacca Dobrosława Miodowicz-Wolf. I polacchi Tadeusz Piotrowski e Wojciech Wróz muoiono dopo aver superato la parete Sud e la Magic Line.

6. Pik Lenin 1990, la grande valanga

La seconda vetta del Pamir, oggi al confine tra il Kirghizistan e il Tajikistan, culmina a 7134 metri, è frequentata dai tempi dell’Unione Sovietica, ed è stata salita per la prima volta nel 1928. Il 13 luglio del 1990, una valanga di seracchi staccata da un violento terremoto uccide 43 dei 45 alpinisti presenti in quel momento al campo II, a 5300 metri di quota. Tra le vittime sono 2 svizzeri, 6 cecoslovacchi, 4 israeliani, uno spagnolo e 27 alpinisti sovietici. 23 di loro fanno parte di un team di Leningrado diretto da Leonid Troshchinenko, uno degli alpinisti russi più noti del tempo. Nel 2008 lo scioglimento del ghiacciaio riporta alla luce i resti delle vittime.

7. Everest 1996, la tragedia di Aria Sottile

Il 10 maggio del 1996 una fila di alpinisti sale dal Colle Sud verso la cima dell’Everest. Nel pomeriggio, una violenta perturbazione investe la montagna. C’è chi muore sulla cresta, chi crolla sul pianoro del Colle Sud dove la bufera impedisce di orientarsi, chi arriva alle tende ma subisce gravi congelamenti. Muoiono 9 alpinisti, in maggioranza clienti delle spedizioni commerciali delle agenzie Adventure Consultants e Mountain Madness, tra loro sono i capispedizione Rob Hall e Scott Fischer. Qualche mese dopo “Into Thin Air”, “Aria sottile” in italiano, di Jon Krakauer, uno dei sopravvissuti, diventa un best-seller mondiale. Nel 2015, dal libro, viene tratto il film “Everest” di Baltasar Kormákur.

8. K2 2008, la seconda estate tragica

Il 1º agosto 2008, dopo settimane di brutto tempo, circa 30 alpinisti partono dal campo 4 del K2 per la vetta. Il team olandese diretto da Wilco van Rooijen ha salito la via Cesen, norvegesi, sudcoreani, italiani, francesi e serbi arrivano dallo Sperone Abruzzi. Precedono gli altri lo spagnolo Alberto Zerain e alcuni portatori. La prima vittima è il serbo Dren Mandic, che cade nel Collo di Bottiglia. Poi il portatore pakistano Jehan Baig cade mentre cerca di portare il suo corpo a valle. In discesa, al buio, il distacco di una parte del grande seracco uccide il norvegese Rolf Bae e stacca una parte delle corde. Altri alpinisti muoiono tentando di scendere al buio senza assicurazione, il valtellinese Marco Confortola, bivacca prima del traverso e subisce gravi congelamenti. In tutto i morti sono 11. L’eroismo di Pemba Gyalje Sherpa salva numerose vite.

9. Manaslu 2012, ancora una valanga

All’inizio di settembre del 2012 il monsone non ha ancora lasciato l’Himalaya, e sul Manaslu nevica. Intorno al 15 la situazione migliora e le spedizioni iniziano a salire verso la cima. Il 22 settembre, la bufera costringe molti alpinisti a fermarsi al campo III, che quell’anno è stato piazzato più in basso del solito, in un luogo meno esposto al vento. Alle 4.30 del mattino del 23, una valanga di circa 600 metri di larghezza investe il campo e trascina via 31 alpinisti. Lo statunitense Glen Plake racconterà che il suo amico Gregory Costa, che dormiva accanto a lui, è stato scaraventato fuori dalla tenda ed è scomparso. Poi il tempo migliora, e dal basso arrivano i soccorsi. Vengono trovati 8 corpi senza vita, i dispersi sono 3.

10. Everest 2014 e 2015, le valanghe e le stragi degli sherpa

Dal 2010 l’Icefall, la seraccata dell’Everest è minacciata dall’alto da un pericoloso rigonfiamento di ghiaccio. Alle 6.45 del 18 aprile 2014 una parte del ghiaccio si stacca, e piomba sulla via di salita. Sotto la valanga muoiono 14 sherpa. “Non è stata una tragedia dell’alpinismo, ma una tragedia sul lavoro” commenta Reinhold Messner. Un anno dopo, il 25 aprile del 2015, un terremoto di magnitudo 7.8 devasta il Nepal uccidendo 9.000 persone. Al campo-base dell’Everest, una valanga che si stacca dal Pumori piomba sulle tende che ospitano più di 700 tra alpinisti e sherpa. Le vittime sono 21, i feriti 61. Durante un tentativo di riaprire l’itinerario, una valanga uccide altri 3 sherpa.

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