Alpinismo

Winter Solo: Simon Gietl e le sue 4 grandi solitarie invernali in un video da non perdere

Immagini spettacolari raccontano le ascensioni dell’alpinista altoatesino sulle Dolomiti, dalle Tre Cime di Lavaredo alle Odle

Simon Gietl è un alpinista di stampo tradizionale: pochi fronzoli, poche parole, la personale ricerca dell’esperienza di scalata più intensa. Classe 1984, Simon scopre la montagna a 18 anni e non la lascia più, accumulando in curriculum moltissime nuove vie in Dolomiti, sull’Eiger e anche all’estero. Tra i suoi ultimi successi, l’apertura di ‘Gold Fish’ sul Meru Sud (Himalaya del Garwhal, India) insieme a Mathieu Maynadier e Roger Schaeli.

Negli inverni tra il 2020 e il 2023, Gietl ha realizzato quattro salite, in altrettanti massicci dolomitici, sempre da solo, a caccia di emozioni forti e di introspezione. La prima traversata in solitaria invernale fu quella delle Tre Cime di Lavaredo. A quella seguirono la variante Mariacher sul Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc e la traversata del Rosengarten. Lo scorso inverno Gietl ha completato l’opera con la traversata dell’Odle.
Di queste quattro salite si parla nel recentissimo video Winter Solo, prodotto da Salewa.


Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Simon Gietl, per scoprire qualcosa di più su di lui, sul suo modo di andare in montagna e sui luoghi che più lo rappresentano.

Partiamo dal video Winter Solo: che cosa ne pensi?
Mi fa molto piacere che nel video ci sia stato spazio per tre persone a me care: gli amici Andrea Oberbacher e Simon Messner, e mia moglie Sandra. Questo ha reso l’atmosfera più familiare per me, e mi ha messo molto a mio agio. Inoltre, sono rimasto molto sorpreso dal successo che ha avuto nel pubblico: non mi aspettavo una così grande attenzione.

Tra le quattro salite che vengono raccontate in Winter Solo, ce ne è una che rappresenta meglio il tuo modo di andare in montagna?
Non c’è una salita che preferisco, però la traversata dell’Odle è quella che meglio interpreta quello che mi piace della montagna. Sono venuto a scalare qui senza conoscere niente del posto, senza nessuna informazione: ero molto curioso di lasciare le mie tracce. Mi piace andare in montagna a modo mio, senza incasellarmi in un percorso predefinito: questa è la mia passione.

Perché prediligi l’inverno come stagione per scalare?
Amo il contrasto tra estate e inverno, soprattutto in montagna. D’inverno scalare è tutta un’altra cosa: è molto più difficile, ma c’è anche il rovescio della medaglia: in quei mesi ho le montagne tutte per me, non c’è nessuno, non si sentono i rumori di motori. C’è solo il suono della natura. Per me, l’oscurità e la brevità del giorno sono un dono.

E perché ami scalare in solitaria?
L’intensità di un’avventura è moltiplicata dalla solitudine. Durante una scalata in solitaria, non c’è nessuno con cui posso consultarmi se sono in pericolo, o se devo prendere una decisione. Sono solo con me stesso e devo starci bene. L’avventura comincia già al momento di preparare lo zaino: devo decidere cosa portare e cosa lasciare a casa, cosa mi serve e cosa non mi serve. Quando sono da solo, la conseguenza di ogni scelta ricade completamente su di me e devo assumermene tutta la responsabilità. Questo rende ogni esperienza molto più intensa.

In maggio hai aperto insieme a Maynadier e Schaeli una via sul Meru Sud. Qual è la principale differenza tra le montagne di casa e l’Himalaya?
A fare la differenza tra le Alpi e l’Himalaya è l’altezza: la lunghezza delle vie, la difficoltà di respirare, l’aria cambiano tutto. In tutto il mondo si arrampica, c’è possibilità di scalare, e tra scalatori esiste una sola lingua, quella dell’alpinismo. Nella vita normale per me le lingue sono una grande difficoltà, parlo bene solo il dialetto tedesco, capisco un po’ di italiano ma non riesco a rispondere. Ma quando scalo, parlo la stessa lingua, in Dolomiti e in Himalaya. Sul Meru Sud ero con un francese e uno svizzero, mentre il fotografo era tedesco: abbiamo parlato un po’ di inglese e di tedesco, e poi abbiamo cercato di creare una nuova lingua comune a tutti.

Che mi dici invece della via Identitat aperta in solitaria a settembre sulla Cima di Mezzo della Croda dei Toni?
Per me è una via molto importante e per questo l’ho chiamata Identitàt. Ho iniziato ad arrampicare venti anni fa, e in questa via si condensano tutte le esperienze che ho fatto, tutto quello che sono io. Un punto fondamentale per la mia identità è lo stile tradizionale: ho sempre usato questo, in tutte le salite e le vie che ho aperto, fin dall’inizio qui sulle Dolomiti. Inoltre, questa parete si trova vicino alle Tre Cime di Lavaredo, per me questo luogo è come un secondo salotto: quando vedo questa parete mi sento arrivato, mi sento a casa.

Progetti per il futuro?
Per adesso un importante progetto per la prossima estate è la via che ho iniziato con gli amici Vittorio Messini e Mathias Wurzer, alla torre Trieste. Dobbiamo ancora liberare questa via, che è un progetto del cuore. Per quanto riguarda le spedizioni all’estero, mi piace parlare di cose che ho fatto, non di quelle che non ho ancora fatto. La gente in giro parla così tanto, che dimentica di arrampicare: secondo me, è meglio parlare meno e scalare di più.

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