AlpinismoAlta quotaSpeciali

7 maggio 1953. La difficile scelta di Hunt, e la parete del Lhotse

Sesta puntata dello Speciale "Everest 1953"

Quando il mese di aprile del 1953 lascia il posto a maggio, la spedizione britannico impegnata sull’Everest affronta un momento decisivo. Dopo la partenza da Londra, gli ultimi preparativi a Kathmandu, l’arrivo nelle valli del Khumbu e a Tengboche, le ultime settimane sono state dedicate ad attrezzare il campo-base e poi la via nell’Icefall, la temibile seraccata dell’Everest. Restano la parete del Lhotse, il Colle Sud, infine il ripido canalone e l’aerea cresta di neve che conducono agli 8848 metri della cima. Gli alpinisti e gli Sherpa sulla montagna faticano, superano difficoltà elevate, si espongono alla mancanza di ossigeno e al gelo. Uno dei compiti più duri, però, spetta al capospedizione John Hunt. Deve valutare lo stato di forma di ognuno, assegnare i compiti, affrontare malumori e problemi. Ma lui lo fa, alla grande. La scelta di mettere un colonnello alpinista al posto del romantico esploratore Eric Shipton si rivela giusta, e convincente.      

Il 7 maggio del 1953, al campo-base dell’Everest, è una giornata speciale. Nelle settimane precedenti gli alpinisti e gli Sherpa della spedizione di John Hunt hanno attrezzato la via attraverso l’Icefall, la seraccata del Khumbu. Poi, un pericoloso andirivieni dopo l’altro, è stato rifornito il campo-base avanzato nel cuore del Western Cwm, la “valle del silenzio” tra l’Everest, il Lhotse e il Nuptse.
A partire dal 2 maggio è stata affrontata la gigantesca parete glaciale del Lhotse, un ripidissimo scivolo tagliato da muri di ghiaccio e crepacci che si alza per mille e più metri di dislivello. A voler fare paragoni con le Alpi, è una muraglia un po’ più facile (ma non troppo) della Nord del Lyskamm o della Brenva del Monte Bianco. Da noi però queste pareti si superano, per poi scendere lungo un versante facile.

Per cinque giorni Tom Bourdillon, Charles Evans, Charles Wylie e Michael Ward cercano il percorso migliore, lo attrezzano con fittoni e corde fisse, piazzano un campo temporaneo a metà parete e lo spostano più in alto. Insieme a loro faticano il capospedizione John Hunt e sette tra gli Sherpa più forti.
Sul Lhotse alpinisti e portatori d’alta quota utilizzano per la prima volta i respiratori a ossigeno. Entrano in uso anche i Bradley Boots, gli scarponi imbottiti che Harry Bradley ha progettato per la SATRA di Kettering, nelle Midlands.
Poi il tempo diventa “atroce”, come scrive Hunt, e la neve che si accumula sui pendi impone una sosta di qualche giorno. Quando gli inglesi, i neozelandesi e gli Sherpa ridiscendono tutti al campo-base, la quota raggiunta è di “soli” 7300 metri. Prima di ripartire, però, bisogna prendere delle decisioni importanti.

John Hunt è un uomo cordiale, che sorride e si confronta con tutti. Ma è un colonnello, lo sa, ed è stato nominato capospedizione a causa del suo mestiere. La mattina del 7 maggio, Hunt parla prima di tutto con Edmund Hillary e George Evans, il vicecapo della spedizione. Il sole è caldo, e i tre si siedono a parlare sul ghiacciaio ricoperto di pietre, lontano dalle orecchie degli altri. Viene inviato ad ascoltare James Morris, l’inviato del Times.
“Ho saputo che i candidati a raggiungere la cima sarebbero stati Bourdillon, Evans, Hillary e Tenzing. Mi sono chiesto se un giorno il nome di Hillary sarebbe diventato famoso come quello di Mallory. E poi – che pensiero egoista! – se sarebbero tutti ridiscesi sani e salvi, o se avrei dovuto iniziare a pensare a dei necrologi” confesserà il giornalista. “Ora sai tutto James, ci vediamo tra mezz’ora con gli altri” dice John Hunt a Morris alla fine. Poi inizia l’incontro, e il clima è diverso da quello della mattina.

La tenda è piena zeppa, l’atmosfera è solenne. Tenzing è seduto su una cassetta di legno, gli altri si appoggiano ai pali o si accoccolano sui sacchi a pelo poggiati per terra. “Ognuno aveva atteso questo momento. Regnava un’atmosfera di aspettativa e di tensione scrive Hunt in La conquista dell’Everest. “Solo tre di noi erano tranquilli, il fisiologo Griffith Pugh, il cameraman Tom Stobart e il sottoscritto. Nessuno avrebbe avuto un compito decisivo” aggiunge James Morris.
Poi Hunt comunica quale sarà il ruolo di ognuno durante l’assalto alla vetta. A George Lowe, George Band e Mike Westmacott va il compito di attrezzare la parete del Lhotse. Wilfrid Noyce e Charles Wylie sono responsabili per raggiungere e rifornire il Colle Sud.

Il primo tentativo sarà compiuto da Tom Bourdillon e Charles Evans, con partenza dal Colle Sud, e con i respiratori a circuito chiuso. Lo stesso giorno, Alfred Gregory, Hunt e alcuni Sherpa piazzeranno un ultimo campo a circa 8500 metri. Da lì, Hillary e Tenzing partiranno per il secondo tentativo, utilizzando i respiratori a circuito aperto. Michael Ward, il medico, resterà di riserva.
Tenzing quando viene nominato da Hunt sorride, ma dopo il ritorno a Kathmandu confesserà che avrebbe voluto uno Sherpa in ognuna delle cordate di punta. Band e altri inglesi non approvano che Hillary e Band, i due kiwi della squadra, abbiano ruoli così importanti, ma non protestano in pubblico.
L’unico che se la prende è Ward, che oltre che un medico è anche un forte alpinista, e sa bene che senza di lui la ricognizione del 1951 non sarebbe partita. Morris quel giorno lo definisce berserk, “furioso”, e racconta che “la veemenza del suo intervento mi ha fatto cadere dalla sedia”.
Ward se la prende con Hunt, il più anziano della squadra, che vuole spingersi a quota altissima portando carichi pesanti, e rischiando in caso di malore di complicare il tentativo alla vetta. Il colonnello ascolta la protesta con attenzione e con l’ombra di un sorriso sul volto, ma non si smuove. Alla fine, gli Sherpa portano tè per tutti e James Morris, in un angolo, scrive l’articolo da inviare a Londra chiedendosi “se qualcuno, a casa, fosse interessato a queste cose”.

Nei giorni che seguono il lavoro ad alta quota riprende, ma il clima ostile dell’Everest, le condizioni della montagna e la stanchezza di alcuni alpinisti costringeranno il capospedizione a modificare più volte il piano di attacco preparato con tanta attenzione.
La seraccata continua a muoversi, e i seracchi che crollano e i nuovi crepacci che si aprono costringono gli alpinisti e gli Sherpa a lavorare per tenere aperta e sicura la via. La parete di ghiaccio del Lhotse, ammantata di neve fresca, si rivela un osso più duro di quanto il racconto degli Svizzeri avesse fatto prevedere.
Il neozelandese George Lowe, dal 10 maggio, resta in quota a lavorare per una decina di giorni sulla via, e si guadagna la gratitudine anche di chi lo aveva criticato. Band e Westmacott, che dovrebbero affiancarlo, non si sentono bene e rendono poco. Lo sherpa Ang Nyima, che anche nell’aria sottile fuma una sigaretta dopo l’altra, dà un contributo formidabile.

A causa delle defezioni, Michael Ward viene chiamato in prima linea, e passa qualche giorno a tagliare gradini e piazzare corde fisse. Noyce, Wylie e lo Sherpa Annullu, insieme ad altri portatori d’alta quota, hanno difficoltà nell’ultimo tratto della muraglia del Lhotse. I viveri nei campi alti scarseggiano, si scoprono delle bombole di ossigeno difettose, l’atmosfera diventa preoccupata.
Secondo il piano definito il 7 maggio, il Colle Sud dovrebbe essere raggiunto il 20, e rifornito nei due giorni successivi. Ma Lowe è stanchissimo, qualcuno degli altri sta male, Wylie, Noyce e gli altri non riescono a completare il percorso. Per uscire dallo stallo, John Hunt prende una decisione rischiosa e invia in prima linea Edmund Hillary e Tenzing Norgay, la sua cordata migliore.

È un rischio, perché se i due si dovessero sfiancare sul Lhotse, la vittoria sull’Everest potrebbe essere messa in forse. Invece tutto si sblocca. Il 22 maggio, mentre Noyce e Annullu raggiungono finalmente il Colle Sud, il kiwi e lo Sherpa risalgono a passo di carica la parete del Lhotse, e la presenza di Tenzing galvanizza i portatori più stanchi.
L’indomani, quando Hunt guarda in alto con un cannocchiale, vede “quattordici… quindici… sedici… diciassette… un numero incredibile di uomini” che, dalla parte alta della parete, traversano in direzione dello Sperone dei Ginevrini e del Colle Sud. La via verso la cima dell’Everest è aperta, e i due alpinisti più forti hanno ancora energie da vendere.

Qui la prima puntata. 

Qui la seconda puntata.         

Qui la terza puntata.

Qui la quarta puntata.

Qui la quinta puntata.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close