AlpinismoStoria dell'alpinismo

16 ottobre 1986, il quattordicesimo “ottomila” di Messner

Il 16 ottobre del 1986, due alpinisti salgono un passo verso gli 8516 metri del Lhotse, la quarta montagna della Terra. Le condizioni della neve sono buone, e Reinhold Messner e Hans Kammerlander riescono a progredire di buon passo, anche grazie all’allenamento ottenuto nelle settimane precedenti sul Makalu, che hanno raggiunto il 26 di settembre. 

Sul Lhotse, le corde fisse piazzate nelle settimane precedenti sullo Sperone dei Ginevrini e sulla Fascia Gialla da una spedizione diretta dallo svizzero Freddy Graf sono state divelte dal vento. Ma i due alpinisti altoatesini non ne hanno bisogno. A dare loro fastidio è il vento, che soffia con una forza impressionante. A battere pista è quasi sempre Kammerlander, il più giovane dei due. Friedl Mutschlechner, il terzo altoatesino della spedizione, ha raggiunto gli 8463 metri del Makalu insieme agli altri, ma ha dovuto rinunciare al Lhotse, qualche giorno prima, a causa di un violentissimo mal di denti. Dove il canalone della via normale si stringe, la neve accumulata dal vento minaccia di slavinare. Hans e Reinhold continuano a salire, e poco più in alto le condizioni migliorano. Quando il canale diventa uno stretto solco tra due ripide pareti rocciose il vento si trasforma in un aiuto, e spinge i due alpinisti verso l’alto. Ci trascinava, ci spingeva, ci costringeva a salire” scriverà Messner in Sopravvissuto, i miei 14 ottomila, il libro che dedicherà poco dopo alle sue spedizioni sulle cime più alte del mondo. “Mai come questa volta sul Lhotse avevo coperto gli ultimi 200 metri prima della vetta in così breve tempo”. 

Più volte, programmando questa ascensione, l’alpinista di Funes aveva avuto l’idea di fermarsi poco sotto alla cima, in segno di rispetto per le divinità dell’Himalaya. Non lo fa, e arriva fin sul punto più alto, 8516 metri. Per Hans Kammerlander 30 anni, il Lhotse è il settimo “ottomila”. Per Reinhold Messner, che ha compiuto da poco i 42 anni, è il quattordicesimo e l’ultimo. 

L’alpinista di Funes, in quel momento, diventa il primo alpinista della storia ad aver completato il “grande slam” dell’Himalaya e del Karakorum. Quando i due raggiungono la cima non si fermano nemmeno un momento. Dopo una stretta di mano, iniziano immediatamente a scendere. Le macchine fotografiche di entrambi sono state bloccate dal gelo, e di quel momento storico non esiste nemmeno un’immagine. Di fronte alla parola di Messner, però, la signora Elizabeth Hawley, che a Kathmandu tiene l’elenco ufficiale delle salite himalayane, non osa avanzare dei dubbi. Undici anni più tardi, per un motivo simile, l’arcigna inglese si rifiuterà di omologare la salita al Lhotse compiuta da Fausto De Stefani e da Sergio Martini. 

La discesa di Messner e Kammerlander è veloce, gelida e senza storia. Dopo il canalone sommitale, i due ritrovano le corde fisse della parete del Lhotse, poi i comodi pendii del Western Cwm e le tende del campo-base avanzato. L’indomani, quando arrivano al campo-base dopo aver traversato l’Ice Fall, la seraccata del Khumbu, trovano ad attenderli decine di giornalisti e cameraman, che gli sponsor hanno fatto arrivare dall’Europa e dal resto del mondo. Lhagyelo! Hanno vinto gli dèi!” è il commento di Reinhold Messner, che sceglie di usare la parola che mercanti e pellegrini tibetani pronunciano quando scavalcano un valico pericoloso e difficile. “Sono felice di essere ancora vivo, mi sento finalmente libero di tentare altre cose” spiega l’altoatesino a chi lo intervista.  

La collezione degli 8000

Le collezioni di vette, da sempre, sono una parte importante dell’alpinismo. Nel 1901 il reverendo scozzese Archibald Robertson completa quella dei Munros, le vette britanniche superiori a 3000 piedi (914 metri) di quota. Dieci anni dopo il viennese Karl Blodig completa quella dei “quattromila” delle Alpi, un elenco di 64 cime che più tardi verrà allargato a 82. 

Reinhold Messner, che ha già un curriculum straordinario sulle Alpi, scopre le grandi montagne dell’Asia nel 1970, sul Nanga Parbat, la “montagna assassina” del Pakistan. Vince la gigantesca parete Rupal insieme a suo fratello Günther, nella discesa sul meno ripido versante di Diamir il fratello minore scompare. Reinhold per cercarlo rischia di morire a sua volta, e riporta gravi congelamenti ai piedi.

Due anni dopo, sul Manaslu, Messner raggiunge da solo la cima, ma poi Franz Jäger e Andreas Schlick scompaiono in una bufera di neve. Nel 1975, l’altoatesino partecipa alla spedizione nazionale italiana, guidata da Riccardo Cassin, che tenta la gigantesca parete Sud del Lhotse ma è costretta a ritirarsi dalle valanghe. Questa esperienza indica a Reinhold Messner una svolta. A luglio, con il tirolese Peter Habeler, sale in stile alpino la parete Nord-ovest dell’Hidden Peak, in Karakorum, che paragona a “due Nord del Cervino messe una sopra all’altra”. L’8 maggio del 1978, Reinhold e Peter diventano i primi alpinisti della storia a salire l’Everest senza bombole di ossigeno e respiratori. 

Poi Messner sale e ridiscende da solo per il versante Diamir del Nanga Parbat, il 1979 è dedicato a una veloce salita al K2 lungo lo Sperone Abruzzi. Un anno dopo arriva un altro exploit straordinario, la prima solitaria dell’Everest, dal versante del Tibet che le autorità di Pechino hanno appena riaperto agli alpinisti stranieri.

In questo periodo Reinhold inizia a pensare alla collezione degli “ottomila”, che raggiunge uno dopo l’altro con spedizioni leggere e senza ossigeno, ma senza tracciare vie nuove. Sale via via lo Shisha Pangma (1981), il Kangchenjunga, il Gasherbrum II e il Broad Peak (1982), il Cho Oyu (1983), l’Annapurna (1985) e il Dhaulagiri (1985). Infine tocca al Makalu e al Lhotse. 

La collezione, almeno per i media, si trasforma in una gara quando Jerzy Kukuczka, il migliore alpinista himalayano polacco, raggiunge una dopo l’altra le cime più alte della Terra. L’elenco delle sue salite comprende molte vie nuove e prime invernali, e qualcuno azzarda che abbia un valore maggiore. Ma la gara, ammesso che di una gara si tratti, si conclude il 16 ottobre del 1986 sul Lhotse, e il vincitore è Reinhold Messner.  

Meno di un anno dopo, anche Kukuczka completa la sua collezione di vette. Poi arrivano a “quota 14” lo svizzero Erhard Loretan, il messicano Carlos Carsolio e molti altri. Il titolo di prima donna a completare lo slam va nel 2010 alla spagnola Edurne Pasaban, seguita dall’austriaca Gerlinde Kaltenbrunner.  

Fino a oggi la collezione è stata completata da 43 alpinisti di 15 paesi diversi. Un elenco che include sette italiani, cinque spagnoli e altrettanti alpinisti della Corea del Sud. E’ sempre bene ricordare, però, che quello che oggi sembra un obiettivo normale per Reinhold Messner è stato una intuizione e una sfida, che a molti sembrava impossibile.   

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3 Commenti

  1. Non è vero che non ha aperto nuove vie dallo Shisha in poi: sull’Annapurna ha tracciato una nuova via molto difficile sulla parete nord-ovest (unica via a quel momento sulla NW). Sulla collezione completata da 43 alpinisti farei notare che quelli che hanno salito tutti i 14 ottomila senza ossigeno sono una minima parte.

  2. Un grandissimo in tutti i sensi. Dispiace che la prima parte della sua luminosa carriera, quella dei primati su roccia e ghiaccio con allenamenti specifici che hanno precorso i tempi, come il pilastro del Sasso della Croce, la nord delle Droites, solitarie in Civetta in tempi record, etc., siano state messe in dubbio da scettici solo perché non erano in grado di fare lo stesso. Ma poi ha dimostrato in Himalaya di che pasta era fatto zittendo tutto il mondo.

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