AlpinismoAlta quota

Nepal. 2020, un incubo per la comunità Sherpa

Questo autunno sotto i giganti della Terra nepalesi più che alpinisti troviamo i malumori di tanti. A generarli la gestione dell’emergenza covid-19 da parte del Governo che, come succede in tanti Paesi del mondo, è sotto accusa perché sta mettendo in ginocchio l’economia turistica.

La primavera persa

La stagione alpinistica primaverile nepalese è stata del tutto azzerata dalla chiusura totale delle montagne da parte del Nepal, che non ha voluto nemmeno ascoltare la richiesta degli operatori locali di sfruttare l’occasione di avere l’Everest vuoto per realizzare una grande campagna di pulizia. Ne avrebbe beneficiato la “Dea Madre”, ma anche le famiglie Sherpa che avrebbero potuto lavorare per il Governo racimolando il necessario per sopravvivere. Il diniego si è fatto ancora più amaro quando la Cina si è attivata sul proprio versante tibetano con mettendo in piedi una spedizione alpinistica celebrativa, una squadra per rimisurare il Tetto del Mondo e un team per raccogliere i rifiuti lasciati ai campi alti. Nulla a che vedere con il circo degli anni passati, ma tanto è bastato per mantenere l’attenzione di tutti.

L’illusione della stagione autunnale

Nel frattempo, le speranze nepalesi si proiettavano al dopo monsone e in molti si erano convinti che questo autunno si sarebbe potuta recuperare qualcosa della stagione primaverile, così da arginare le perdite. Almeno lo avevano fatto le agenzie di trekking locali (quelle occidentali hanno tutte optato per rimandare tutto al 2021) che per prime avevano iniziato nei mesi scorsi a promuovere offerte su 8000 e vette inferiori. Qualche prenotazione c’era. A spaventare non sono state però le nevicate, ma i contagi di ritorno, soprattutto portati dai lavoratori in India, dove i numeri del contagio sono tra i più alti al mondo. E la doccia fredda non si è fatta attendere a lungo: l’annunciata riapertura dei voli internazionali fissata per il 1 di settembre si è trasformata in un nulla di fatto. Confini ancora chiusi, con i malumori di operatori turistici e alpinisti internazionali: i primi costretti a vedere i propri guadagni completamente azzerati; i secondi a rinunciare all’ebrezza di scalare alcune delle montagne più belle del Pianeta. Malumore, che nel giro di poche settimane si è trasformato in amarezza.

L’amarezza di molti

L’annuncio dell’unico permesso di scalata rilasciato dal Ministero del turismo nepalese, in deroga alla chiusura di montagne e spazio aereo, a una spedizione del ricco Sultano del Bahrain ha generato infatti grande sdegno nella comunità alpinistica internazionale. Tutti gli alpinisti sono uguali, ma alcuni alpinisti sono più uguali degli altri ha scritto Stefan Nestler riadattando la massima di George Orwell in “Animal Farm”.
Ma anche la notizia che la Cina non si è fatta sfuggire la stagione autunnale, promuovendo una folta spedizione al Cho Oyu, ha destato la reazione degli sherpa, oramai allo stremo. Il 2020 è diventato un incubo per la comunità Sherpa nepalese ha commentato amaramente Mingma G. Sherpa, chiarendo anche che nessun lavoratore d’alta quota nepalese è stato coinvolto non essendo possibile ottenere i visti.

La stagione autunnale è oramai persa ed è impensabile pensare a quella invernale, non c’è più tempo e nessuno allo stato dei fatti rischierebbe tanto. Non resta che guardare alla prossima primavera e, perché no, al turismo interno. 

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