Alpinismo

Barmasse: una guerra contro nessuno

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GULMIT, Pakistan – “Sembra di essere in guerra, ma in guerra contro nessuno”. Queste le parole di Hervè Barmasse, che si trova con la sua spedizione bloccato da 4 giorni nell’Hunza Valley, a 2.400 metri di quota, per il maltempo che impedisce agli elicotteri di volare. Tutta la zona in cui si trovano è isolata dall’enorme frana che si è staccata un mese fa ad Attabad, e che ha creato un lago artificiale lungo 25 chilometri che minaccia di esondare da un momento all’altro, cancellando villaggi e uccidendo migliaia di persone.

Barmasse era partito a metà gennaio per il Pakistan con Kris Erikson, Eneko Pou e Oscar Gorgorza per salire cascate di ghiaccio, cime inviolate e fare discese estreme con gli sci. Gli alpinisti avrebbero dovuto tornare in Italia giovedì, ma sono ancora bloccati nell’alta valle Hunza a causa degli enormi disagi conseguenti alla frana dello scorso 4 gennaio.

“Tutti sanno di quella frana che ha sbarrato la valle invadendo la Karakorum Highway – racconta Barmasse – ma la situazione qui è ancora terribile. Difficile persino da raccontare.  La frana ha formato un lago che adesso a spanne è lungo 25 chilometri, sono milioni di metri cubi d’acqua che se per caso dovessero esondare, potrebbero causare decine di migliaia di morti. Adesso qui c’è l’esercito pakistano che sembra avere tutto sotto controllo, ma chi lo sa se è davvero così, qui il rischio è come il Vajont”.

“Le cose sono ancora più complicate per chi sta a monte della frana – prosegue Barmasse -. Noi adesso ci troviamo bloccati nel primo grande paese che c’è salendo nella valle di Hunza verso la Cina. Ci sono migliaia di abitanti completamente isolati, perché fra l’altro in questi giorni è arrivata una grossa perturbazione con vento molto forte, a 100-150 chilometri orari, che non permette agli elicotteri di volare. Qui non c’è elettricità, non c’è acqua perché d’inverno è tutto gelato, non c’è collegamento internet o telefonico, solo noi abbiamo il satellitare. Faticano a gestire necessità quotidiane come un ospedale: Marco, il medico che è con noi, viene continuamente chiamato per trattare i casi più gravi”.

Con Barmasse e compagni c’è anche il dottor Marco Cavana, medico dell’ambulatorio di Medicina di Montagna dell’Ospedale Regionale di Aosta, che ha seguito gli alpinisti durante la spedizione, ha prestato consulenza medica nel villaggio di Shimshal e formato i portatori d’alta quota sulla medicina di montagna. Ora però, a Gulmit, è diventato un medico in prima linea.

“Tre giorni fa un ragazzo di 30 anni ha avuto un grave incidente – racconta Cavana – ha una lesione spinale che l’ha reso tetraplegico, può appena di respirare e deglutire. Il medico che c’è non sapeva assolutamente come intervenire, il ragazzo non era trattato con niente. L’abbiamo curato ma ora avrebbe bisogno di essere ricoverato, eppure non può raggiungere l’ospedale perché l’elicottero non vola. Oggi un altro ragazzo si è procurato una lesione gravissima con dei cavi elettrici, ho fatto l’intervento chirurgico, qui hanno i materiali ma non sanno bene come usarli. Ogni incidente, ogni malore, grave o meno, diventa difficile da gestire”.

 “E’ una situazione surreale – prosegue Cavana -. Sembra che l’unica cosa attiva qui sia il vento. Esiste un ospedale, una struttura anche bella, ma assolutamente vuota. C’è solo un medico, generico, ci sono poche medicine che non si sanno come usare. Ma il problema, non sono tanto gli strumenti o le medicine, è proprio riuscire a suscitare in questa popolazione, un po’ rassegnata, esigenze diverse da quelle che la normale sopravvivenza esige”.

“Sembra di essere un po’ in guerra – aggiunge Barmasse -, ma in guerra contro nessuno. La situazione un po’ tetra, tutto isolato, tutto distrutto. Noi siamo abituati alle mostre comodità ma qui è tutto ghiacciato, è tutto diverso. E’ impressionante vedere queste persone che, man mano che l’acqua del lago si alza, cercano di recuperare dalle case tutto quello che riescono. Prendono il legno del tetto o l’interno, cercando disperatamente un posto dove metterlo e dove poter ricostruire una casa. Smontano e si caricano tutto sulle spalle, forse raccontare non rende nemmeno l’idea”.

La voglia di tornare a casa è tanta, ma il rientro è ancora un’incognita. Gli elicotteri ancora non volano e appena potranno farlo dovranno portare le provviste, trasferire i malati e occuparsi delle emergenze.

“Non è un problema aspettare, in questa situazione – dice Barmasse – speriamo che migliori per questa gente. Una cosa positiva di questa storia è che ora il governo pakistano pare abbia trovato un accordo con la Repubblica cinese per l’apertura provvisoria Khunjerab Pass, che si trova a 4600 metri per far sì che i cinesi possano portare qui, dall’alto, provviste quotidiane e generi di prima necessità”.

“Ogni tanto esistono cose piu importanti che andare per montagne – conclude l’alpinista valdostano -. Abbiamo dovuto affrontare successi, rinunce, anche molta paura, ma il racconto di quello che abbiamo fatto in spedizione lo faremo quando torneremo in Italia. Adesso è importante segnalare quello che sta succedendo qui nella zona del Gilgit Baltistan”.

Sara Sottocornola

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