AlpinismoNews

Piolets d’Or 2024: la condivisione come base per un nuovo alpinismo. Le foto della premiazione

Alla cerimonia di premiazione, grande commozione per le vedove di Hiraide e Nakajima, riflessioni sulla crucialità delle relazioni umane e un invito ad oltrepassare i singoli protagonismi, per un rapporto più autentico con la montagna

«I’m glad I found this mountain». È con queste parole che, nel luglio 2023, Kazuya Hiraide salutava la parete nord del Tirich Mir, vetta pakistana di 7.708 metri, prima di rientrare al campo base.

«Sono felice di aver trovato questa montagna». Una montagna che Kazuya aveva appena scalato insieme al compagno Kenro Nakajima, aprendo una via inedita e particolarmente insidiosa la cui salita, un anno dopo, è valsa ai due alpinisti giapponesi il Piolet d’Or. Riconoscimento che ieri sera è stato però ritirato, durante la premiazione a San Martino di Castrozza, dalle rispettive vedove. Sì, perché Hiraide e Nakajima hanno perso la vita proprio quest’estate, su un’altra parete: la ovest del K2, dove i due alpinisti – già vincitori di altrettanti Piolets d’Or – stavano tentando di aprire un nuovo itinerario.

La serata di ieri – condotta dal traduttore e storico dell’alpinismo Luca Calvi – è dunque cominciata all’insegna del ricordo e della commozione, mentre tutti i presenti si erano già stretti nel pomeriggio intorno al dolore di Shoko Hiraide, moglie di Kazuya e madre dei loro due bambini, chiamata ad illustrare a nome del marito l’ascensione premiata. E proprio nel filmato che ne accompagnava il racconto, Kazuya Hiraide si definiva felice di aver trovato il Tirich Mir, ma soprattutto di averlo potuto condividere con Kenro Nakajima.

Ecco dunque che tutta la tre giorni dei Piolets d’Or – ospitata per la prima volta in Dolomiti grazie alla preziosa sinergia fra il Groupe de haute montagne, l’ApT San Martino, Primiero e Vanoi e le Aquile di San Martino – si è svolta all’insegna di un concetto potente, in grado di dare senso pieno alle ascensioni premiate: la condivisione, per l’appunto. Ovvero la capacità di far prevalere la socialità all’egoismo, spesso descritto come caratteristica primaria di chi frequenta le montagne per professione.

La condivisione è stata protagonista dell’impresa firmata da Hiraide e Nakajima, ma anche dell’apertura, da parte degli americani Jackson Marvell, Alan Rousseau e Matt Cornell, di una nuova via sulla parete nord e la cresta nord-ovest dello Jannu, cima nepalese di 7.710 metri. «Ci siamo riusciti perché eravamo insieme – ha dichiarato Jackson Marvell durante la presentazione del pomeriggio – e anche perché, nel trekking di avvicinamento, eravamo accompagnati da gran parte dei nostri cari: fidanzate, moglie, amici. Si respirava una bella energia, vibrazioni positive di relazioni altrettanto nutrienti, sia mentalmente che fisicamente».

Sull’importanza della condivisione e delle relazioni, durante la premiazione, ha detto la sua anche la guida alpina francese Hélias Millerioux, Piolet d’Or nel 2018, chiamato sul palco a consegnare il premio proprio al team di americani, che sono stati spronati da Millerioux a continuare il loro percorso lungo la strada del «sogno, della speranza, dell’impegno e dell’amore».

Un amore che ha caratterizzato anche la carriera alpinistica di Nives Meroi, da sempre legata a stretto giro con quella del marito Romano Benet. A lei, quest’anno, è andato il Piolet d’Or per la promozione dell’alpinismo femminile, nell’attesa di un altrettanto opportuno riconoscimento alla carriera, che l’alpinista friulana meriterebbe proprio. «Sono felice di questo premio – ha dichiarato Meroi in conferenza stampa – ma credo parimenti che l’alpinismo femminile sia in grado di promuoversi da sé: noi donne, nella storia, abbiamo contribuito alla crescita di questa disciplina al pari dei colleghi maschi. E continueremo a farlo». Proprio per questo Nives ha voluto al suo fianco, sul palco, Romano: compagno di cordata e di imprese, prima che di vita.

Lo spirito dei Piolets d’Or, d’altronde, come ha riaffermato nel suo discorso introduttivo il presidente Christian Trommsdorff, è per gli alpinisti protagonisti quello di ricevere – e non di vincere – un riconoscimento per le proprie ascensioni, che vada al di là dei singoli protagonismi. L’umiltà che sta alla base di questo approccio è una caratteristica che anima da sempre Jordi Corominas, perseverante guida alpina catalana a cui è andato quest’anno il Piolet d’Or alla carriera. Talmente poco abituato ai riflettori da aver fornito all’organizzazione – che chiedeva per ciascun premiato un filmato di qualche decina di minuti – soltanto due diapositive, Corominas ha fatto propria, nel corso della sua intera carriera alpinistica, una frase che ieri ha voluto ripetere ai giovani vincitori di quest’anno «siate sempre migliori, non i migliori».

Un consiglio che il team svizzero formato da Hugo Béguin, Matthias Gribi e Nathan Monard – premiati per un nuovo itinerario sulla parete nord del Flat Top, vetta di 6.103 metri nel massiccio indiano del Kishtwar – mostra già di aver fatto proprio. «Quando ci domandano perché c’imbarchiamo in questo genere di imprese, – ha raccontato infatti durante la presentazione pomeridiana Nathan Monard – preferiamo mostrare alle persone le immagini che riusciamo a scattare dalla parete: paesaggi straordinari, sempre nuovi e che per noi sono costante fonte di ispirazione, benessere e motivazione».

Anche questo è lo spirito dei Piolets d’Or: sapersi stupire come bambini davanti e sopra ad una parete, di fronte ai suoi paesaggi, in mezzo alle sensazioni che sa regalare e alle relazioni che aiuta a coltivare.
E saper poi esclamare, insieme a Kazuya Hiraide, «I’m glad I found this mountain».

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close