Ambiente

Come mai molti orsi sono “svegli” nonostante l’inverno?

Si chiama ibernazione (e non letargo) il periodo di riposo invernale degli orsi. Che, se disturbati, possono svegliarsi e uscire alla tana in qualunque momento. Il ruolo delle temperature più o meno elevate

Il 6 febbraio scorso, l’orso M90 è stato abbattuto per motivi di sicurezza pubblica dagli uomini del Corpo forestale della Provincia di Trento: nelle settimane precedenti aveva frequentato i piccoli centri abitati della Val di Sole, alla ricerca di rifiuti organici e, soprattutto, aveva più di una volta seguito intenzionalmente persone. In questi giorni, nonostante le cospicue nevicate che hanno (finalmente) interessato l’arco alpino, appaiono impronte di plantigradi sulla neve. Ma è normale che gli orsi siano attivi in questo periodo? O sono le temperature nettamente sopra la media di questo inverno a favorire l’emersione degli orsi nelle tane?

Ogni anno, sul finire dell’autunno, gli orsi interrompono la ricerca del cibo e sprofondano in un lungo riposo, che di norma dura tutto l’inverno. Lo stadio di inattività dei plantigradi, scientificamente definito ibernazione, è caratterizzato da un rallentamento delle funzioni metaboliche: la temperatura cala di 3-5°C (dai normali 37,5-38°C), il cuore rallenta (da 40-50 a meno di 10 battiti al minuto), gli atti respiratori diminuiscono (da 15-25 atti a poco più di 1/minuto). Per una durata di circa 4-5 mesi – sulle Alpi normalmente tra fine novembre e marzo – gli orsi si rintanano solitamente in cavità appositamente allestite e smettono di mangiare, bere, defecare e urinare: solo l’energia accumulata nell’autunno precedente sotto forma di riserve grasse permette il mantenimento delle funzioni corporee di base.

Gli studiosi di fisiologia animale definiscono questo processo “semi-letargo” (o ibernazione) dal momento che – contrariamente al letargo propriamente detto, caratteristico ad esempio di ghiri, marmotte e pipistrelli, nei quali l’abbassamento della temperatura corporea e del ritmo cardiaco è ancor più spiccato – gli orsi non permangono totalmente inattivi e insensibili a qualsiasi perturbazione esterna: se disturbati, possono infatti risvegliarsi e uscire dalla tana, pur con molti problemi legati all’interruzione del riposo invernale e alla ricerca di cibo o nuovi ripari in una stagione sfavorevole.

L’ibernazione è un adattamento comportamentale. Uno dei fattori scatenanti sembra essere la riduzione alimentare concomitante alla bassa produttività invernale nei climi temperati freddi, soprattutto in presenza di neve. Le basse temperature e la scarsa disponibilità di risorse creano infatti un bilancio energetico negativo per l’orso bruno, con più calorie perse nel mantenimento delle funzioni metaboliche di quelle ingerite.

A conferma di ciò, la durata e cronologia della permanenza in tana e il grado di ibernazione sembrano seguire un gradiente ambientale: anche se questo comportamento varia in funzione degli individui e delle annate anche all’interno della stessa popolazione, i dati raccolti attraverso la radiotelemetria mostrano chiaramente che la lunghezza del periodo di ibernazione subisce un incremento in funzione della durata dell’inverno e, in grado minore, della sua severità. Gli orsi che vivono nelle regioni più meridionali d’Europa, ivi comprese le Alpi, possono rimanere attivi in pieno inverno e addirittura non ibernare.

Le differenze nella cronologia di ibernazione vengono attribuite a caratteristiche di età e sesso: generalmente le femmine gravide e quelle con prole entrano per prime in tana, seguite dagli individui giovani, dalle femmine senza prole e, per ultimi, dai maschi adulti. L’uscita dalla tana, che in genere avviene intorno alla fine di marzo, segue l’ordine inverso: le ultime ad apparire all’esterno sono le orse con cuccioli nati da poco, che abbandonano definitivamente la tana verso la fine di aprile – inizio di maggio.

È legittimo pensare che i cambiamenti climatici influiranno su questo processo, sia in termini di aumento delle temperature, sia per quanto concerne gli effetti sulla diponibilità alimentare. Ma serviranno studi pluriennali per capire in che modo.

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