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A tu per tu con i dinosauri

Il nostro Triassic Park si trova alle pendici del Pelmetto o sulla vetta del Pelmo. E si lascia visitare senza difficoltà

C’è un luogo, nelle Dolomiti venete, che ha dato il “là” alla meravigliosa storia dei dinosauri in Italia. È un ghiaione alla base del monte Pelmetto, nel gruppo del Pelmo, dove è conficcato un grande masso precipitato dall’alto sulla cui superficie si vedono molto chiaramente tre piste e numerose impronte sparse di dinosauri. Ma non sarebbe esatto definirlo il nostro Jurassic Park. Sarebbe più corretto chiamarlo Triassic Park, visto che la sua datazione è più antica di una ventina di milioni di anni.
La sua scoperta risale ai primi anni ’80, e fino allora si pensava che “un capitolo sui dinosauri italiani non potesse esistere”, come scrisse Giuseppe Leonardi, prete paleontologo che ha scoperto e studiato migliaia di orme di dinosauri nei cinque continenti, “…perché questi rettili snobbano l’Italia o, meglio, l’insieme di mari e isole che nel Mesozoico si trovavano al posto dell’odierna penisola». Ebbene, nei decenni che seguirono il rinvenimento delle prime orme del Pelmetto, le scoperte dei “dinosauri italiani” sono diventate molto numerose e continuano a moltiplicarsi, come aumentano le pubblicazioni scientifiche e divulgative in tema, complice l’interesse che questi rettili hanno suscitato. Lo stesso Leonardi, ebbe modo di ammettere che quella sua originaria affermazione corrispondeva allo stato delle conoscenze di allora, ma che poi la situazione è molto cambiata.

Tutto merito di Vittorino Cazzetta, ricercatore testardo

“Da quella scoperta è partita la ricerca italiana sui dinosauri”, spiega Diego Battiston, responsabile del Museo Vittorino Cazzetta di Selva di Cadore. “In precedenza si aveva notizia di un’impronta di Teropode rinvenuta sul Monte Pisano nel 1940, ma alla notizia non venne dato peso, anche per la difficile situazione in quegli anni di guerra, e se ne tornò a parlare quando appunto furono rinvenute le impronte del Pelmetto”.

E il merito è ascrivibile a un uomo forte, schivo, taciturno, di pochissime frequentazioni, quel Vittorino Cazzetta a cui è dedicato il museo. Con il suo fiuto, la sua passione, le sistematiche esplorazioni del territorio e il totale amore per le montagne di casa, diede notizia di aver scoperto quelle impronte (poi approfonditamente studiate dal professor Paolo Mietto, docente di Geologia stratificata all’ Università di Padova). A Cazzetta, prematuramente scomparso il 10 agosto del 1996 durante una di quelle sue esplorazioni, si deve molto di più, compreso il rinvenimento di quell’eccezionale sepoltura di un uomo del Mesolitico superiore, tra gli ultimi rappresentanti del tipo Cro-Magnon, vissuto circa 7.500 anni fa, a cui è stato dato nome di “Uomo di Mondeval”.

Le impronte sono di tre diverse specie di dinosauri

Le impronte del Pelmetto appartengono a tre specie di rettili: un Ornitisco, dinosauro erbivoro bipede che poteva avere la lunghezza di un metro e mezzo, un Prosauropode, dinosauro quadrupede di circa 3 metri e un Coelophysis, dinosauro carnivoro quadrupede anch’esso di piccole dimensioni. Si tratta, infatti, dei primi dinosauri apparsi sulla Terra – circa 200 milioni di anni fa – che avevano una massa corporea contenuta. Sulla superficie del masso, inclinata e liscia come fosse un pavimento di malta troppo fresca, quei rettili sono passati lasciando le loro impronte. In realtà quella malta non era altro che il fondo melmoso di un antico braccio di mare, poco profondo e periodicamente sommerso dall’acqua, che vi depositava i suoi sedimenti e poi si ritirava, fino alla successiva sommersione, per infinite volte (qualcosa di simile si riscontra in Italia nelle barene e nelle velme delle lagune venete). Era quello che i geologi chiamano” Tidal flat”, ossia pianure tidali, con bassissimi fondali, dove i dinosauri pascolavano alimentandosi di alghe e piccoli animali. Le potenti pareti stratificate della Dolomia Principale, roccia che costituisce gran parte delle grandi montagne nelle Dolomiti centro-orientali, si sono formate con queste dinamiche.

Sulla vetta del Pelmo ci sono tracce di rettili ancora più grandi

Dicevamo dei tanti rinvenimenti che poi si sono succeduti nelle Dolomiti e nelle aree circostanti: alle Tre Cime di Lavaredo, sull’altopiano del Puez, in diverse località delle Prealpi Carniche, sull’Averau, nel gruppo del Civetta e sul  Pelmo.

“Quelle in vetta al Pelmo”, precisa Battiston, “sono orme impresse in rocce dell’inizio del Giurassico, 190-180 milioni di anni fa, quindi più recenti, e appartengono, a dinosauri carnivori molto più grandi rispetto a quelli del Pelmetto, bestioni lunghi 6-7 metri. Ci sono due piste, poste orizzontalmente, ben conservate. Potrebbero appartenere a un Dilophosaurus o a un Saltriovenator. Sono state avvistate nel 2014 ma gli studi sono ancora in corso da parte di Simone Maganuco, uno dei paleontologi più accreditati in Italia”.

Un sentiero porta alle orme. E dopo si va al museo

Chi volesse intraprendere l’escursione per ammirare da vicino le orme dei dinosauri del Pelmetto, deve incamminarsi dal Passo Staulanza (1766 metri) lungo il sentiero CAI 472 per il rifugio Venezia.

Dopo circa 40 minuti si stacca sulla sinistra un sentiero diretto verso le Orme dei Dinosauri. Il grande masso si vede già da distanza. Il cambio di pendenza é immediato e il sentiero si fa sempre più ripido. La traccia mano a mano che si sale si attenua, e sono gli ometti in pietra a indicare la giusta via. Difficile, in ogni caso, sbagliare strada e dopo poco più di un’ora di cammino si  giunge a destinazione.

All’interno del Museo “Vittorino Cazzetta” a Selva di Cadore, oltre a innumerevoli altri reperti, si può invece osservare una riproduzione a grandezza naturale della superficie con le orme.

Fino al 22 ottobre 2023 accanto alla sezione paleontologica del museo si visita la mostra “EVOLUTION, storie di cambiamento”, che tratta dell’evoluzione dei vertebrati con vari focus sull’uscita dall’acqua dei vertebrati, sull’arrivo dei rettili fino alla comparsa dei primi mammiferi o che raccontano la “trasformazione” dei dinosauri teropodi in uccelli. Uno spazio importante è dedicato al ritrovamento di una costola di ittiosauro (sempre da parte di Vittorino Cazzetta), il rettile marino vissuto circa 238 milioni di anni fa.

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2 Commenti

  1. C’è un po’ di disinformazione in questo post.
    Prosauropode non è una specie di dinosauro, si tratta di un ordine che racchiude diverse specie. Quest’ordine prevedeva specie prevalentemente semibipedi, e anche se una specie (Riojasaurus) è considerato completamente quadrupede, è errato definirli quadrupedi in quanto non viene specificata a quale specie vengono ricondotte le impronte. Inoltre, se è vero che gli esemplari del periodo triassico erano di dimensioni contenute, è altrettanto vero che l’evoluzione li ha portati a raggiungere i 10 metri di lunghezza.
    Infine, è proprio errato definire i Coelophysis quadrupedi, la definizione corretta è piccoli carnivori bipedi, si tratta infatti di dinosauri teropodi.

  2. Potete anche cancellarmi i commenti, ma la disinformazione nell’articolo rimane. 🙂

    P.S.: nel precedente commento ho dimenticato di dire che anche Ornitisco non è una specie di dinosauro ma un Ordine.

    Cordialmente

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