NewsTurismo

Buddha, elefanti, fiumi e tigri: che bello il Nepal a quota zero!

Non solo montagne. Da Kathmandu e da Pokhara, qualche ora di strada o un brevissimo volo porta a Lumbini, la patria del Buddha, e al Parco nazionale di Chitwan, che ospita una fauna straordinaria

Un tempio dipinto di bianco, a poca distanza dal confine tra India e Nepal, attira pellegrini da ogni parte dell’Asia. Gli si affiancano un laghetto, una colonna di pietra, un bosco in cui spicca un bodhi, un fico millenario, decorato da migliaia di bandiere di preghiera. I fedeli attraversano i resti di un santuario più antico. Poi s’inginocchiano davanti a una botola chiusa da una lastra di vetro, seminascosta dalle banconote che vengono lasciate come offerte. Al di sotto, s’intravede una semplice pietra.

Secondo la tradizione, nel 563 avanti Cristo, la principessa Mayadevi, prima di mettere alla luce suo figlio, si lavò nel laghetto, si appoggiò all’albero e partorì nel punto oggi indicato dalla pietra. Così nacque Siddhartha Gautama, l’uomo che oggi mezzo miliardo di uomini e donne venera come il Buddha, “il Risvegliato”.

Lumbini, dov’è nato il Signore, è un angolo di paradiso sulla Terra dove si possono vedere le montagne innevate da un giardino ricco di monasteri” scrive il pellegrino cinese Fa Xien, che arriva intorno al 400 dopo Cristo, quando il sito è già venerato da un millennio. L’archeologia moderna conferma.

Nel 1896, ricercatori tedeschi, nepalesi e indiani scoprono la colonna di pietra eretta nel 242 avanti Cristo da Ashoka, imperatore buddhista dell’India. Tra il 2011 e il 2013 i loro colleghi dell’università inglese di Durham scoprono che i primi edifici della zona risalgono proprio al VI secolo avanti Cristo. Nonostante la gloria passata, però, Lumbini viene a lungo trascurata.

Nell’Ottocento le guerre tra l’India britannica e il Nepal portano all’abbandono dei ruderi, la foresta li avvolge, i fedeli prima di raggiungere il tempio incontrano rinoceronti e tigri.

Il rilancio inizia nel 1967 con la visita dello statista birmano (e buddhista) U Thant, segretario generale dell’ONU. Grazie a lui l’UNESCO si interessa al sito, e incarica l’architetto giapponese Kenzo Tange di progettare la nuova Lumbini. Nel 1997 il sito entra nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità, poi il santuario passa da poche migliaia a duecentomila visitatori ogni anno.

Ma il fascino di Lumbini non è fatto solo di numeri. Nel tempio di Mayadevi l’atmosfera è solenne, ai piedi dell’albero sacro ci si rilassa e si cede al rito universale dei selfie. I bambini si rincorrono giocando, il vento muove le bandiere di preghiera. Come a Gerusalemme o ad Assisi, si sente di essere in un luogo speciale.

Il clima, va detto, non è tra le attrattive del Terai (il nome in Hindi e in Nepali significa “terra della febbre”), la striscia di territorio pianeggiante, traversata dalle anse dei fiumi, che si allunga per 800 chilometri sul confine tra Nepal e India.

In estate il caldo è soffocante, e il monsone porta violenti scrosci di pioggia. D’inverno, al mattino, la nebbia fa pensare alla Pianura Padana. Quando si dirada, però, basta guardare verso nord per scoprire la sagoma bianca dell’Annapurna e di altri giganti dell’Himalaya.

Per secoli, il Terai ha protetto il Nepal in due modi. Il clima malsano e gli acquitrini hanno contribuito a tener lontani gli invasori. Il terreno fertile e irrigato, una volta debellata la malaria, nutre milioni di nepalesi con le sue coltivazioni di riso, grano e verdure. Vengono prodotte qui anche la canna da zucchero e la iuta, le principali esportazioni.

A parte Kathmandu e Pokhara, sono nel Terai tutte le città più popolate del Nepal, da Biratnagar a Nepalgunj e a Bhairawa. Mentre Lumbini attira i pellegrini buddhisti, a Janakpur arrivano a migliaia gli indù, che pregano in un tempio costruito nel 1911. Qui, secondo il poema epico Ramayana, si sono svolte le nozze tra Rama, incarnazione del dio Vishnu, e la principessa Sita.

Per secoli, chi entrava in Nepal dall’India doveva traversare il Terai per dirigersi verso Kathmandu. Nel 1953, gli alpinisti britannici e neozelandesi che avrebbero conquistato l’Everest partirono a piedi dal posto di frontiera di Birganj, che avevano raggiunto in ferrovia da New Delhi.

Oggi, mentre il culto del Buddha attrae nepalesi e stranieri a Lumbini, una potente religione laica spinge migliaia di visitatori verso gli acquitrini, le giungle e i fiumi del Terai. Il Parco Nazionale di Chitwan, nato nel 1973, è un magnifico santuario dedicato alla fauna e alla flora.

Vivono qui circa 200 tigri e quasi 550 rinoceronti indiani, il 20% della popolazione complessiva della specie. Si affiancano loro l’orso labiato, il sambhar (cervo indiano) e il gaviale, il coccodrillo dei grandi fiumi dell’Asia. Chi ama il birdwatching può osservare 544 specie di uccelli.

Gli elefanti, in passato utilizzati nei campi, vengono usati per portare a spasso i turisti. I pochi esemplari selvatici arrivano a piedi, spontaneamente, dalla Riserva nepalese di Parsa o dal Parco nazionale indiano di Valmiki. Fino all’inizio del Novecento, principi e notabili di tutto il Nepal venivano a cacciare tigri e rinoceronti a Chitwan.

Cinquant’anni fa, nei lodge del Parco, al posto dei cacciatori hanno iniziato ad arrivare turisti con teleobiettivo e binocolo. L’aumento della popolazione nei dintorni, però, ha fatto aumentare il pascolo abusivo e il bracconaggio, e gli animali sono diminuiti.

La risposta delle autorità di Kathmandu non è stata affidata alle recinzioni e ai ranger (che ci sono, come in tutte le aree protette del mondo) ma al coinvolgimento della gente. Accanto al cuore del Parco, con i suoi regolamenti severi, è stata creata una zona-cuscinetto dove il visitatore è benvenuto.

Accanto ai lodge di lusso, piccoli imprenditori locali hanno creato alberghi e agenzie di safari. Nel bazar di Sauraha, centro agricolo sul confine del Parco, decine di strutture di questo tipo propongono tour di uno o più giorni nella natura. Da quando gli animali sono diventati una risorsa, il bracconaggio è quasi completamente finito.

Alcune zone di Chitwan si visitano in fuoristrada, sostando accanto a laghi e praterie frequentati dagli animali. Vari viottoli della foresta possono essere percorsi a piedi. Nei tour in canoa si costeggiano foreste e canneti, e si avvistano da pochi metri di distanza i gaviali.

L’esperienza più bella, però, è quella a dorso di elefante. Gli animali camminano sicuri negli acquitrini e nell’erba alta, e riescono ad avvicinarsi ai rinoceronti e alle tigri. Gli ambientalisti hanno ottenuto controlli severi contro il maltrattamento dei pachidermi, e un limite al numero di turisti che questi possono trasportare.

Come in tanti parchi del mondo, la fauna selvatica di Chitwan si vede meglio al tramonto e all’alba. Nelle ore più calde, i lodge invitano i visitatori a fare il bagno con gli elefanti. Uomini e pachidermi raggiungono a piedi un fiume, ed entrano nell’acqua. I mahout, i conducenti, invitano i bestioni a immergersi per rinfrescare la pelle, e i turisti possono fare lo stesso.

Chi vuole può salire in groppa a un elefante, traversare il corso d’acqua in questo modo, farsi fare una doccia con la proboscide del bestione. E’ un gioco che fa capire la forza di questi straordinari animali. E che permette di sentirsi nel cuore di una delle zone più sorprendenti dell’Asia. Sullo sfondo, l’Himalaya è ancora lì.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close