AlpinismoStoria dell'alpinismo

“Sono usciti dalle nostre vite”, la scomparsa di Pete Boardman e Joe Tasker sull’Everest

Nel maggio del 1982 una piccola spedizione britannica sul versante tibetano dell’Everest si conclude in maniera tragica. A organizzarla è stato Chris Bonington, che nel 1970 ha condotto la squadra che ha trionfato sulla parete Sud dell’Annapurna, e cinque anni dopo ha avuto lo stesso ruolo nella vittoria sulla parete Sud-ovest dell’Everest. Entrambe queste spedizioni hanno vinto pareti gigantesche, entrambe sono costate la vita a un amico e compagno di avventure di Bonington. Nel 1970 Ian Clough è stato travolto da una valanga dopo la vittoria di Dougal Haston e Don Whillans. Nel 1975 Mick Burke ha probabilmente raggiunto la cima da solo dopo Haston, Doug Scott, Pete Boardman e lo sherpa Pertemba, ma di lui si sono perse le tracce.

   

L’obiettivo del 1982 è la cresta Nord-est dell’Everest, “un gigantesco sperone che si libra nel cielo dal Raphu La” secondo Bonington. Nella parte alta è stata percorsa per decine di volte, a partire dal primo tentativo britannico del 1920. Sulla cresta, nel 1924, sono scomparsi George Mallory e Andrew Irvine. La prima salita alla cima, nel 1960, è stata effettuata da un team cinese.  

Non è mai stata tentata, invece, la lunga e affilata parte iniziale della cresta, che inizia dai 6510 metri del Raphu La, un valico tra il ghiacciaio orientale di Rongbuk e quello di Kangshung, e che si alza per tre chilometri e oltre fino alla Spalla Nord-est dell’Everest, 8393 metri. In questo tratto si alzano guglie rocciose e nevose dall’aspetto arcigno, che Bonington battezza The Pinnacles, i Pinnacoli. “Era un obiettivo evidente, elegante, sconosciuto. Dalle poche foto disponibili sembrava difficile ma possibile” scriverà il capospedizione in Everest, the Unclimbed Ridge (Everest, la cresta non salita) che dà alle stampe nel 1983 insieme a Charles Clarke. Chris Bonington e i suoi compagni di quegli anni non stabiliscono record solo per le difficoltà superate. Mentre le spedizioni del 1970 all’Annapurna e del 1975 all’Everest utilizzano campi e corde fisse, altri exploit di quegli anni si svolgono in stile alpino, o estremamente leggero.   

Boardman, che nel 1975 è arrivato sull’Everest dalla parete Sud-ovest, nel 1978 ha salito con Tasker la verticale parete Ovest del Changabang, 6856 metri, nel Garwhal. Sul Kangchenjunga, nel 1979, i due hanno aperto insieme a Doug Scott una magnifica via nuova in stile alpino. Nel 1975 Dick Renshaw e Tasker hanno risolto un altro grande problema alpinistico del Garwhal, la cresta Sud del Dunagiri, 7066 metri. Nel 1981 Boardman, Bonington, Al Rouse e Tasker hanno compiuto la prima assoluta del Kongur, 7719 metri, nel settore cinese del Pamir. 

Il Tibet, dopo trent’anni di chiusura, riapre agli alpinisti stranieri all’improvviso. Nel novembre del 1979, dopo gli incontri del leader cinese Deng Xiaoping con il segretario di Stato Henry Kissinger, un articolo sul Beijing Chronicles, annuncia la prossima riapertura del Qomolangma Feng, il nome cinese dell’Everest. Il primo ad approfittarne è Reinhold Messner, che nell’agosto del 1980 raggiunge da solo la cima per la via del Colle Nord. Per l’Everest sono anni fecondi, che vedono anche l’integrale della cresta Ovest (1979) da parte di una piccola spedizione slovena, la prima invernale dei polacchi (1980), e le due difficili via sulla parete Sud tracciate dagli stessi polacchi (1980) e da una spedizione sovietica (1982).   

Il team che lascia l’aeroporto di Heathrow il primo marzo del 1982, e raggiunge Lhasa dopo aver fatto scalo a Hong Kong, a Pechino e a Chengdu, è minuscolo se si bada alle dimensioni dell’obiettivo. Ma questo fa parte della sfida, e non è una novità per Bonington, Boardman, Tasker e Dick Renshaw, che lo accompagnano in Tibet. Fanno parte del team anche il medico Charles Clarke e Adrian Gordon, entrambi con un ruolo di supporto. Dalla valle di Rongbuk, dove arrivano in fuoristrada, i britannici continuano a piedi verso il campo-base avanzato ai piedi dei ripidi pendii del Colle Nord, utilizzato dalle spedizioni d’anteguerra. Poi proseguono su terreno sconosciuto verso i 6510 metri del Raphu La, da cui appaiono il Chomo Lonzo, lo Jannu e la gigantesca parete Est (o di Kangshung) dell’Everest.  

Dal 5 aprile gli inglesi affrontano la cresta. Il terreno non è mai estremo, ma è sempre abbastanza ripido ed esposto da richiedere la massima attenzione. Fa molto freddo, e la notte la temperatura scende fino a 20 grado sottozero. L’idea è di fissare delle corde nella prima parte della cresta, e di proseguire in stile alpino più avanti. Non ci sono ripiani per fissare le tende, e ci si ripara in tre grotte di neve, scavate a 6850, 7250 e 7850 metri. Poi il team si riduce ulteriormente. Dick Renshaw, sul primo dei tre Pinnacles, viene colpito da un piccolo ictus. Gli altri lo accompagnano fino al campo-base avanzato, poi Charles Clarke lo scorta verso Rongbuk e Lhasa. Chris Bonington non ha la forza di tornare sulla cresta, e il tentativo finale è affidato ai soli Pete Boardman e Joe Tasker. Il capospedizione e Adrian Gordon salgono al Colle Nord, per aiutare la cordata di punta in discesa.

Il 16 maggio, dalla terza grotta di neve, Pete e Joe comunicano via radio con il campo-base avanzato. Il 17 arrampicano sulla lunga e difficile cresta dei Pinnacles, e vengono visti per l’ultima volta intorno alle 21, mentre ancora impegnati sulla cresta a circa 8250 metri di quota. Poi sull’Everest cala il silenzio. 

Bonington e Gordon passano quattro notti al Colle Nord, poi si rassegnano e scendono. Dopo essere tornati a Rongbuk, i due raggiungono il villaggio di Kharta e il ghiacciaio di Kangshung, e osservano l’altro versante della cresta per cercare tracce dei due amici scomparsi. Il 24 maggio il gruppo riparte per Lhasa e il Regno Unito. Dick Renshaw, che è tornato in patria, porta la tragica notizia a Maria Coffey, la compagna di Joe, che vive a Manchester. Quando telefona a Hilary Boardman a Leysin, in Svizzera, risponde è Annie Haston, la vedova di Dougal, ucciso da una valanga cinque anni prima. 

They walked out of our lives, Sono usciti dalle nostre vite camminando è il titolo, simile a un epitaffio, del capitolo del libro di Bonington e Clarke che racconta la scomparsa di Pete e Joe. Un anno dopo, nel 1983, viene assegnato per la prima volta il Boardman Tasker Prize for Mountain Literature, un premio letterario dedicato all’alpinismo. Negli anni che seguono, altre spedizioni tentano la cresta Nord-est dell’Everest, ma per dieci anni nessuno trova tracce dei due scomparsi. Fanno parte dell’elenco i neozelandesi Russell Brice e Harry Taylor, che nel 1988 compiono la prima traversata dei Pinnacles, e poi scendono senza problemi al Colle Nord. 

Nel 1992, invece, un team di alpinisti giapponesi e kazaki trova un corpo intorno a 8200 metri di quota. Vladimir Suviga scatta delle foto, le invia a Chris Bonington, e questi identifica i resti come appartenenti a Pete Boardman. Il ritrovamento si ripete nel 1995, un’annata molto asciutta, quando un altro team giapponese ripercorre la cresta e prosegue fino in cima all’Everest. Non c’è altro da scoprire, purtroppo. Il corpo di Pete riposa ancora lassù, nel mondo che amava. Di quello del suo amico Joe Tasker si sono perse le tracce per sempre. 

Ricorderò sempre quando dal campo-base avanzato ho visto per l’ultima volta quelle due figure sui Pinnacles, che continuavano a salire dopo 14 ore di arrampicata, e poi sono scomparse. Penso ancora a Pete, a Joe e alle loro famiglie” spiega oggi un commosso Chris Bonington. 

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Un commento

  1. Grazie per questo bell’articolo; solo una piccola correzione ovvero la salita della ovest del Changabang è del 1976.
    Trovo strano che da quando è stato scoperto e fotografato, mai nessuna immagine sia stata pubblicata del corpo di Boardman. E questo non per voyeurismo, ma perchè tra tutte le immagini di cadaveri che vengono mostrati al giorno d’oggi (compresi quelli sull’Everest) almeno quella avrebbe avuto un valore storico ed un suo perchè motivato assolutamente in antitesi al mero sensazionalismo di quelle moderne.

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