Gente di montagna

Hermann Buhl

Non può accadere nulla, se c’è anche Hermann Buhl. Heinrich Harrer

Figura mitica del secondo dopoguerra, Hermann Buhl ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’alpinismo. Il suo è stato un vero e proprio talento naturale unito a una determinazione fuori dal comune che gli ha permesso di raggiungere risultati unici. In breve tempo ripete e poi apre itinerari estremi sia in Dolomiti che sulle Alpi occidentali. Sua è la goccia d’acqua che raggiunge la vetta di Cima Canali (2900 m; zona del Pradidali; H. Buhl, R. Erweg 1950) salendo lungo la parete ovest, come suo è l’impegnativo diedro che sale sul Piz Ciavazes, variante diretta alla via Micheluzzi.

Molte le nuove vie aperte da Hermann Buhl, anche se l’alpinista è maggiormente noto per le sue realizzazioni invernali e per le scalate solitarie, oltre che per essere stato il primo uomo a violare le nevi immacolate del Nanga Parbat.

Ritenuto un pioniere dello stile alpino, Buhl ha trasportato sulle alte vette dell’Himalaya il modo di scalare tipico delle Alpi: salite leggere, senza portatori, senza corde fisse. Un metodo che lo stesso Hermann ha definito come “stile delle Alpi occidentali” e che ha aperto le porte a quello che in futuro sarebbe diventato il metodo eticamente più pulito per salire i giganti della Terra.

La vita

Nato a Innsbruck il 21 settembre 1924, l’infanzia di Hermann Buhl è stata difficile. Ultimo di quattro figli, dopo la morte della madre ha trascorso molti anni in orfanotrofio iniziando a frequentare i gruppi scout della sua cittadina prima che questi venissero banditi. Con loro scopre la passione per la natura e l’outdoor.

La montagna arriva solo con gli anni dell’adolescenza. Hermann è un ragazzo mingherlino con una salute spesso cagionevole, ma questo non gli impedisce di frequentare le Alpi austriache migliorando il suo livello a vista d’occhio tanto che nel 1939 entra a far parte del Deutscher Alpenverein, il club alpino tedesco, divenendo in breve tempo un esperto arrampicatore su gradi estremi. Sempre in questo periodo entra a far parte del soccorso alpino di Innsbruck.

La sua vita è andata tranquilla, tra montagna e studio, fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale che lo vede arruolato nei reparti alpini. Combatte sull’Appennino, a Montecassino, dove viene preso prigioniero dalle truppe alleate. Tornato a Innsbruck, con la fine della guerra, si mantiene facendo i lavori più disparati e nel frattempo completa il percorso per diventare guida alpina.

L’alpinismo

Pionieristico è forse il termine migliore per definire l’alpinismo di Hermann Buhl. L’austriaco è stato un precursore sia sulle Alpi che in Himalaya. Divenuto famoso per le sue salite solitarie su gradi estremi e per le invernali, ha cambiato il modo di intendere la scalata influenzando molti degli alpinisti venuti dopo di lui.

Nel 1947, a 23 anni, realizza la sua prima solitaria: sale lo Schusselkarspitze (cima calcarea al confine tra Austria e Germania famosa per le difficili vie che corrono lungo la parete sud) percorrendo la Fiechtl-Herzog. Nel 1950 apre in solitaria la già citata via sulla cima Canali e, con Kuno Rainer, sale in invernale la via Comici sulla nord della Cima Grande di Lavaredo e la via Soldà sulla sud-ovest della Marmolada. Non è finita perché sempre nel Cinquanta porta a termine, per scommessa, la salita in velocità del Pizzo Bernina: andata e ritorno dal rifugio Boval in sole 6 ore, un exploit che gli fa vincere 200 franchi svizzeri. Più tardi, in sole due ore e in solitaria, raggiunge la cresta nord dello Jungfrau. Nell’estate lo ritroviamo con il compagno di cordata Rainer impegnato sulle Alpi occidentali dove effettua la quinta ripetizione della via Cassin alle Grandes Jorasses.

Nel 1952 è protagonista di un’altra grande impresa: la prima solitaria della Cassin sulla nord-est del Pizzo Badile, un’impressionante lastra che Buhl supera in sole 4 ore e mezza dopo aver raggiunto l’attacco della via in bicicletta (e a piedi) da Innsbruck (distante circa 250 chilometri). Qualche giorno dopo questa bella salita è di nuovo in solitaria sulla via Fox-Stenico alla Cima d’Ambiez (parete sud-est, gruppo del Brenta) e ancora, con Sepp Jöchler, sale la Nord dell’Eiger.

Il 1953 inizia con la prima salita solitaria invernale della parete nord del Watzmann, affascinante cima della Alpi tedesche nei pressi di Berchtesgaden, per proseguire in Himalaya dove prende parte alla spedizione che realizza la prima salita assoluta al Nanga Parbat (8125 m). Un’esperienza totalizzante, sotto tutti i punti di vista, che cambia per sempre la vita di Buhl. Rientrato da questa esperienza subisce l’amputazione delle dita dei piedi, evento che lo costringe ad abbandonare l’alpinismo su difficoltà estreme, ma che di certo non frena la sua grande passione alpinistica. Nel 1954 apre una via sulla Sud del Piz Ciavazes e nel 1956 sale in solitaria la via Auckenthaler al Lalidererspitze (una delle più affascinanti cime delle Alpi orientali, si trova in Tirolo) e lo stesso anno ripete la via Contamine all’Aiguille du Moine (massiccio del Monte Bianco). L’anno successivo riparte per il Pakistan, questa volta verso il Karakorum, dove con Kurt Diemberger, Marcus Schmuck e Fritz Wintersteller riesce nella prima salita assoluta del Broad Peak (8047 m). Hermann Buhl muore qualche giorno dopo durante il tentativo di realizzare la prima salita del Chogolisa (7665 m) insieme a Kurt Diemberger. I due, dopo aver rinunciato alla vetta per colpa delle pessime condizioni climatiche, sono in discesa dalla montagna. Procedono slegati con una visibilità pari allo zero lungo un’aerea cresta dove sono presenti cornici instabili. Basta un passo falso per appoggiare su una porzione fragile e precipitare nel vuoto per centinaia di metri, com’è accaduto al 33enne Buhl. Nonostante le ricerche il suo corpo non è mai stato ritrovato.

Il Nanga Parbat

“Al tirolese Hermann Buhl riuscì il quasi impossibile” afferma Reinhold Messner. “Circa 1400 metri di dislivello senza ossigeno, dalle due di notte fino alle sette di sera, tratti di difficile arrampicata su roccia, circa quaranta ore nella zona della morte: è stata un’impresa senza paragoni”.

Buhl fa parte di una spedizione austro-germanica guidata dal professore Karl Maria Herrligkoffer (lo stesso che poi guiderà la spedizione che nel 1962 aprirà la via Kinshofer e che nel 1970 violerà l’immensa parete Rupal) diretta al versante Rakhiot del Nanga Parbat. Il gigante himalayano è ancora inviolato nonostante i molti tentativi effettuati dai tedeschi prima della Seconda Guerra Mondiale. Nel frattempo, i francesi hanno però scalato l’Annapurna (1950) e gli inglesi si sono accaparrati il tetto del mondo toccando, il 29 maggio del 1953, gli 8848 metri dell’Everest. È tempo che anche i tedeschi si guadagnino il loro posto nella storia dell’altissima quota.

La spedizione parte massiccia, come nello stile del periodo. Gli alpinisti iniziano a lavorare sulla montagna attrezzando la via di salita con corde fisse e campi, il tutto seguendo gli ordini marziali di Herrligkoffer. Salgono lenti riuscendo a piazzare solo la metà dei campi che in realtà servirebbero per poter raggiungere in sicurezza la vetta della montagna, quando si prende la decisione di tentare ugualmente. La squadra di vetta è formata da Hermann Buhl e Otto Kempter. La mattina del giorno decisivo Hermann parte solo, Kempter è svogliato, e forse spossato, dalla quota. Sale lento su per le pendici del Nanga. Un percorso estenuante che, ai primi raggi del sole, diventa massacrante. Al calare del dì è in vetta, solo, senza ossigeno, by fair means. Il Nanga Parbat diventa il primo e unico Ottomila a essere scalato in solitaria e senza l’utilizzo delle bombole di ossigeno. Con le prime ombre inizia una discesa eterna che lo vede, nel buio della notte, bivaccare in piedi appoggiato alla parete. Impossibile continuare senza conoscere le asperità del terreno, per questo preferisce attendere le prime luci di un nuovo giorno. La notte è fredda a una quota di 8000 metri e le conseguenze sono gravi. Per riuscire a completare la discesa deve ricorrere a due pasticche di Pervitin, una metanfetamina utilizzata anche dai piloti tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale. Un espediente che è stato fondamentale a salvargli la vita permettendogli di dare fondo alle ultime energie necessarie per raggiungere il campo base. Una volta in tenda si rende conto di avere congelamenti ai piedi che portano in breve alla decisione di amputare due dita.

Le conseguenze di questa impresa unica nel suo genere non sono solo fisiche ma anche sociali. Molte le critiche mosse verso lo scalatore austriaco sia da invidiosi, che dagli stessi membri della spedizione. Buhl si è trasformato in un ribelle agli occhi degli alpinisti del periodo, è uscito dal recinto esprimendosi nella sua individualità. Una filosofia che va in contrasto con quelli che sono i valori del capospedizione Herrligkoffer che ancora segue i principi camerateschi tipici del periodo (lo stesso accadrà nel 1970 con un altro ribelle, Reinhold Messner). Critiche a cui Buhl risponde con un pensiero pulito e diretto ricordando colui che per primo si è avvicinato al Nanga Parbat sognando di poterlo salire.Mummery è il primo che debbo ragguagliare, cui debbo rendere conto. Posso ben guardarlo negli occhi, stare in piedi dinanzi a lui mentre gli annuncio: non ho conquistato il Nanga Parbat servendomi dei mezzi tecnici moderni, ma assolutamente come voi intendevate, ‘by fair means’, con mezzi leali, con le sole mie forze”.

Libri

È buio sul ghiacciaio, Corbaccio, 2007
Mio padre è Hermann Buhl, di Kriemhild Buhl, Cda & Vivalda, 2009

L’alpinismo è un’attività sfiancante. Uno sale, sale, sale sempre più in alto, e non raggiunge mai la destinazione. Forse è questo l’aspetto più affascinante. Si è costantemente alla ricerca di qualcosa che non sarà mai raggiunto. Hermann Buhl

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7 Commenti

  1. Se penso che Lui ha salito nel 1953 per primo il Nanga Parbat , ha percorso la lunghissima ultima parte da solo e ha fatto tutto senza ossigeno, magari un po’ aiutato chimicamente come si usa oggi, mi sembra che le notizie di alpinismo d’alta quota di questi anni siano quasi tutte basate su persone senza capacità particolari.
    Anche questo è un fatto commerciale ?

  2. No, più che altro è lui che ha fatto una cosa sconvolgente.

    Un’impresa titanica ed ineguagliata.

    Sui cosiddetti aiutino chimici non scherziamo, questo aveva i materiali del 1953 ed anche prendersi due anfetamine ti darà energia ma non è sto aiuto pazzesco eh, anzi un altro magari ci avrebbe lasciato la pelle proprio per quello visto come era conciato in quel momento

  3. Nel 1952 è protagonista di un’altra grande impresa: la prima solitaria della Cassin sulla nord-est del Pizzo Badile, un’impressionante lastra calcarea che Buhl supera in sole 4 ore e mezza……… CALCARE? SUL BADILE?????
    Leggo bene…. È corretto?

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