Storia dell'alpinismo

8 giugno 1924, il mistero di Mallory e Irvine sull’Everest

Una delle tragedie più celebri della storia dell’alpinismo si svolge sull’Everest l’8 giugno del 1924.

Il primo tentativo

Quattro giorni prima, senza respiratori né bombole, Edward Norton e Howard Somervell compiono un primo tentativo verso la cima. Non seguono la cresta Nord, interrotta da due salti verticali, ma salgono in diagonale, più in basso. 

Somervell, esausto, si ferma su dei lastroni giallastri. Norton prosegue da solo, entra in un ripido canalone, ma la neve non regge il suo peso. Quando decide di scendere è a circa 8570 metri di quota. Secondo lui “restano forse 60 metri di dura arrampicata”, poi “la via fino alla vetta dovrebbe essere facile”. Il suo record di quota resisterà fino al 1952. 

Il tentativo di Mallory e Irvine

L’8 giugno tocca a George Leigh Mallory, l’alpinista più noto del team, e al giovane Andrew Irvine, che salgono con i respiratori a ossigeno. Dal 1922, quando questi pesantissimi aggeggi (14 chili!) sono arrivati per la prima volta sull’Everest, gli sherpa chiamano le bombole e il loro contenuto “aria inglese”. 

Il 7 maggio i due, insieme a quattro sherpa, raggiungono il campo VI, a 8170 metri. Quando scendono al campo V, i portatori consegnano a Noël Odell due biglietti di Mallory. “Il tempo per l’ascensione è ideale”, “alle 8 dovreste cominciare a vederci”, quello dei respiratori è “un peso maledetto per salire”. 

Nessuno ci ha raccontato cosa accade l’8 giugno. Probabilmente i due partono in ritardo dalla tenda, a causa dei problemi ai respiratori. Odell dal basso li vede più volte, sui nevai tra i salti rocciosi della cresta. Poi una bufera di neve investe la piramide sommitale dell’Everest.

Noël Odell prosegue brevemente oltre il campo VI, poi rinuncia e torna al campo V. Non si ferma all’ultimo campo per la notte, perché la tenda è scomoda anche per due sole persone. Inizia un’attesa angosciosa. Nella notte tra l’8 e il 9 giugno il cielo è terso, e Odell e John Hazard guardano più volte verso l’alto. Ma non vedono nulla. 

Il 10 Odell torna al campo V con due sherpa, e prosegue da solo, usando un respiratore, fino al campo VI. La tenda, i sacchi a pelo, i ricambi dei respiratori sono ancora lì, come quarantott’ore prima. E’ una sentenza senza appello. 

Nessuno può sopravvivere a due notti all’aperto a quella quota, è certo che Mallory e Irvine sono morti. Ma resta il dubbio, remoto a causa della partenza in ritardo e delle difficoltà della cresta, che i due possano aver raggiunto la cima e avere perso la vita in discesa. 

Sir Francis Younghusband, che ha promosso le prime spedizioni all’Everest, scrive un epitaffio di Mallory. “Delle due alternative (tornare sconfitto per la terza volta, o morire), quest’ultima era per Mallory la più facile. La tortura della prima possibilità sarebbe stata maggiore di quanto egli, come uomo, come alpinista e come artista, avrebbe potuto sopportare”.  

Il mistero di Mallory e Irvine

Il mistero di Mallory e Irvine continua fino ai giorni nostri. Nel 1933 Lawrence Wager e Percy Wyn Harris trovano una delle loro piccozze a 8500 metri di quota. Solo nel 2013 Tony Smythe, figlio dell’alpinista Frank, afferma che il padre nel 1936 ha localizzato il corpo di Mallory, ma non lo ha detto per evitare un’attenzione morbosa. 

Il 29 maggio 1953 Edmund Hillary, che arriva in vetta con Tenzing Norgay, cerca tracce dei due scomparsi ma non trova nulla. Sette anni dopo, nel 1960, tre alpinisti arrivano sulla cima da nord. Sono i cinesi Wang Fuzhou e Qu Yinhua e il tibetano Gonbu. Un altro cinese, Liu Lienman, si ferma poco sotto la cima. La cordata scopre che il Second Step, l’ultimo salto, ha difficoltà elevate. Anche loro non trovano tracce. 

Nel 1975, un’altra spedizione di Pechino arriva in cima. Quattro anni dopo uno dei suoi componenti, Wang Hongbao, racconta a un giapponese di aver trovato un corpo vestito all’antica, e di essere sicuro che si trattasse di un inglese. L’indomani, però, Wang viene ucciso da una valanga.  

Il ritrovamento del corpo di Mallory

L’anno decisivo è il 1999, quando cinque alpinisti statunitensi e britannici, Conrad Anker, Dave Hahn, Jake Norton, Andy Politz e Tap Richards, vanno in cerca dei resti di Mallory e Irvine. La spedizione è finanziata dalla BBC britannica e dalla ZDF tedesca. Peter Firstbrook, produttore del film, scriverà il libro Lost on Everest, the Search for Mallory e Irvine.  

Alle 11.45 del 1° maggio Conrad Anker, a 8170 metri, scopre “qualcosa di bianco, che non è né roccia né neve. Poi vede “una scarpa chiodata, e dei vecchi vestiti di lana e cotone”. “C’era dignità in quella figura, anche perché era diventata parte della montagna” aggiungerà Dave Hahn.

Il corpo di Mallory giace a faccia in giù sulla ghiaia, i suoi vestiti si polverizzano al tocco, l’altimetro e l’orologio sono rotti, la corda di canapa a cui è legato è tagliata a qualche metro dal corpo. La tibia e il perone destri sono spezzati, la gamba sinistra poggia sull’altra e suggerisce che, dopo il volo, l’uomo fosse ancora in vita. Il respiratore dev’essere rimasto più in alto. Dopo aver esaminato i resti, Andy Politz legge la prima parte del Salmo 107. “Celebrate il Signore / Perché egli è buono / Perché la sua bontà dura in eterno!”. Poi Mallory viene sepolto, e i cinque scendono al campo-base. 

La ricerca del corpo di Irvine e della sua macchina fotografica

Due settimane dopo Politz, con il cameraman Thom Pollard, va in cerca di Irvine e della sua macchina fotografica, che potrebbe svelare se i due hanno raggiunto la vetta. Non la trova. Lo stesso giorno, Conrad Anker supera in libera il Second Step, che trova estremamente difficile. 

Ma la prova definitiva non c’è. “Tutto suggerisce che Mallory sia caduto in discesa, e che Irvine lo abbia tenuto prima che la corda si spezzasse” conclude Peter Firstbrook nel libro. Non possiamo sapere, però, se Andy Irvine sia caduto a sua volta più tardi, o se sia morto di stanchezza e di freddo in un bivacco. 

Nel 2009 l’americano Tom Holzel affermerà di aver visto sulle foto aeree il suo corpo a quota 8425 metri. Secondo lui, in una spaccatura tra due massi, si riconosce “una figura umana di circa 1,80 metri di statura”.

Non sappiamo nemmeno se i due siano arrivati sulla cima, e l’exploit di Conrad Anker non dà una risposta sicura. Il passaggio è difficile, ma i cinesi del 1960 lo hanno superato con una piramide umana. Mallory, che era uno dei migliori alpinisti del suo tempo, ce l’avrebbe potuta fare. 

Restano le parole di Geoffrey Winthrop Young, un grande alpinista che aveva arrampicato con Mallory. “La mia impressione è che l’incidente sia accaduto in discesa, come nella maggioranza dei casi” scrive Young poco dopo la tragedia. “Se le cose stanno così, allora la cima è stata raggiunta, perché Mallory era Mallory”.  

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