Ambiente

La Patagonia muta forma: i ghiacci si sciolgono, la terra si solleva

I ghiacciai si stanno sciogliendo in tutto il mondo, questo è ormai un dato di fatto. Ma in Patagonia si sta verificando un fenomeno particolare, che non trova paragoni in altre aree del Pianeta: alla perdita di superficie glaciale, a una velocità tra le più alte registrate a livello mondiale, si associa un innalzamento del substrato su cui i ghiacciai poggiano. Un team di ricercatori della Washington University di St. Louis ha condotto delle indagini sismiche che hanno consentito di chiarire le cause di tale “anomalia” delle Ande meridionali. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Geophysical Research Letters, in un paper dal titolo “Lithospheric Erosion in the Patagonian Slab Window, and Implications for Glacial Isostasy”.

Il rimbalzo post glaciale

Il primo pensiero che inevitabilmente sorge di fronte allo scenario cui si sta assistendo sugli icefields patagonici – alla cilena Campo de Hielo Sur e Norte, in italiano campi di ghiaccio patagonici meridionale e settentrionale – è che, essendo il ghiaccio dotato di un suo peso, se tale massa scompare, il suolo sottostante, privato di tale peso, subisca un effetto di rimbalzo, come un qualunque corpo elastico.

L’idea non è errata né assurda. In glaciologia è riconosciuta l’esistenza di un processo geologico, definito isostasia glaciale o rimbalzo post glaciale, che in termini semplici, vede i substrati su cui poggiano i ghiacciai comportarsi in maniera elastica, al termine delle ere glaciali. Il terreno tende effettivamente a innalzarsi, una volta che sia venuto meno il peso di centinaia di metri di ghiaccio, ma parliamo di tempi molto estesi, di velocità molto contenute. In Patagonia ci deve essere necessariamente qualche parametro in più da considerare.

La risposta è in profondità

Il team di ricerca della Washington University, coordinato dal sismologo Douglas Wiens, è andato a cercare tale risposta nelle profondità del sottosuolo, al livello del mantello terrestre. E la risposta sembrerebbe essere la presenza di una slab window, una finestra dello slab, dove slab sta per porzione di litosfera in subduzione.

Breve parentesi geologica: la litosfera si compone della crosta terrestre e del mantello litosferico, separati dalla discontinuità Moho. Sotto il mantello litosferico troviamo l’astenosfera. Punto di passaggio tra litosfera e astenosfera è la isoterma di circa 1300°C, temperatura oltre la quale il mantello inizia a fondere. Per effetto di questa fusione parziale, la propagazione delle onde sismiche viene fortemente rallentata, da cui la definizione dell’astenosfera come “canale a bassa velocità”.

La regione patagonica è interessata da un fenomeno di subduzione, in cui una placca sta progressivamente sprofondando al di sotto di un’altra. Circa 100 km al di sotto della superficie, i ricercatori hanno identificato un punto in cui qualcosa non va, appunto una “finestra”, una fessura che, senza addentrarci nei complessi particolari geologici, favorisce la risalita verso la superficie di materiale proveniente dall’astenosfera, dunque più caldo e meno viscoso.

All’interno e nelle vicinanze della “finestra” gli scienziati hanno rilevato una velocità di propagazione delle onde molto bassa, e un assottigliamento della rigida litosfera sovrastante, effetto di una erosione dal basso. Chilometri e chilometri più in alto, in corrispondenza della slab window, i campi di ghiaccio stanno arretrando, diminuendo il loro carico sulla medesima litosfera erosa dal basso. Sarebbe questa congiunzione di elementi a determinare l’innalzamento, non omogeneo, della superficie. A regolare il dove e quanto avvenga ciò, sarebbe la viscosità del mantello.

“La bassa viscosità – spiega in un comunicato ufficiale dell’Ateneo il prof. Wiens – fa sì che il mantello risponda allo scioglimento dei ghiacci su una scala temporale di decenni non migliaia di anni.”

“Altro elemento significativo – aggiunge – è che la viscosità risulti più elevata al di sotto della parte meridionale del Campo de Hielo Sur rispetto al Campo de Hielo Norte, e questo ci aiuta a spiegare come mai i tassi di innalzamento varino da Nord a Sud.”

Seppur entusiasta come è giusto che sia dei risultati ottenuti, il prof. Wiens, che in Patagonia ha viaggiato per oltre 25 anni, non riesce a nascondere lo sconcerto di fronte allo scenario offerto in tempi moderni dalle Ande cilene e argentine: “I magnifici ghiacciai si stanno riducendo in termini di dimensione. Nel corso dei prossimi decenni, le fronti glaciali recederanno sempre di più, a quote sempre più elevate e questo li renderà sempre più complicati da osservare. Ho potuto vedere chiaramente con i miei occhi quanto si siano rimpiccioliti a partire dalla prima volta che sono stato in Patagonia, nel 1996.”

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