Gente di montagna

Matthias Zurbriggen

Conquistatore dell’Aconcagua nel 1897 e “Signore della Est del Rosa”, salì vette al tempo impossibili dal Karakorum alla Nuova Zelanda. Per il suo carattere impossibile era chiamato Ein Tifal, il diavolo

“Un Dio rozzo e imperioso che chiede bruscamente da bere e i suoi clienti si affrettano a servirgli il miglior nettare che rimane nelle nostre fiaschette; poi esplode quando gli uomini della cordata compiono una leggerezza che avrebbe potuto avere gravi conseguenze: ‘Figli di cani! Se casco io andate giù tutti!’ ci grida quel demonio di Zurbriggen dalla costa di un seracco, in posizione difficile, richiamandoci cortesemente all’ordine”.

Guido Rey

 

“Quel demonio di Zurbriggen”, detto con le parole ironiche e assieme ammirate di Guido Rey. Ma anche “Ein tifal!”, un diavolo, nei commenti secchi dei più anziani abitanti di Macugnaga che lo avevano conosciuto e che, anche sotto il fuoco di fila delle domande di giornalisti e storici dell’alpinismo nati e cresciuti in valle, come Teresio Valsesia, non hanno mai voluto aggiungere null’altro, quasi che sul vecchio “Mathis”, sulle sue imprese e sulle sue malefatte, l’intera comunità dei compaesani avesse deciso di calare la cortina impenetrabile della damnatio memoriae

Eppure ci fu un tempo in cui il nome di Matthias Zurbriggen risuonava da un capo all’altro delle Alpi, e ancora oltre, fino alle Ande, al Karakorum e alla Nuova Zelanda. Negli ultimi due decenni dell’800 l’alpinista, svizzero di nascita, ma cresciuto a Macugnaga, divenne una delle guide alpine più conosciute e ricercate, apprezzato per la sua straordinaria resistenza, per le doti di scalatore e anche per le capacità organizzative e per la naturale vocazione alla leadership.

La sua, però, era destinata ad essere una leggenda nera: qualcosa di oscuro stava alla radice dell’inquietudine che lo spingeva a salire. C’erano mostri che si agitavano nel suo abisso e, per quanto lui fuggisse verso l’alto, un giorno lo avrebbero raggiunto e divorato…

La vita e l’alpinismo

Matthias Zurbriggen nasce a Saas Fee, nel cantone svizzero del Vallese, il 15 maggio del 1856. All’età di due anni si trasferisce con l’intera famiglia a Macugnaga, dove il padre Lorenz, che originariamente esercitava il mestiere di ciabattino, trova lavoro come minatore.

Tre anni dopo, proprio durante il turno in miniera, Lorenz viene colpito da una scarica di pietre e muore al seguito di una lunga agonia. Il compito di sfamare e allevare i sette figli ricade sulle spalle della moglie Veronica Del Prato.

Appena l’età glielo consente anche Matthias contribuisce al sostegno della famiglia, portando al pascolo il bestiame dei vicini. La paga però è insufficiente alle esigenze di sopravvivenza e, all’età di 13 anni, il giovane Zurbriggen torna da solo in Svizzera, in cerca di fortuna. Lavora come minatore, fabbro, stalliere, cocchiere e tessitore. Impieghi che gli consentono di acquisire una grande abilità manuale e anche di familiarizzare con diverse lingue.

Sempre in cerca di fortuna, nel 1881, decide di emigrare in Sud America, ma, prima di imbarcarsi, fa ritorno a Macugnaga per salutare la madre. Qui i progetti cambiano nuovamente e Matthias decide di fermarsi nel piccolo centro ossolano, dove apre una fucina.

Nel frattempo, però, l’economia della valle sta conoscendo sviluppi inattesi: le prime rare visite degli esploratori delle Alpi si stanno trasformando in un turismo fiorente, in grado di portare benessere e lavoro ai valligiani. Chi, come Zurbriggen, ha intraprendenza, coraggio e familiarità con l’ambiente montano può puntare a una promettente carriera di guida alpina. Infatti, nel 1884, Matthias accompagna il suo primo cliente nella traversata del massiccio del Rosa, da Macugnaga a Zermatt. È l’inizio di una carriera sfolgorante.

In poco tempo egli diviene“Il Signore della parete Est del Rosa”. Attraverso quell’immenso dirupo di rocce e ghiacci dall’aspetto e dalle dimensioni himalayane che incombe proprio sopra Macugnaga, Zurbriggen guida decine di cordate, aprendo la strada a tanti fra i migliori alpinisti dell’epoca. Sul Rosa firmerà anche due nuovi itinerari. Il primo, aperto il 3 settembre del 1893, assieme a Guido Rey, Luigi Vaccarone e alle altre due guide Luigi Burgener e Casimiro Therisod, segue l’itinerario classico della Punta Dufour per poi traversare al Colle Gnifetti. Il 10 settembre, con Carlo Restelli e Burgener, apre una nuova via alla punta Nordend, a sinistra di quella aperta nel 1876 dalla cordata di Luigi Brioschi.

Tutti lo vogliono e tutti lo cercano, nonostante il suo orribile carattere, da vero e proprio attaccabrighe. Insulti e umiliazioni sono un po’ lo scotto da pagare per ottenere la garanzia di successo offerta dalla leggendaria resistenza e determinazione e dalla sua confidenza con l’ambiente dell’altissima quota: “Mattia Zurbriggen una volta incamminato non torna più indietro”, dirà lui stesso al compagno Carlo Restelli.

È probabilmente per queste qualità che, nel 1892, l’inglese Martin Conway lo vuole con sé nella spedizione diretta verso la catena montuosa del Karakorum, allora praticamente ancora inesplorata. Il gruppo guidato da Conway percorre in lungo e in largo l’immenso sistema glaciale Biafo-Hispar raggiungendo le pendici del K2 e salendo diverse cime inviolate, fra cui il Pioneer Peak, di 6890 metri, fino ad allora la quota più elevata mai toccata dall’uomo. Sulla vetta i compagni annaspano nell’aria sottile, cercando disperatamente di incamerare qualche molecola di ossigeno. Zurbriggen, commosso e soddisfatto, si fuma un sigaro per festeggiare la vittoria.

La sua fama cresce ancora e, a cavallo fra il 1894 e il ’95, Edward Arthur FitzGerald lo ingaggia per la campagna alpinistica nelle Alpi della Nuova Zelanda. L’obiettivo principale del grande scalatore britannico è il Mount Cook, la cima più elevata dell’isola australe, con i suoi 3724 metri di altitudine. La spedizione inglese però viene battuta sul tempo da tre alpinisti locali, che calcano la cima del Cook il giorno di Natale del 1894.

FitzGerald si rifà con altre due prime assolute: il Mount Tasman (3497 m) e lo splendido Mount Sefton (3151 m), noto come il Cervino della Nuova Zelanda, sul quale le mani possenti di Zurbriggen trattengono la sua caduta, salvandolo da morte certa. Matthias ha onorato al meglio il suo incarico di guida, ma ancora non è soddisfatto: il 14 marzo del 1895 è in vetta al Mount Cook, dopo aver aperto in solitaria una nuova via sulla cresta nordest, dimostrando una volta di più che per lui la scalata non è un semplice lavoro, ma una passione bruciante e totalizzante.

Due anni dopo il sodalizio si rinnova: l’obiettivo questa volta è l’Aconcagua, il tetto del Sud America, la cui cima inviolata, secondo le misurazioni di allora, tocca i 7035 metri. Come sul Pioneer Peak la quota fa la sua inesorabile selezione. Un poco alla volta i compagni di scalata, esausti, rinunciano. Alla fine è il solito Zurbriggen a calcare da solo la vetta. Alle 17 del 14 gennaio, dopo aver costruito un ometto di pietre, vi pianta la piccozza di FitzGerald e si sofferma ad ammirare il panorama. Da lì gli pare di poter dominare tutto il continente. Scriverà infatti: “Vedevo l’intero Sudamerica che si estendeva sotto di me, con i suoi mari, montagne e pianure, costellato di villaggi e città che parevano macchioline”.

Con la conquista dell’Aconcagua la carriera del Signore della Est tocca il suo apice. Egli stesso diviene narratore delle sue imprese dando alle stampe il volume “Dalle Alpi alle Ande – Memorie di una guida alpina”, scritto in italiano e poi tradotto e edito per la prima volta in Inghilterra nel 1899. Anche questa è una prima assoluta: sino ad allora il recit d’ascension era stato appannaggio esclusivo dei “monsieur”; è la prima volta che una guida alpina dimostra di avere sufficiente consapevolezza e intraprendenza per proporsi come protagonista del proprio percorso fra le montagne.

Poi il baratro. Negli anni che seguono le intolleranze del suo carattere esplodono sempre più feroci e incontrollabili, esasperate dagli eccessi del vino a cui sempre più spesso indulge. Quando lo incontrano fra le strade di Macugnaga i compaesani e le altre guide alpine girano alla larga, sicuri che, solo a scambiarci due parole, quel demonio del Mathis troverà un appiglio per passare all’insulto e alla rissa. Anche i clienti, un poco alla volta, lo abbandonano e lo dimenticano.

Il Signore della Est rimane solo in balia dei suoi mostri. Se ne va da Macugnaga, lasciando al proprio destino la moglie e i figli.

Scompare, letteralmente.

Il 21 luglio del 1917, nello scantinato di un albergo di Ginevra, viene ritrovato il cadavere di un vagabondo, morto impiccato. È sudicio e ancora impregnato dal tanfo dell’alcool. Non ha lasciato alcun messaggio di addio o di spiegazione del gesto estremo. Le indagini riveleranno che si tratta proprio del grande Matthias Zurbriggen.

Libri

  • Dalle Alpi alle Ande – Memorie di una guida alpina, Matthias Zurbriggen, Priuli & Verlucca, 2017 (prima edizione in inglese 1899)

“Zurbriggen era appassionato, dissoluto, vivace ed esuberante. La sua vita è finita come se l’avesse bevuta fino all’ultima goccia”.

Martin Conway

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