Gente di montagna

Maurice Herzog

Il 3 giugno 1950 fu il primo uomo (con Louis Lachenal) a calcare la vetta di un Ottomila: l’Annapurna. Ripercorriamo la sua storia tra imprese, polemiche

“La montagna è stata un’arena naturale dove, giocando alle frontiere della vita e della morte, abbiamo trovato quella libertà che oscuramente ricercavamo e di cui avevamo bisogno come il pane”

Maurice Herzog

(intro)

La foto del suo sguardo allucinato e delle sue mani in disfacimento, devastate dai congelamenti e dalla necrosi, è divenuta un’icona mondiale: il simbolo dell’epoca dell’alpinismo himalayano di conquista. Maurice Herzog non è stato il più grande alpinista della sua epoca, anzi, sotto l’aspetto del puro talento e della tecnica è stato sicuramente un personaggio di secondo piano rispetto ai grandi talenti transalpini suoi contemporanei. Eppure è lui la mente e il cuore della spedizione che ha regalato alla Francia il primato della salita dell’Annapurna, il primo 8000 della storia.

Nel clima di nazionalismo ancora imperante dopo la Seconda guerra mondiale, questa conquista e il suo condottiero sono divenuti icone dell’onore e dell’orgoglio di un’intera nazione, ma, come è avvenuto per la conquista italiana del K2, anche l’epopea dell’Annapurna e il suo indiscusso protagonista hanno un lato oscuro, fatto di polemiche, silenzi e bugie…

L’infanzia, la resistenza e l’alpinismo

Maurice Herzog nasce a Lione, in Francia, il 15 gennaio 1919. Il padre è un ingegnere svizzero che ha militato nella legione straniera, la madre è invece francese e proviene da Tolosa. È il primo di sette fratelli e sorelle e cresce in un ambiente benestante, che gli consente di portare aventi un prestigioso percorso di studi (si diploma in diritto presso l’École des Hautes Etudes Commerciales di Parigi) e, contemporaneamente, dedicarsi allo sport.

La frequentazione della montagna in famiglia è una tradizione. Gli Herzog, infatti, possiedono uno chalet a Chamonix e da lì Maurice parte per compiere le sue prime escursioni nel gruppo del Monte Bianco. L’arrampicata vera e propria però la sperimenta salendo i massi della foresta di Fontainebleau, la storica “palestra” di roccia dei parigini.

Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale entra nella resistenza francese e viene incaricato di comandare la brigata “Joyeux” che, durante l’inverno 1944/45, compie diverse azioni nell’area di  Bourg-Saint-Maurice, nelle montagne dell’Alta Savoia, per contrastare l’occupazione tedesca. Il battaglione ha un buon numero di scalatori di Chamonix, cosa che consente a Maurice di porre le basi di una rete di relazioni che si riveleranno preziose per la sua futura carriera alpinistica. Contemporaneamente ha modo di sperimentare e mettere in luce le sue indubbie doti di leader.

Gli anni dell’immediato dopoguerra sono quelli dell’ascesa dell’alpinismo francese. Nomi come quelli di Terray, Lachenal e Rébuffat entrano ben presto nel pantheon dell’alpinismo, compiendo le ripetizioni delle grandi vie aperte sulle Alpi negli Anni 30 e realizzando nuovi e impegnativi itinerari.

Herzog è un personaggio di secondo piano rispetto a questi giganti. È sicuramente un alpinista di talento, ma la disponibilità di tempo ed energie che può dedicare alla scalata rimane quella di un dilettante, anche perché, proprio in quegli anni, ha inizio la sua carriera come dirigente presso il produttore di pneumatici Kléber-Colombes.

La conquista dell’Annapurna

Nel 1950 arriva la svolta che ambierà la vita di Herzog. Fra le strette relazioni di amicizia che ha tessuto nell’ambiente alpinistico c’è anche quella con Lucien Devies, il potente presidente del Club Alpino Francese, soprannominato il “De Gaulle della montagna”. È lui a volere che il fedelissimo Herzog sia designato alla guida della spedizione nazionale in Himalaya.

Sono questi gli anni in cui si stringe il cerchio dell’assedio attorno alle più alte vette della Terra. Le spedizioni pionieristiche dei decenni precedenti hanno portato gli scalatori a una migliore conoscenza del mondo dell’altissima quota e la guerra ha prodotto un balzo in avanti della tecnologia, che ora mette a disposizione nuovi materiali e attrezzature utili per chi deve affrontare ambienti così estremi. Si sente ormai nell’aria che i tempi per la conquista del primo 8000 sono maturi e, come era avvenuto negli Anni 30 per gli “ultimi problemi” delle Alpi, ancora una volta il successo alpinistico diviene una questione di orgoglio e prestigio nazionale.

Anche la Francia, sebbene priva di precedenti esperienze, è in corsa per il grande traguardo.

Il team selezionato per tentare l’impresa mette insieme, sotto la guida di Herzog, quattro dei più forti scalatori francesi del momento, Louis Lachenal, Gaston Rébuffat, Lionel Terraye e Jean Couzy, a cui si affiancano il giovane Marcel Schatz e Marcel Ichac, nel doppio ruolo di alpinista e cineoperatore. Completano la squadra francese il medico Jacques Oudot e l’ufficiale di collegamento Francis de Noyelle. Del gruppo fanno parte anche otto Sherpa nepalesi, fra cui Ang Tharkey, mentore di Tenzing Norgay, che nel 1953 sarà in vetta all’Everest con Edmund Hillary. Tutti, prima della partenza, sono chiamati a prestare giuramento d’obbedienza e ad impegnarsi a non pubblicare nulla in merito all’andamento della spedizione per almeno cinque anni.

Curiosamente l’impresa prende il via senza un obiettivo preciso. Si parte, infatti, con un doppio permesso di scalata da parte del governo nepalese: quello per il Dhaulagiri, che, con i suoi 8.167 metri, è la settima vetta più alta del mondo, e quello per il vicino Annapurna, il decimo dei 14 colossi dell’Asia, alto 8091 metri.

Inizialmente Herzog e compagni si dirigono al Dhaulagiri, ma dopo un mese di inutili tentativi per trovare una via di accesso alla cima, sono costretti a “ripiegare” sull’Annapurna. Il tempo a disposizione è ormai contato, perché siamo a maggio e la stagione monsonica si approssima. Anche in questo caso l’approccio è complicato e spesso la spedizione si imbatte in vicoli ciechi. Alla fine però viene individuata una possibile via di salita lungo la parete Nord.

La scalata è sfiancante, anche perché gli alpinisti avanzano senza l’utilizzo di bombole d’ossigeno, ma si compie in poco più di 10 giorni. Il 3 giugno del 1950 lo stesso Maurice Herzog e Louis Lachenal sono i primi uomini al mondo a calcare la cima di un 8000. Entrambi pagano a carissimo prezzo la conquista. Già durante la salita, infatti, subiscono gravi congelamenti, che peggiorano ulteriormente nel corso dell’epica discesa. Lachenal subirà l’amputazione di tutte le dita dei piedi, Herzog perderà anche tutte quelle delle mani.

Al ritorno in patria gli alpinisti sono acclamati con straordinario entusiasmo e Herzog, l’uomo che li ha motivati e guidati con determinazione e ha sacrificato mani e piedi per portare il tricolore fin sulla vetta, è ormai uno dei più grandi eroi della nazione.

La carriera politica e imprenditoriale

L’ambizione alpinistica di Herzog gli ha tolto moltissimo, ma lui è sin da subito consapevole che proprio su quella grandiosa e tragica esperienza potrà costruire il proprio futuro.

Comincia immediatamente a pensare al domani. Nell’anno successivo alla salita, direttamente dal letto in cui è ancora convalescente, si dedica alla dettatura di “Annapurna, premier 8000”, il libro che racconta la spedizione, destinato a diventare uno dei più grandi best seller della storia dell’alpinismo, che si chiude proprio con questa frase profetica: “L’Annapurna, verso cui eravamo andati a mani nude, è un tesoro sul quale dovremo vivere per il resto dei nostri giorni. Con questa coscienza giriamo pagina: una nuova vita comincia. Ci sono altre Annapurna nella vita degli uomini. Un messaggio che esprime un coraggio e una determinazione sconvolgenti, soprattutto se si pensa che viene scritto da un uomo da poco gravemente mutilato e ancora sofferente per i postumi delle molteplici operazioni subite.

La costruzione della nuova vita di Herzog comincia con l’impegno politico e gli incarichi istituzionali.

Dal 1952 al ‘55 è presidente del Club Alpino Francese e, contemporaneamente detiene la presidenza del Groupe de Haute Montagne, il prestigioso club che accoglie nelle sue fila solo i migliori alpinisti europei.

Il Generale De Gaulle, padre della Francia rinata dopo l’onta dell’occupazione nazista e del governo collaborazionista di Vichy, lo vuole accanto a sé come testimonianza vivente della nuova “grandeur” e gli affida il compito di formare lo spirito e il corpo delle giovani generazioni. Dal 1958 al 1966 Herzog ricopre, infatti, il ruolo di Alto Commissario, poi Segretario di Stato per la Gioventù e lo Sport, mettendo in campo riforme destinate a cambiare decisamente il rapporto dei suoi connazionali con l’attività sportiva, come ad esempio l’introduzione della prova sportiva obbligatoria per la maturità.

Dal 1968 al ‘77 ricopre il ruolo di sindaco di Chamonix e, più o meno nello stesso periodo, viene eletto per due volte in parlamento come deputato, prima nel dipartimento del Rodano, poi in quello dell’Alta Savoia. Nel 1970 diviene anche membro del Comitato Olimpico Internazionale (incarico che manterrà fino al 1994).

Una scalata sociale inarrestabile la sua, portata avanti con la stessa implacabile determinazione con cui aveva affrontato i ghiacci dell’Annapurna e che fa di “Momo” un vero e proprio simbolo dei valori della nazione, nonché uno degli uomini più potenti di Francia.

Ai successi in campo politico, però, fa da contraltare una vita sentimentale e familiare contrastata e burrascosa. Nel 1964 sposa Marie-Pierre de Cossé-Brissac, figlia di Pierre de Cossé Brissac, massimo dirigente del potente gruppo industriale Schneider, dalla quale avrà due figli: Laurent e Félicité. Maurice, però, ha una fama di impenitente dongiovanni, della quale non si vergogna affatto, ostentandola orgogliosamente anche in occasioni pubbliche. Così, nel giro di pochi anni, il matrimonio entra in crisi e, dopo il divorzio, nel 1976, Herzog costruisce una nuova relazione stabile con  Élisabeth Gamper, che sposa nel 1976. Dalla loro unione nascono Sébastien e Mathias.

Negli anni successivi, conclusa la parabola politica, si dedica con identica intraprendenza e successo all’attività imprenditoriale. Diviene presidente della Società del traforo del Monte Bianco (dal 1981 al 1984), e ricopre incarichi di alto livello nei consigli di amministrazione di svariate società di costruzioni e di prodotti petroliferi.

Le ombre sul volto dell’eroe

Gli Anni 90 segnano l’inizio del declino del mito di Herzog. Nel ‘96 esce, infatti, una nuova edizione del libro autobiografico di Louis Lachenal, dalla quale emergono testimonianze e commenti che mettono in discussione le vicende della spedizione del 1950, così come erano state canonizzate nel libro “Annapurna, premier 8000”.

Lachenal aveva scritto le sue memorie negli anni successivi alla scalata, ma era morto a causa della caduta in un crepaccio della Vallée Blanche nel 1955, prima che il volume fosse dato alle stampe.

Della pubblicazione dell’opera, uscita in prima edizione nel 1956, si era poi occupato lo stesso Herzog, affidandone la revisione e l’editing al fratello Gérard (regista e alpinista egli stesso), che si era premurato di edulcorare ed espungere i passaggi in contrasto con la versione ufficiale e che potevano in qualche modo mettere in cattiva luce la grande impresa e il suo condottiero. Tolte queste censure, dalla nuova edizione emergono invece i contrasti e i dissidi vissuti dai membri della spedizione e la stessa leadership di Herzog ne risulta inevitabilmente indebolita e messa in discussione.

Contemporaneamente viene pubblicata una biografia di Gaston Rébuffat, curata dal giornalista  Yves Ballu, che non esita a mostrare i dubbi e le critiche che anche il grande alpinista marsigliese esprimeva nei confronti del capo spedizione. Quella che ne emerge è l’immagine di una campagna condotta con stile militare e di un condottiero invasato e ossessionato dal successo, per il quale era pronto a sacrificare la propria vita e quella dei suoi uomini, senza ammettere discussioni né tanto meno defezioni.

Herzog reagisce alle critiche affermando che non si trattò affatto di una spedizione paramilitare e che nel gruppo ognuno era libero si esprimere le proprie opinioni, anche se, sottolinea in un’intervista rilasciata a Giampietro Agus, giornalista de La Gazzetta dello Sport, “Per portare a termine una salita di quel tipo, che aveva mobilitato un po’ di fondi pubblici e tanti fondi privati e impegnato più di 250 persone, era necessario un capo. Ero io a decidere in ultima analisi, a fare le scelte importanti: era la mia spedizione”.

Più che le rivelazioni postume, quello che oscura la figura del “grande condottiero” è il cambiamento di un’epoca: il tempo dell’alpinismo himalayano di conquista è ormai finito. Le motivazioni e i valori che lo hanno animato, giustificando anche ingiustizie, ipocrisie e falsità in vista del bene superiore della nazione, sono ormai sbiaditi e incomprensibili.

Forse ancora più terribile è però il colpo che l’immagine di Herzog deve subire nel 2012, proprio alla fine della sua vita, quando la figlia Félicité dà alle stampe il romanzo “Un héros”, che tracia un profilo sconvolgente e per molti aspetti scandaloso dell’uomo che si cela oltre il mito, un uomo imprigionato per sempre nella falsità del monumento a sé stesso che negli anni ha costruito.

Maurice Herzog muore giovedì 13 dicembre alle 21,05 in una casa di cura a Neuilly-sur-Seine, all’età di 93 anni. Al suo fianco c’è proprio la figlia Félicité, che in una successiva intervista rilasciata a Le Monde, racconta di sentirsi sollevata per essere stata con lui fino all’ultimo battito e  per aver condiviso quell’ultimo momento di pienezza con quello che, nel suo libro, chiama “l’orco che era mio padre“.

Qualche mese dopo la morte di Herzog, il Groupe de Haute Montagne francese decide di prendere posizione per riabilitare la figura del grande “Momo”, almeno rispetto ai dubbi che da tempo giravano in merito all’autenticità delle foto scattate sulla vetta dai due conquistatori dell’Annapurna e alla lacunosità dei loro resoconti, elementi che, secondo alcuni critici, mettevano in dubbio l’effettivo raggiungimento della cima. Dopo un’attenta analisi del materiale fotografico il GHM conferma la corrispondenza dei vari elementi e dichiara che non può esserci dubbio alcuno sulla veridicità di quanto affermato dai due primi uomini sull’Annapurna. “Se Herzog e Lachenal dicono che sono arrivati in vetta è perché ci sono arrivati – afferma il comunicato pubblicato dal GHM nel marzo del 2013 – Basta con le obiezioni infondate. Ogni alpinista serio sa che non è possibile prevedere l’esatta configurazione delle cime. È giunto il momento di proclamare l’autenticità del successo Herzog e Lachenal sulla cima dell’Annapurna. Riconoscere che fu un successo completo. Ipso facto, è anche omaggio a Louis Lachenal per il suo fondamentale ruolo nella storia dell’alpinismo e sull’Annapurna”.

Libri

Annapurna. Il primo 8000, Maurice Herzog, Corbaccio, 2015 (prima edizione italiana: “Uomini sull’Annapurna”, Garzanti, 1952)

Film

Victoire sur l’Annapurna, Marcel Ichac, Francia, 1953, 53′

 

“Ci sono altri Annapurna nella vita degli uomini”

Maurice Herzog

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