Montagne

Broad Peak

Appartiene al massiccio dei Gasherbrum ed è enorme. Localizzato ad appena 8 chilometri dal K2, il Broad Peak si trova al confine tra Pakistan e Cina. La sua mole è subito evidente quando la si osserva dal Circo Concordia, punto dove si incontrano i ghiacciai Baltoro e Godwin-Austen.

Il suo primo nome è stato K3, ovvero Karakorum 3. Sigla affibbiatagli dal Great Trigonometrical Survey of British India che effettuò le prime misurazioni nel 1856. 3 perché sarebbe stata la terza montagna del Karakorum per altezza. A chiamarlo Broad Peak, cioè “montagna larga”, è stato l’esploratore britannico William Martin Conway. I popoli di lingua Baltì la chiamano invece Faichan Langri, traduzione di Broad Peak, a dimostrare come in realtà per questa vetta non esista un vero nome tradizionale. Esattamente come per Chogori, la cima non è visibile dai villaggi di montagna a monte di Skardu e Askole. Difficilmente quindi gli abitanti della zona la conoscevano, almeno fino all’arrivo dei primi esploratori occidentali che si sono addentrati nelle valli risalendo i ghiacciai.

Per la somiglianza è stato anche soprannominato come “l’enorme Breithorn a 3 teste del Baltoro”.

Geografia

Localizzato al confine tra Cina e Pakistan il Broad Peak è costituito da 4 cime principali: Broad Peak (8047 m); Anticima (8030 m); Broad Peak Centrale (8012 m); Broad Peak Nord (7550 m). A queste si aggiunge poi la vicina Kharut Kangri (6942 m), decisamente più bassa ma non molto distante dalle altre vette della montagna.

A giustificare ulteriormente il nome Broad Peak la lunghezza della sua cima che sfiora il chilometro e mezzo.

Storia

La vicinanza al K2 non gioca a favore di questa bella montagna, almeno negli anni del grande himalaysmo pionieristico. Negli anni Cinquanta le spedizioni erano prese dalla conquista, come si diceva al tempo, delle più simboliche tra le vette di ottomila metri. L’Everest, il K2, il Nanga Parbat. Il gigante Broad Peak passa inosservato di fronte agli alpinisti più ambiziosi. Nel 1954 però, si avvicina alle sue pendici il professore Karl Maria Herrligkoffer. Una sua spedizione, giusto l’anno precedente, aveva vinto il Nanga Parbat e ora si preparava a salire sulla dodicesima montagna del Pianeta. Si dice, in realtà, che il suo obiettivo fosse il Gasherbrum I. Il cambio di obiettivo sarebbe stato dovuto all’incapacità del capospedizione nel convincere i portatori a proseguire con i carichi oltre Concordia.

Il tentativo avvenne dal versante sud-ovest, ma gli alpinisti non riuscirono a salire per colpa di una meteo inclemente.

La prima salita

Nel 1957 una spedizione del club alpino austriaco raggiunse il campo base della montagna. Ne facevano parte 4 alpinisti e con loro si trovavano un ufficiale di collegamento e 68 portatori. Gli scalatori erano Marcus Schmuck, capospedizione, Fritz Wintersteller, Kurt Diemberger ed Hermann Buhl, che nel luglio del 1953 era riuscito nella prima salita del Nanga Parbat. Una cordata di primordine che scelse di salire in modo leggero e veloce, senza portatori d’alta quota, nello “stile delle Alpi Occidentali”.

Come via di salita decisero di riprendere l’idea del 1954, passando per lo sperone occidentale. Come già detto scelsero di salire leggeri, senza allestire troppi campi. L’idea era rivoluzionaria per il periodo.

Il 29 maggio fecero un primo tentativo di vetta, ma vennero ben presto sconfitti da un’improvvisa tempesta. Ci riprovarono una decina di giorni dopo. Il 7 giugno lasciarono il campo base diretti verso campo 2, dove riposarono. Il giorno seguente proseguirono verso il terzo. Alle 2.30 del 9 giugno presero a muoversi verso la vetta. Davanti c’erano Buhl e Diemberger, Schmuck e Wintersteller seguivano. A un certo punto Buhl iniziò ad avere problemi ai piedi. Durante la salita del Nanga Parbat aveva subito gravi congelamenti che gli erano costati l’amputazione di alcune dita. I monconi erano diventati sensibili al freddo, così dovette fermarsi per cercare di riscaldarli. Diemberger rimase con lui mentre i due compagni proseguirono verso la cima, che infine raggiunsero. Dopo di loro toccò a Diemberger, solo. Buhl, capendo di non potercela fare l’aveva lasciato andare per poi riprendere a salire. Voleva andare in vetta anche lui, così si mise ad avanzare lentamente, un passo alla volta. Kurt, già impegnato nella discesa, lo attese. Voltò le spalle alla sicurezza della tenda e riprese a salire con l’amico. “Abbiamo raggiunto la cima. Buhl tirò fuori il suo stendardo da club, lo fissò all’ascia e lo bloccò nella neve. Siamo rimasti lì a guardarlo. Poi ci guardammo intorno, alle vette più alte, che ora risplendevano di colori innaturali. Il cielo era ancora blu, ma le rocce bruciavano di un rosso bruno e ardevano di luce arancione. La neve ai nostri piedi era illuminata da una luce magica e soprannaturale. Senza parole, guardammo verso est, dove l’ombra scura del Broad Peak giaceva come una mostruosa piramide a centinaia di miglia di distanza nel Tibet, crescendo e crescendo all’infinito”.

Prima invernale

La prima salita invernale la Broad Peak è stata realizzata il 5 marzo 2013 da parte di Maciej Berbeka, Adam Bielecki, Tomasz Kowalski e Artur Malek. A guidare la spedizione era il veterano dell’himalaysmo invernale Krzysztof Wielicki.

Sotto un cielo perfettamente limpido gli alpinisti hanno impiegato 12 ore per andare dal quarto campo alla vetta. Per un buon tratto hanno proseguito insieme, poi si sono separati. Davanti stavano Bielecki e Malek, a seguire Berbeka e Kowalski. I primi due hanno toccato il punto più alto intorno alle 17.20, gli altri verso le 18. Gli alpinisti sono rimasti poco tempo in cima, giusto il tempo di qualche foto. Faceva veramente freddo, con un temperatura percepita di meno trenta gradi, inoltre si stava avvicinando la notte. Non sarebbe stato saggio farsi trovare ancora in giro nel buio invernale.

Bieleki e Malek riescono a tornare alla tenda senza particolari problemi, i compagni no. Kowalski è stanco, indebolito dalla salita, al limite. Con lui si trova Berbeka, di cui non si hanno informazioni sulle condizioni di salute. Non sappiamo con esattezza cosa sia successo in altissima quota, unica cosa certa è che dei due polacchi si sono perse completamente le tracce. Il giorno seguente Adam e Artur provano a tornare verso l’alto, ma sono troppo stanchi per riuscire a fare qualcosa. Da campo base nel frattempo parte il pakistano Karim Hayat, sale rapido fino a 7700 metri ma non trova traccia dei due. Secondo quanto riportato dal report ufficiale della spedizione è probabile che Kowalski sia rimasto sfinito nei pressi della vetta mentre Berbeka, anch’esso probabilmente esausto, sia finito in un crepaccio o precipitato nel tentativo di raggiungere campo 4.

Un paio di giorni dopo, con il rientro dei ragazzi a campo base, il campo base viene smontato e la spedizione chiusa.

Vie alpinistiche

La via più battuta verso la vetta del Broad Peak è quella seguita dai primi salitori, che possiamo quindi definire “normale”. Il percorso sale lungo lo sperone ovest ed è integralmente visibile già dal campo base. Una via semplice, tenendo conto che si tratta pur sempre di una scalata in altissima quota, che non presenta tratti di significativa problematicità.

Nel corso degli anni sono state aperte altre vie alpinistiche sulla montagna.

  • 1975 – La spedizione polacca guidata da Janusz Ferenski viola per la prima volta la Cima Centrale. Il gruppo di vetta è formato da Kazimierz Glazek, Janusz Kulis, Marek Kesicki, Bohdan Nowaczyk e Andrzej Sikorski. Di questi Kesicki, Nowaczyk e Sikorski muiono durante la discesa.
  • 1982 – Il vicentino Renato Casarotto raggiunge l’inviolata cima del Broad Peak Nord passando per lo spigolo nord.
  • 1992 – Enric Dalmau Ferré, Òscar Cadiach e Alberto Soncini realizzano la prima salita dal versante cinese.
  • 1994 – Carlos Carlosio apre in solitaria quella che oggi è conosciuta come “Route Carsolio”.
  • 2005 – Denis Urubko e Serguey Samoilov in stile alpino aprono una nuova via sulla parete sud-ovest.

Salite degne di nota

  • 1977 – I giapponesi Kazuhisa Noro, Takashi Ozaki e Yoshiyuki Tsuji realizzano la seconda salita alla vetta più alta.
  • 1983 – Il 30 giugno Erhard Loretan e Marcel Rüedi chiudono, con la salita del Broad Peak, il concatenamento in soli 15 giorni di 3 Ottomila. Gli altri sono i due Gasherbrum.
  • 1983 – Il 30 giugno la polacca Krystyna Palmowska raggiunge la vetta, divenendo la prima donna a scalare il Broad Peak.
  • 1984 – Krzysztof Wielicki realizza la prima salita in giornata sul Broad Peak, arrivando in vetta in 21 ore e 50 minuti.
  • 2019 – il 14 luglio il 17enne Shehroze Kashif ragginge la vetta diventando il più giovane al mondo sul Broad Peak e anche il più giovane pakistano a toccare quota Ottomila.

Guida al Broad Peak

Raggiungere il Broad Peak non è cosa per tutti. Il percorso di avvicinamento è lungo e si svolge in ambiente naturale d’alta quota privo delle comodità presenti lungo il cammino per l’Everest. Nonostante questo il trekking verso il Broad Peak rimane uno dei più panoramici e suggestivi itinerari offerti dall’Himalaya. In nessun altro luogo è possibile ammirare cattedrali di roccia e ghiaccio così imponenti come le Torri di Trango, la Torre Muztag, il Gasherbrum IV, il K2 e il Chogolisa.

La prima cosa da fare per avvicinarsi al Broad Peak è prendere un volo aereo diretto a Islamabad. Dalla capitale pakistana sarà possibile volare su Skardu, nella parte orientale del Gilgit-Baltistan. In alternativa è possibile raggiungere la località via terra percorrendo la Karakorum Highway, una di quelle esperienze da fare almeno una volta nella vita. Da Skardu il viaggio prosegue in jeep fino al villaggio di Askole (3050 m), ultimo avamposto raggiungibile con un mezzo a motore. Da qui si prosegue a piedi, con lo zaino in spalla, prima costeggiando il torrente Biafo, poi il Baltoro, fino a incontrare la testata dell’omonimo ghiacciaio da risalire fino al circo Concordia. Ancora una manciata di ore e si raggiunge il campo base della montagna, quasi a 5mila metri di quota. I più allenati impiegano 4 o 5 giorni per raggiungere le pendici della montagna. Molti vengono però rallentati dagli effetti della quota.

Raggiunta Askole il trek procede verso Jula (3150 m), quindi Payu (3400 m) e Urdukas (4100 m), sui fianchi del ghiacciaio Baltoro. Il quarto giorno si dorme sul ghiaccio vivo nel campo di Gore (4500 m) per poi raggiungere Concordia (4700 m) e godere dello spettacolo più bello dell’Himalaya. Da qui si prosegue poi verso il campo base. Per il rientro il consiglio è quello di proseguire verso il passo di Gondogoro La per poi raggiungere il villaggio di Hushe e fare rientro a Skardu.

I trekker interessati a vivere questa esperienza devono munirsi di una guida e pagare un permesso. In generale il costo di un trekking economico si aggira intorno ai 2000 Euro a persona. Gli alpinisti, oltre a questo, devono pagare il permesso di salita, come per tutti gli Ottomila.

Il consiglio, per chi fosse interessato a visitare la montagna è quello di rivolgersi a un’agenzia specializzata in trekking. Ne esistono di diverse sia in Italia che in loco. Il loro aiuto è fondamentale per riuscire a sbrigare in modo rapido le difficili questioni burocratiche.

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2 Commenti

  1. Tra le imprese degne di nota direi che si può inserire anche il concatenamento delle tre vette in stile alpino fatto da Kukuzcka e Kurtyka nell’84

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