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Cinque quadri da vedere una volta nella vita

Le montagne viste dagli occhi dei grandi pittori. Che con la loro arte ci hanno regalato vedute straordinarie

Da Mantegna a Tiziano, da Dürer a Leonardo da Vinci. Da sempre i grandi artisti hanno raffigurato nelle loro opere le montagne. Per secoli queste hanno rappresentato lo scenario ideale per soggetti di natura religiosa, ispirate da quelle cime reali che erano sotto gli occhi dei pittori. Per esempio, Tiziano – originario di Pieve di Cadore e cresciuto fra i paesaggi dolomitici – nella Presentazione di Maria al tempio (visibile presso le Gallerie dell’Accademia a Venezia) raffigura la Terra Santa abbellita dalle sagome dei suoi monti. E come lui, tutti gli altri: tra palazzi rinascimentali e paesaggi alpini, la Palestina degli artisti sembra un lembo d’Europa. Bisogna attendere qualche tempo perché verso la fine del Settecento le montagne incomincino ad acquisire una loro dignità come soggetto, diventando protagoniste assolute dell’arte. Non più elemento d’ambientazione dell’azione umana e divina, ma celebrazione della bellezza e della maestosità della natura.
Vi proponiamo cinque capolavori emblematici dell’evoluzione del racconto artistico della montagna. Realizzati da cinque pittori che con le vette hanno avuto un rapporto viscerale e profondo. La scelta è del tutto soggettiva, ma può essere il punto di partenza per scoprire la produzione di questi artisti devoti alle vette.

 

Caspar Wolf: Il ghiacciaio inferiore di Grindelwald con il fiume Lütschine e il monte Mettenberg (1774)

Lo svizzero Caspar Wolf (1735-1783) è un vero apripista del nuovo modo di sentire la montagna che fiorisce verso la fine del Settecento. Le vette fino ad allora inviolate ispirano il sentimento del sublime, un mix di stupore e di timore di fronte alle forze e alla bellezza della natura. Wolf è il primo pittore romantico, influenzato dal movimento Sturm und Drang, che si oppone al razionalismo illuminista e valorizza l’espressione delle emozioni individuali. L’artista svizzero, su incarico di un editore, deve realizzare 200 quadri che hanno come soggetto le Alpi del Vallese e dell’Oberland bernese. Per raggiungere il suo obiettivo, Wolf viaggia parecchio e osserva le montagne, addentrandosi in luoghi mai percorsi. Fra le tante opere di Wolf, Il ghiacciaio inferiore di Grindelwald con il fiume Lütschine e il monte Mettenberg (1774) è emblematico. Il ghiacciaio con le sue formazioni azzurre sembra quasi invadere la valle sottostante, mentre il Mettenberg assiste serafico al fenomeno. Il ghiacciaio è imponente e possiamo immaginare lo stupore di Wolf mentre lo osserva per ritrarlo. Il quadro è conservato al Kunst Museum di Winterthur.

Giovanni Segantini: Mezzogiorno sulle Alpi (1891)

Giovanni Segantini (1858-1899) non ha dipinto solo montagne. Nella sua produzione compaiono anche il Naviglio milanese e personaggi della Brianza. Ma le sue opere più note sono i paesaggi alpini, realizzati dopo il suo trasferimento nei Grigioni nel 1886, dapprima a Savognin e poi a Maloja. Mezzogiorno sulle Alpi (1891) ritrae una pastora con le sue pecore, ben illuminata sullo sfondo blu del cielo secondo la tecnica divisionista a cui Segantini aderisce. Non sappiamo quali vette ha voluto rappresentare, ma questo è senza ombra di dubbio il paesaggio alpino grigionese. Tre anni dopo, nel 1894, Segantini si trasferirà in Engadina, fra le montagne che avevano ammaliato anche Friedrich Nietzsche, che ha trascorso a Sils Maria le estati tra il 1883 e il 1888. Come il filosofo tedesco che amava camminare e pensare, Segantini insegue sui monti l’ispirazione per i soggetti dei suoi quadri. Mezzogiorno sulle Alpi è conservato al Museo Segantini di St. Moritz.

 

Gabriel Loppè: La Mer de Glace et les Grands Charmoz (1874)

Il Monte Bianco è il primattore nei quadri del francese Gabriel Loppé (1815-1913), alpinista, pittore e fotografo. L’artista impiega grande realismo nel ritrarre ghiacciai, crepacci, cime innevate, tant’è che i suoi quadri – sempre precisi nelle indicazioni dei luoghi visitati e ritratti – erano fonte d’informazione per i suoi contemporanei che volevano affrontare la montagna, ma anche per noi che a distanza di oltre un secolo osserviamo le mutazioni nel paesaggio alpino. In La Mer de Glace et les Grands Charmoz (1874) ci presenta l’imponenza del ghiacciaio con i suoi crepacci, in un paesaggio con una luce selvaggia e quasi onirica che dà i brividi, e non solo per il freddo. Qui il pittore e l’alpinista si danno la mano, per offrire la visione di un luogo percorribile solo da chi osa sfidare il Bianco. Ai tempi di Loppé, il gigante è già stato espugnato da un secolo, ma continua ad attrarre come una calamita gli alpinisti europei. Chamonix è stata state per cinquant’anni lo scenario delle imprese alpinistiche e artistiche di Loppé, che ai piedi del Bianco trascorre tutte le estati. Il quadro del 1874 è stato acquistato dal comune di Chamonix nel 2022, che lo esporrà nel Museo Alpino (in fase di ristrutturazione fino al 2025).

Ferdinand Hodler: Das Wetterhorn (1912)

Astro della pittura elvetica moderna, Ferdinand Hodler (1853-1918) non poteva non occuparsi anche di montagne, oltre ai numerosi autoritratti che ce lo mostrano in diverse fasi della vita e ai quadri con figure femminili di sapore simbolista e art nouveau. Vivendo a cavallo di due secoli, così ricchi di istanze e movimenti artistici, Hodler assorbe e reinterpreta con un suo stile influssi differenti. Il quadro Das Wetterhorn (1912), visibile al Kunst Museum di Winterthur, è un omaggio alla cima che svetta presso Grindelwald, nell’Oberland bernese. Qui l’artista risente del clima del nascente espressionismo: la montagna è dipinta con colori forti e marcati, è aspra e ricca di contrasti. Come l’atmosfera d’inizio secolo in Europa: la guerra è alle porte, Hodler si sente attorniato dalla disgregazione. Quando prende posizione contro il bombardamento tedesco alla cattedrale di Reims, i suoi quadri vengono rigettati dai musei teutonici. Per l’artista che più di altri ha saputo ritrarre delle montagne alla luce del Zeitgeist, è uno smacco.

 

Giovanni Salviati: Cime di Lavaredo

La quinta opera da non perdere è Cime di Lavaredo del veneziano Giovanni Salviati (1881-1951), che si fa inizialmente conoscere per i suoi quadri ispirati alla sua città e alla laguna, per poi passare a paesaggi anche montani e dolomitici. Il quadro risale probabilmente agli anni Venti. Anche se non è un capolavoro assoluto, Cime di Lavaredo trasmette un senso di pace e quell’incanto che anche l’autore deve aver provato innanzi al paesaggio montano dolomitico, che al tramonto accende di rosa la dolomia, la roccia peculiare composta di carbonato di calcio e magnesio che costituisce questo gruppo montuoso. Guardando questo quadro, mi piace immaginare l’artista dai baffi a manubrio intento a dipingere all’aria aperta davanti alle Tre Cime, rapito dalla magia del luogo che contagia chiunque abbia la possibilità di visitarlo. Il quadro, come altri di Salviati, figura online all’asta. Chissà, se amate particolarmente le Dolomiti, potrebbe essere una tentazione.

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