Storia dell'alpinismo

Annapurna, il prezzo altissimo per il primo Ottomila

Nel 1950 gli Ottomila non sono più un tabù. Anche se nessuno è ancora riuscito nel tentativo di salirne uno, sono già molti gli alpinisti che hanno avuto occasione di confrontarsi con l’altissima quota e con le difficoltà a cui questa sottopone il fisico. Ventidue le spedizioni che fino a quel momento si erano mosse tra i giganti della Terra nella speranza di poterne finalmente calcare le nevi sommitali. Gli inglesi tentavano di conquistare, come si diceva al tempo, l’Everest da oltre vent’anni. I tedeschi facevano lo stesso con il Nanga Parbat. Sul finire degli anni Quaranta poi, in Francia si iniziò a organizzare una spedizione diretta all’Annapurna, la decima montagna della terra con i suoi 8091 metri. Uno dei più difficili e pericolosi Ottomila, il più mortale secondo le statistiche.

I francesi non avevano grande esperienza nell’organizzazione di spedizioni extraeuropee e i loro alpinisti non avevano mai incontrato l’altissima quota. Per l’occasione vennero scelti i migliori scalatori della nazione. Il capo spedizione era Maurice Herzog, gli altri Jean Couzy, Marcel Schatz, Louis Lachenal, Gaston Rébuffat e Lionel Terray. Con loro si trovava inoltre il medico Jacques Oudot e il regista cinematografico Marcel Ichac.

Partiti dalla Francia il 30 marzo fu una vera e propria spedizione esplorativa, non si sapeva anche da che parte sarebbe stato meglio approcciare la montagna. I primi tempi passarono così tra osservazioni e puntate in quota alla ricerca della migliore via di salita. Intorno alla metà di maggio identificarono una possibile linea lungo la parete nord. Decisa la meta approntarono il campo base, quindi iniziarono a muoversi sulla montagna. Fu una scalata molto rapida, una decina di giorni in tutto. Durante questi la spedizione si prodigò per attrezzare la montagna con tende e corde fisse, poi toccò alla squadra di punta: Maurice Herzog e Louis Lachenal. La mattina del 3 giugno lasciarono la tenda di campo 5 a 7400 metri per andare in esplorazione dell’ignoto. Salirono lenti, senza bombole d’ossigeno, affatica dalla quota, dalla stanchezza e da quell’aria così leggera che sembra quasi di non respirarla. Impiegarono 8 ore per raggiungere la cima e il prezzo del successo fu altissimo. Entrambi gli alpinisti riportarono estesi congelamenti alle dita di mani e piedi.

A campo 5 li attendevano i compagni Gaston Rébuffat e Lionel Terray per aiutarli durante la discesa, un rientro drammatico tra seracchi e crepacci che li rallentarono costringendoli a un bivacco di fortuna. I congelamenti di Herzog e Lachenal peggiorarono e nel frattempo anche Rébuffat e Terray, che non avevano usato gli occhiali, si ritrovarono colpiti da una grave oftalmia. La disperazione li portò a campo base vivi, ma in condizioni pietose.

Lachenal perderà entrambi i piedi mentre Herzog le dita di mani e piedi. Un costo altissimo, ma in patria li attenderà una grande festa: ci erano riusciti, erano saliti fino in vetta all’Annapurna ed erano tornati vivi.

Ora, per davvero, gli Ottomila non facevano più così tanta paura.

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3 Commenti

  1. Però, se non mi sbaglio, ha dato un bell’impulso ad una organizzazione Statale, federazione della montagna poi diventata FFME, e da loro le cose si fanno quasi sempre a livello nazionale e molto bene.

    1. In realtà la spedizione si riservava di decidere se andare al Dhaulagiri o all’Annapurna una volta raggiunto il Nepal. Non vedo però come questa informazione possa essere utile alla narrazione della prima salita sull’Annapurna.

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