Pareti

Patagonia, El Mocho: Della Bordella e Pasquetto terminano la via provata un anno fa

“Il nostro viaggio per quest’anno volge al termine” ci racconta Matteo Della Bordella che, insieme a Matteo Pasquetto e Matteo Bernasconi, si trova in Patagonia da ormai un mese con l’obiettivo originario di riprovare la salita del “diedro degli inglesi” sulla parete est del Cerro Torre. Obiettivo che non sono riusciti a portare a compimento a causa delle condizioni non ottimali quest’anno in Patagonia. A Farli desistere del tutto un’enorme frana che ha investito la parete est della montagna mentre il gruppo si trovava in cima all’Aguja Poincenot. Non per questo però il loro mese patagonico è stato povero di esperienze, l’ultima giusto pochi giorni fa. “Prima di rientrare a casa la Patagonia ci ha concesso un’altra grande avventura”.

Il racconto di Matteo Della Bordella

Nel febbraio 2019 io e Matteo Pasquetto ci eravamo uniti in cordata alla forte scalatrice canadese Brette Harrington, con l’idea di aprire una nuova via su El Mocho. El Mocho ha una parete particolare: vista al cospetto del Cerro Torre appare come un piccolo avancorpo privo di alcun valore alpinistico, dalla forma tozza e dall’altezza modesta. Tuttavia, proprio questa sua posizione “sfortunata” dinnanzi alla madre di tutte le pareti, ovvero la Est del Torre, fa spesso commettere grossolani errori di valutazione.

Lo scorso anno siamo partiti convinti di salire una linea nuova, che seguiva un sistema perfetto di fessure, e raggiungere senza problemi la cima di El Mocho. Ci è però bastato un breve assaggio per capire che quello che fino a poco prima ci era sembrato solo un piccolo avancorpo, ora invece era una parete di tutto rispetto, molto più lunga e difficile di quanto preventivato. Quel giorno insieme a Brette abbiamo salito 5 tiri e mezzo, di cui uno (tirato da Brette) particolarmente impegnativo dal punto di vista psicologico, prima di rientrare sconfitti alle nostre tende. Una bella bastonata imprevista, di quelle che fanno bene ogni tanto e ti ricordano che su queste montagne non c’è nulla di facile e scontato.

Il 28 febbraio di quest’anno, sfruttando una meteo che annuncia una giornata di tempo discreto con un po’ di vento, io e Matteo decidiamo di riprovarci mentre Berna purtroppo rinuncia a causa dell’influenza (tranquilli, per fortuna non ha il corona virus). Decidiamo di attaccare la via intorno alle 9 del mattino ripercorrendo in libera i tiri aperti lo scorso anno insieme a Brette: 4 lunghezze bellissime, tutte impegnative e molto fisiche.

Arrivati sotto il tiro chiave il vento, che fino a quel momento ci ha risparmiati, torna prepotente a farse sentire. Decidiamo comunque di non mollare e invece che ripercorrere il precario tiro su pecker di Brette, troviamo una variante a destra decisamente meno psicologica che ci porta in breve al punto massimo del 2019. Da qui ci illudiamo di poter terminare la via senza grosse difficoltà, fino a quando a sbarrarci la strada troviamo una fessura fuori misura di 40 metri, con il finale leggermente strapiombante. Capisco subito che sarà estremamente dura, ma parto concentrato, raccogliendo tutte le energie per provare a salire in libera questa lunghezza che sembra rubata a Yosemite. Esplodo finito dopo 25 metri con le caviglie sanguinanti e senza un briciolo di energia rimasta. È incredibile come questo genere di scalata sia in grado di svuotarti completamente!

Un ultimo tiro ci conduce in cima al nostro pinnacolo, dove avevamo già previsto di terminare la nostra linea. Da questo punto è infatti possibile unirsi alle vie già esistenti per raggiungere la “cima” di El Mocho.

Abbiamo scelto di chiamare questo itinerario “Jurassic park” perché il Mocho qui in Patagonia è forse un po’ un parco giochi che, come nell’omonimo film, dopo un’idilliaca apparenza iniziale, può avere risvolti inaspettati.

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2 Commenti

  1. Non vorrei accendere una polemica trita e ritrita ma, a mio onesto ed umile parere, questi ragazzi meriterebbero molti più articoli e menzioni che molti himalaisti i quali ,ogni anno, vanno a fare cose viste e riviste.
    Questi ragazzi in quasi assoluto silenzio , senza elicotteri ed un uso misurato dei social , ogni estate patagonica , vanno a fare cose straordinarie su pareti che sono tra le più complesse in assoluto e dimostrano che c’è ancora da fare ed esplorare.
    Questi ragazzi si muovono con una quasi totale assenza di sponsor proprio e con budget ridotti all’osso.
    Questo è l’alpinismo che dovrebbe essere menzionato, ammirato e preso come riferimento per spunti di riflessione sulle strade da percorrere.
    Ovviamente sempre a mio umile parere e , ribadisco , non voglio accendere nuove polemiche.

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