Alpinismo

Everest, la stagione si chiude all’insegna delle polemiche che riguardano gli sherpa

Siamo a fine stagione dell’Everest e quest’anno le divinità terribili delle montagne sono state sconfitte da quelle benevole: dopo anni nessun lavoratore d’alta quota ha perso la vita. I nostri amici sherpa se la sono cavata, sebbene qualcuno con qualche grave congelamento. Meno fortunati i sei aspiranti alla vetta che hanno perso la vita in questa stagione, ma visto l’affollamento si poteva rischiare, come aveva detto Messner, almeno una decina di morti. È andata meno peggio del previsto.

Nel frattempo però un aereo è caduto a inizio settimana a Lukla, il piccolo aeroporto che volle Hillary a 2800 metri di quota, punto nevralgico di tutti i traffici nella valle del Khumbu. Altri due aerei son precipitati in Nepal in queste ultime ore: erano fuori dalle rotte turistiche, ma la notizia non contribuisce certo a migliorare la percezione che volare in quel paese qualche rischio, di troppo, lo comporta.

Torniamo però all’Everest e al fine stagione.

Gli “sherpa” sono chiaramente dei lavoratori professionisti che prestano la loro opera per accompagnare “turisti”, così li definisce Messner, sul tetto del mondo e montagne limitrofe. La denuncia di Reinhold di questi giorni, che ha infiammato la polemica, riguarda il fatto che l’incapacità, ma anche la smodata ambizione di arrivare in vetta dei “turisti d’alta quota”, metta a rischio la loro propria incolumità (e chi se ne frega diranno molti lettori) ma anche quella degli altri, che li accompagnano e accudiscono in cambio di promesse prebende e regalie (la gloria se la sono consumata tutta), per poi passare alle minacce e speriamo si fermino lì.

In letteratura e nella realtà abbiamo testimonianza di grandissimi alpinisti che hanno maltrattato i propri sherpa; non che quest’ultimi fossero tutti degli stinchi di santo, anzi le ruberie a danno delle spedizioni sono sempre state considerate un risarcimento necessario, ma di sicuro gli alpinisti non erano teneri, anche se nel tempo sono nate e si sono consolidate grandissime amicizie. Sono tempi, si spera, passati, anche se l’amicizia continua a fare proseliti. 
Agli abusi il lavoratore sherpa può reagire direttamente piantando lo zaino per terra e andandosene, oppure denunciando all’ufficiale di collegamento che accompagna la spedizione il comportamento del suo saibh.

Il punto più delicato, come tutti sanno anche se fanno finta di non sapere, è però il rapporto tra le Agenzie e il proprio personale. Ecco l’elenco non completo, ne manca una decina, delle Agenzie che al campo base hanno portato quest’anno più di 500 persone e una metà di queste in cima, i dati finali devono ancora arrivare: Adventures Global, Asian Trekking, Eco Teams, Ascent Himalayas, Benegas Brothers, Himex, IMG Classic Team , IMG Classic Team 2, Seven Summits Treks,  Alpine Ascents Int.,  Mountain Trip,  Gurkha, Summit Climb , Mountain Professionals, Satori Adventures.

Queste agenzie, assieme ad alcune altre, sono aziende che gestiscono un business di 12/13 milioni di dollari a stagione per il solo Everest. Un’agenzia come Seven Summit, che è la più grande nepalese, gestita direttamente da Mingma Sherpa e dai suoi fratelli, ha intascato in questa stagione per il solo Everest qualcosa come 2,5/3 milioni di dollari. Seven Summit è certificata dal Ministero del Turismo, ma anche da quello dell’Economia e delle Tasse del Nepal. Tutto bene dunque? Probabilmente si se parliamo di Seven Summit, ma certamente ci sono situazioni e agenzie meno attente e scrupolose, che promettono servizi che riescono a fornire con difficoltà e scarsa qualità ai loro clienti. Talvolta impiegano personale del tutto inadeguato per accompagnare sulle montagne i preziosi “turisti d’alta quota”. Sono le agenzie, le maggiori beneficiare di questo business, che devono avere patti chiari e regole precise con i turisti e con i loro lavoratori.

Non possiamo dimenticare le recenti rivolte del popolo sherpa in occasione del crollo dell’IceFall, che fece 13 vittime, e del terremoto del 2015, con altri morti, ma anche le proteste contro gli occidentali che videro Simone Moro nel 2013 aggredito e picchiato in parete e al campo base, inquietante il film che documenta il fatto. Simone era con Ueli Steck a cui toccò solo in parte la stessa sorte, ma che giurò allora che non sarebbe mai più tornato all’Everest. Purtroppo non ha mantenuto fede alla sua promessa.

La questione del rispetto e del benessere (dignità del lavoro) degli sherpa non la si può però caricare solo sui clienti delle agenzie internazionali o di quelle nepalesi facendoli passare per dei cattivi figuri neocolonialisti. Un esercizio questo che strappa la lacrima, ma che rischia di portare fuori strada. Certo, alcuni clienti sono veramente dei cretini, ossessionati dalla voglia di raccontare al bar, al pub e al clan l’avventura dell’Everest. Se praticano comportamenti pericolosi, per questo illegali, vanno rimandati a casa. Il caso raccontato questi giorni da uno sherpa che ha portato in cima un fuori di testa incapace di pensare e valutare i rischi che corre (nonostante la bufera e l’invito a tornare indietro della sua guida, l’uomo ha voluto proseguire, con la conseguenza che entrambi sono stati salvati in fin di vita a 8000 metri, ndr) è un drammatico segno non della solidarietà, ma dell’imbecillità umana. E c’è da sperare che le autorità nepalesi non rilascino nessun certificato di vetta al cliente.

Le Agenzie però non possono intascare una montagna di soldi senza tutelare i loro lavoratori (preziosi), che dovrebbero proteggere e formare con i migliori standard alpinistici e della sicurezza in montagna, fornendo loro anche garanzie assicurative, vista la tipologia del lavoro non proprio sedentario. Consentire poi che un cretino, alpinista o turista, minacci e metta in pericolo la vita di uno sherpa è colpa e responsabilità principalmente di chi ha stipulato un contratto col cretino.

Possiamo poi aprire il libro nero delle responsabilità delle fantasiose autorità nepalesi. La storia degli Ufficiali di Collegamento corrotti e assenti dal posto di lavoro, dove dovrebbero controllare che le regole vengono rispettate, è nota e dolorosa e la dice lunga su come giri da quelle parti. Non è però l’unica chicca: tanto per motivare la propria gente, il Dipartimento del Turismo ha pensato bene di non rilasciare il certificato di vetta agli sherpa, forse con l’intenzione di non inflazionare l’arrivo sulla cima, ma di fatto cancellandone i meriti.

La questione finale riguarda la cronaca di questi giorni. Una famiglia indiana ha sborsato (per la verità lo stato del Bengala) più di 100.000 dollari per portarsi a casa il cadavere di un congiunto rimasto sull’Everest. Questa del recupero dei cadaveri, ce ne sono a centinaia da quelle parti, è una questione che prima o poi creerà qualche serio problema. Intanto è scoppiata la polemica perché alcuni si sono chiesti se è lecito o morale rischiare la vita degli sherpa per recuperare un cadavere. Il quesito pare del tutto fuorviante. Si è trattato anche in questo caso di un cliente (la famiglia) che ha commissionato questo lavoro (possibile e, se ben organizzato, a rischio accettabile) ad un’agenzia (o qualcuno che ha ingaggiato degli sherpa) che si è fatta carico di portare a termine l’incarico, facendosi ben pagare.
Alle polemiche moraliste ha risposto ancora Messner con grande pragmatismo: “Portar giù i cadaveri fa bene anche all’ambiente”.

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Un commento

  1. NB: “ non possiamo dimenticare Simone Moro, aggredito e picchiato nel 2013 in parete e al Campo Base. Inquietante il film che lo documenta. Simone era con Ueli Steck, che giurò che non sarebbe più tornato all’Everest. Purtroppo non ha mantenuto fede.”

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