AlpinismoAlta quota

Chi ha salito davvero gli “ottomila”? I dati di Eberhard Jurgalski turbano l’alpinismo himalayano

La storia dell’alpinismo himalayano va riscritta? La domanda, che normalmente avrebbe poco spazio sui media italiani, è arrivata sui quotidiani (il Corriere della Sera su tutti) e in televisione grazie al caldo torrido di agosto. Hanno avuto un ruolo importante anche l’interesse per l’alta quota e i ghiacciai legato al cambiamento climatico, la tragedia della Marmolada, e le discussioni sugli stop alle ascensioni del Monte Bianco e del Cervino.

A porre agli alpinisti e al pubblico la domanda è stato Eberhard Jurgalski, 70 anni, giornalista, scrittore e storico tedesco, che ha fondato e gestisce il sito www.8000ers.com, dedicato alle 14 montagne più alte della Terra, che si alzano tra Pakistan, Nepal, Tibet (cioè Cina) e India, nelle catene del Karakorum e dell’Himalaya.

L’esordio dell’intervento pubblicato da Jurgalski su Facebook è drammatico. “L’intera storia degli 8000 deve essere riscritta” esordisce il ricercatore tedesco, che lavora da anni sulla questione. Per lui, dei 44 alpinisti che secondo gli elenchi ufficiali hanno salito i 14 “ottomila”, solo tre lo avrebbero fatto davvero.

Primo della nuova classifica, al posto di Reinhold Messner, sarebbe lo statunitense Ed Viesturs, dodicesimo dell’elenco ufficiale, che ha completato la fatica nel 2005. Lo seguirebbe il finlandese Veikka Gustafsson, che ha raggiunto il traguardo quattro anni dopo. Entrambi hanno completato la sfida senza bombole e respiratori.

Terzo salitore di tutti i 14 “ottomila” sarebbe il nepalese Nirmal Purja, che perderebbe però il record di velocità stabilito con il suo Project Possible. Per Jurgalski e il sito 8000ers.com, l’ex-Gurkha nel 2019 non avrebbe raggiunto le vette del Manaslu e del Dhaulagiri, ma ci sarebbe arrivato più tardi, nel 2021. Il tedesco ipotizzare che “Nimsdai” sia tornato su quelle due cime apposta, per evitare le polemiche in arrivo.

Tra i 41 esclusi dal nuovo elenco spicca l’altoatesino Reinhold Messner, che ha completato la collezione nel 1986, seguito dal polacco Jerzy Kukuczka (1987) e dallo svizzero Erhard Loretan (1995). Semaforo rosso per la spagnola Edurne Pasaban, prima donna a finire il “grande slam” nel 2010, per l’austriaca Gerlinde Kaltenbrunner che l’ha seguita un anno dopo, e per gli altri sei alpinisti italiani (Sergio Martini, Silvio “Gnaro” Mondinelli, Abele Blanc, Mario Panzeri, Nives Meroi e Romano Benet) che figurano nell’elenco ufficiale.

La ricerca di Eberhard Jurgalski era stata annunciata da tempo. “Raccolgo notizie sulle montagne e l’alpinismo da quarant’anni, e ho sempre creduto che il punto più alto di una montagna è l’unico che può essere indicato come vetta. In epoche recenti, con una migliore tecnologia, è diventato evidente che un approccio solo topografico non basta” ha scritto su 8000.ers.com tre anni fa, nel 2019.

Qui però è bene fare un passo indietro. A tenere gli elenchi ufficiali delle ascensioni agli “ottomila” è stata per decenni Liz Hawley, una signora americana residente a Kathmandu, che sottoponeva a una dura intervista (debriefing in inglese) i reduci dall’Everest e dalle altre cime nepalesi, e poi decideva da sola se “validare” o meno le ascensioni.

Il suo era un lavoro meritorio, volontario e a titolo gratuito, che nessuno ha mai osato contestare. Un metodo, però, che ha portato a ingiustizie nei confronti di alpinisti non di madrelingua inglese, e quindi poco in grado di spiegare le situazioni complesse a Miss Hawley.

Uno dei casi più noti ha riguardato gli italiani Fausto De Stefani e Sergio Martini, che nel 1997 sono arrivati con la nebbia sul Lhotse, e non sono saliti su una cornice di neve più alta ma pericolosa. Nel debriefing a Kathmandu, alla domanda se avessero toccato il punto più alto, i due non hanno risposto yes (“sì”) ma almost (“quasi”). L’ascensione non è stata omologata, e lo stesso è accaduto ai 14 “ottomila” di Fausto nel 1998. Sergio, per evitare polemiche, è tornato per una seconda volta sul Lhotse.

Per le ascensioni fuori dai confini del Nepal, e quindi senza debriefing a Kathmandu, il metodo-Hawley si è rivelato ancora più traballante. Né l’UIAA né i Club Alpini, sbagliando, hanno mai pensato a un gran giurì in grado di emettere delle sentenze di appello.

Dopo la scomparsa di Liz Hawley, nel 2018, il lavoro suo e dell’Himalayan Database è stato portato avanti da Anders Bolinder e da Xavier Eguskitza. Dopo la scomparsa di entrambi, Eberhard Jurgalski ha proseguito il lavoro, ma senza un incarico ufficiale. Oggi collaborano con lui Rodolphe Popier, Tobias Pantel, Damien Gildea, Federico Bernardi, Bob Schelfhout e Thaneswar Guragai dell’agenzia Seven Summit Treks, leader delle ascensioni guidate agli “ottomila”.

La domanda di Jurgalski e di 8000ers.com non riguarda l’Everest, il K2 e le altre cime che hanno una vetta ben definita. Il problema riguarda solo le montagne (Annapurna, Broad Peak, Manaslu, Dhaulagiri), che culminano in una cresta di neve frastagliata, dov’è difficile capire quale sia il punto più alto.

Grazie a un’attenta ricerca topografica, e alle immagini riprese dai droni, Jurgalski e il suo team affermano che sull’Annapurna molti alpinisti “si sono fermati tra 65 metri a ovest e 190 metri a est della vera cima”. Sul Dhaulagiri, le “false vette” sono a distanze “comprese tra i 60 e i 140 metri dalla vera”. Sul Manaslu molti si fermano “sulla cresta tra i 35 and 50 metri dalla vetta, e qualcuno anche a 90 o a 100 metri”.

Meglio delle parole, mostra il problema la foto scattata dal drone di Jackson Groves nell’autunno del 2021 sul Manaslu, che mostra la maggioranza di alpinisti che si ferma su una sella nevosa, mentre solo una cordata passa più a destra verso l’affilata vera cima. Fausto De Stefani e Sergio Martini, nel 1997 sul Lhotse, potrebbero essersi trovati in una situazione del genere, con in più il problema della nebbia.

Eberhard Jurgalski, nato in Bassa Sassonia, vive a Lörrach, la città della cioccolata Milka. Ma la sua conclusione non è dolce. “Dopo tutto questo lavoro è chiaro che molti alpinisti, inclusi alcuni famosi, non hanno certamente raggiunto le vette più alte di una o più a causa della topografia incerta. Invece, sapendolo o no, si sono fermati più in basso”.

Per questo motivo, secondo il ricercatore tedesco, Messner, Loretan, Kukuczka, la Pasaban e tanti altri non possono dire di aver salito i 14 “ottomila”. Nei nuovi elenchi, che si scaricare da 8000ers.com, compare la dicitura “No summit” quando Jurgalski e compagni hanno concluso che la vetta non è stata raggiunta. Se le prove sono insufficienti compare “No evidence”, “niente prove”.

Le risposte degli alpinisti sono arrivate rapidamente. “E’ ridicolo” ha dichiarato Reinhold Messner ad Andrea Leoni del Corriere della Sera. “Sull’Annapurna ho salito una parete di 4000 metri, sono uscito sulla cresta sommitale, ed è lì che si giunge in cima. Su quelle vette di neve il punto più alto si sposta, e affermare a decenni di distanza che la vetta è cinque o dieci metri più a lato è ridicolo”.

“Abbiamo scalato queste cime per passione, abbiamo tutti un curriculum trasparente e spedizioni ben documentate. Se qualcuno contesta i nostri risultati può farlo. Ma io credo onestamente di aver completato tutti e 14 gli ottomila” ha dichiarato Edurne Pasaban al sito Explorersweb.com.

Nives Meroi usa un tono diverso. “Quando Romano e io abbiamo visto l’immagine del drone abbiamo capito che non avevamo raggiunto la vera cima del Manaslu. Se ce ne fossimo accorti quel giorno saremmo saliti fino in cima, ma purtroppo, in buona fede, ci siamo sbagliati. Pensare di tornarci, con il circo che c’è oggi su quelle montagne, onestamente, ci fa star male. E, ahimé, provarci in inverno è troppo costoso per noi”.

La questione è aperta, e lo resterà ancora in futuro. Ma i Club Alpini, compreso quello italiano, che ne dicono?

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17 Commenti

  1. Anche Ed Viesturs deve essere depennato. Ha mancato la vetta del Cho Oyu di quindici centimetri.

  2. Mi sembra una conclusione assurda!! Lo stesso Jurgalski qualche anno fa scrisse un articolo simile ma in cui invece difese il “criterio di tolleranza” su alcune vette in quanto era in pratica impossibile determinare a vista il vero punto più alto per chi ci arrivava! E poi come sarebbe possibile valutare il vero esito di molti spedizioni passate di cui foto della vetta non esistono? Inoltre molte ascensioni si sono dichiaratamente concluse a pochi metri dalla vetta per motivi “religiosi” ma vengono accettate

  3. Messner ha salito l’Everest in solitaria, in puro stile alpino, per una via nuova e non battuta. Nessuno da allora è mai minimamente riuscito a ripetere un impresa di simile portata. L’unica prova che abbiamo è una foto di lui su una collinetta di neve con un tripiede accanto e lo sfondo completamente annebbiato, foto che potrebbe benissimo aver fatto al campo base.

    Ci sono tante cose per le quali dubitare riguardo la storia dell’alpinismo ma se è dimostrato che una persona ha scalato migliaia di metri di una montagna e si è fermato 10 metri sotto la vetta solamente perché non è semplice capire dove essa si trova, non ha senso dubitare della sua impresa.

  4. Argomento molto spinoso ma l’argomentazione dell’articolo fa sorridere, insomma se non esiste una rilevazione ufficiale è scientificamente valida si sta parlando di aria fritta .
    Probabilmente solo un buon gos può dare una prova certa ma tant’è……

  5. Trascura l’altezza della neve.
    Negli ultimi 70 anni è diminuita su quasi tutte le vette.
    E magari UNO è andato più in alto senza raggiungere la vetta.

    E poi come posso capire chi è salito, se un 8000 ha più cime e soprattutto più vie che finiscono prima della cima ?

    Penso che a lui piaccia il pallone. 🙂

  6. Una vetta salita negli anni ‘70 o ‘80 senza molte foto, relazioni di vie o riferimenti topografici come invece avviene comuneente negli ultimi anni è difficile da paragone. Prima si trattava anche di ascese esplorative. Mi chiedo che senso abbia oggi fare questo tipo di speculazioni, soprattutto nei confronti di alpinisti ormai morti da tempo.

  7. Ma non pare anche a voi che certe considerazioni richiamino molto le diatribe infantili su chi ce l’ha più lungo?

  8. Meno onanismo mentale, grazie.

    E comunque, il primo che vien qua a dire “salgo gli ottomila come sfida con me stesso” lo meno.
    Omologare le vette… Ma roba da pazzi.

  9. Io credo che solo Marco Confortola abbia salito almeno 13 ottomila, senza alcun dubbio. E lo dimostrano le sue foto di vetta, sempre dettagliate e inconfutabili. Ha adirittura fotografato il suo altimetro con la quota di vetta, cosa che nessuno aveva mai fatto prima. Altro che Eberhard Jurgalwksy…

  10. Ma se in cima ai 14 ottomila, ma proprio in cima, si montassero 14 “big bench” colorate, gli alpinisti: sarebbero sicuri della vetta, potrebbero farsi dei bei selfie e valorizzerebbero anche la montagna!

    1. Pensavo che ci fossero dei punti dove gli alpinisti mettono le loro bandiere, che restano lì e si aggiungono le altre. Non è così ?

  11. È come se nel calcio a distanza di anni si togliessero scudetti e vittorie nel campionato del mondo per errori arbitrali commessi decine di anni or sono..
    Ridicolo!!!!

  12. Secondo il nostro amico Tedesco,Messner non è arrivato in cima all’Annapurna?Ma vogliamo scherzare!Basarsi su alcune fotografie scattate forse dico forse 5metri sotto la vetta!Primo Reinhold è di una correttezza ineccepibile che dubito del contrario, comunque sia in 50 e passa anni le cime si modificano,a volte la cima sulla carta è più bassa perché si formano pinnacoli di ghiaccio ai lati alti molti metri ,quindi per assurdo molti scalatori sono arrivati più in alto della cima vera. Queste sono bestemmie ! Perché non verifica se Cesare Maestri è arrivato sul Cerro Torre! Gruß Gott

  13. Comunque Confortola è l’unico serio e trasparente. oltre alla foto del suo orologio, come prova di vetta ha anche portato il ritaglio di una foto scattata da altri alpinisti arrivati in vetta lo stesso giorno. E non contento ha anche apposto le sue iniziali sulla foto. Più preciso di così non avrebbe potuto essere. Un grandissimo

  14. Oltretutto il suo orologio misurava una quota maggire di circa 20 metri rispetto alla misurazione ufficiale. Quindi trattasi di un record nel record che sono il nostro Cacciatore di Ottomila può vantare. Sinceramente non capisco perchè in Valtellina sia chiamato ConFrottola. Per far si’ che non potessero esserci dubbi è arrivato addirittura 20 metri oltre la vetta del Kanjenjunga. Così nessuno lo potrà più chiamare ConFrottola

  15. Dovrebbero essere tutti trasparenti e onesti come Confortola. Per fugare ogni dubbio e polemica, è arrivato addirittura ben 6 metri oltre la vetta del Kanjenjunga. Infatti la foto del suo orologio mostrava l’altitudine di 8592m. Ci vorrebbero più alpinisti onesti come il Cacciatore di Ottomila. E sinceramente non capisco da dove provenga l’appellativo ConFrottola

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