AlpinismoAlta quota

Memorabile Steck all'Annapurna: da solo in 28 ore conclude la via di Beghin e Lafaille

Ueli Steck Annapurna parete sud (Photo www.uelisteck.ch)
Ueli Steck Annapurna parete sud (Photo www.uelisteck.ch)

KATHMANDU, Nepal — Difficile trovare gli aggettivi per una salita come quella di Ueli Steck all’Annapurna, dal versante sud. Ha scalato da solo, in 28 ore e completando la via tentata nel 1992 da Jean-Christophe Lafaille e Pierre Beghin, aprendo quindi di fatto un tratto di via nuova. Incredibili “dettagli” di un’impresa che rimarrà nella storia: “penso di aver trovato il mio limite in alta quota – ha detto infatti, lo stesso Steck all’amico Jon Griffith -, se scalassi qualcosa di più difficile credo che andrei ad uccidermi”.

Sono passati alcuni giorni dell’annuncio della cima da parte dello sponsor di Steck, Scarpa, e finalmente ora sono disponibili racconti e dettagli di una salita, che più che eccezionale sembrerebbe aliena.

Era il 9 ottobre. Secondo quanto racconta il fotografo Dan Patitucci sul suo blog, Don Bowie, compagno canadese di Steck all’Annapurna, non si sentiva in forze per tentare la salita quel giorno. Così lo svizzero ha salutato tutti al campo base, dicendo che sarebbe salito al campo 1 per passare la notte in quota e acclimatarsi. Bowie, Tenji Sherpa, i fotografi Dan e Janie Patitucci e Jonah Matthewson hanno avvertito però, che c’era qualcosa di diverso in lui, che “la sua mente era altrove”, che si era fatto più serio e concentrato, pronto a “cominciare qualcosa di così estremo che solo una manciata di persone al mondo potrebbero anche solo contemplare: scalare un ottomila in solitaria da una nuova via, con un piccolo zaino e sena ossigeno”.

Ueli Steck all'Annapurna (Photo patitucciphoto.com)
Ueli Steck all’Annapurna (Photo patitucciphoto.com)

Steck ha superato campo 1, raggiunto la fascia di roccia che cinge la parte centrale della parete a 7000 metri. Il vento faceva staccare valanghe e limitava la visibilità. Nel tardo pomeriggio ha scavato una buca nella neve in un crepaccio circa 150 metri sotto la headwall, decidendo di aspettare condizioni migliori, arrivate poi dopo il tramonto. Steck ha ricominciato a salire, sempre vigile, sempre veloce.

Secondo quanto raccontato a Ukclimbing.com da Jon Griffith, caro amico di Steck, lo svizzero ha seguito la via di Jean-Christophe Lafaille e Pierre Beghin, preferendo quindi canali di ghiaccio a difficili tiri di misto. E’ arrivato in vetta dopo la mezzanotte, senza mai fermarsi, e una volta raggiunti gli 8.091 metri della cima si è voltato ed è tornato indietro, rientrando alla sua buca nella neve lungo la stessa via e alle prime ore dell’alba.

Stando a quanto dichiarato da Steck e riferito dal sito Climbing.com, la montagna era in condizioni che si trovano una volta in cento anni, che gli hanno permesso di essere più veloce e di scalare più in sicurezza che sulla roccia nuda. La linea seguita dallo svizzero è quella individuata da Jean-Christophe Lafaille e Pierre Beghin nel 1992. Quella volta i due tentarono di aprire la via in stile alpino, ma tornarono indietro dopo i 7000 metri per via del brutto tempo: nella fase di discesa poi Beghin cadde portandosi dietro gran parte del materiale, il che lasciò Lafaille in enormi difficoltà. Senza corde, senza ancoraggi, con un braccio rotto, alla fine raggiunse da solo il campo base, sopravvivendo per miracolo.

Ueli Steck Annapurna parete sud (Photo patitucciphoto.com)
Ueli Steck Annapurna parete sud (Photo patitucciphoto.com)

“Prima che partisse per l’Annapurna io e Steck abbiamo parlato a lungo del suo viaggio imminente e dell’estate successiva all’Everest – ha raccontato Griffith a Ukclimbing.com -, e capì immediatamente che sarebbe salito da solo. Questa volta era più forte che all’Everest, e aveva una motivazione che poteva essere venuta fuori solo dal rifiuto dell’Everest. Non l’ho masi visto  più forte e più caricato di così, tanto che mi aveva in parte spaventato, temevo che potesse esplodere e prendere decisioni sbagliate. Ma ho sempre pensato tuttavia, che la più grande forza di Ueli stia nel saper conoscere i suoi limiti”.

E in merito al grado di difficoltà, come giustamente ha detto lo stesso Griffith, non è questione di gradi. “Sappiamo tutti che salite in solitaria non sono niente di nuovo per lui – ha continuato infatti a Ukclimbing.com -. La difficoltà con questo tipo di scalata, mi ha detto, è stato essere lì presente per 28 ore. Ci sono stati momenti in cui il ghiaccio era fine, oppure altri in cui c’erano solo pochi centimetri di neve che coprivano ghiaccio scuro e la difficoltà non è un numero come M5, ma stare concentrato al 100 % del tempo per non scivolare via. Penso sia questa la differenza tra l’affrontare questa salita in solitaria e in cordata. Le difficoltà, che noi associamo alla parti più dure, non sono necessariamente sui tratti difficili da un punto di vista tecnico, ma nella capacità di rimanere concentrato anche dopo 20 ore mentre disarrampichi su ghiaccio scuro”.

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