A tu per tu con Seb Bouin, dal 9c al grattacielo di Parigi. Una vita da protagonista
Sempre capace di stupire, il trentunenne climber francese è da tempo considerato tra i top dell’arrampicata, senza però mai atteggiarsi da star. Nel suo mirino una nuova linea “impossibile”
Sorriso timido, pulegge d’acciaio, sogni grandi quanto la sua determinazione. Seb Bouin, 31 anni, è da tempo considerato uno dei migliori scalatori al mondo, e con grande umiltà e risolutezza riesce continuamente a stupire con effetti speciali. Lo abbiamo raggiunto al telefono poche settimane dalla sua salita in free solo di un grattacielo nel centro di Parigi.
Iniziamo dal tuo ultimo exploit: hai scalato la Tour Total insieme ad Alain Robert.
È tutto nato dalla curiosità che mi ha suscitato l’incontro con Alain Robert. È un personaggio eccentrico, atipico, un modo a parte. Volevo capire cosa si prova a scalare un grattacielo in free solo e così l’ho contattato. Lui mi ha proposto la Tour Total che è un edificio “facile” dal quale partire, ma comunque spettacolare. E poi alla sua età non se la sente più di fare cose troppo estreme.
La notte precedente non ho dormito un granché, mi ero ripromesso di fare dieci metri di scalata e poi valutare seriamente se continuare o meno. Prima di partire ero molto teso, i primi trenta metri sono stati intensi. Ma poi ho trovato la mia méthode e mi sono un po’ rilassato, anche se, insomma, il metallo non è come la roccia!
Cosa ti ha lasciato a livello umano questa folle scalata?
Beh, quando scali un grattacielo di 190 metri slegato impari veramente a relativizzare ogni cosa. I classici problemi della vita quotidiana spariscono, lì conta solo arrivare al movimento successivo e non perdere la concentrazione. Tutto il resto diventa ridicolo. Poi, sono molto soddisfatto di come ho gestito le emozioni, mi sono sentito molto forte mentalmente. E averlo fatto in duo, con Alain, è stato speciale: non avevo mai condiviso un’esperienza del genere con qualcuno.
Torniamo indietro, alle origini
Non ho iniziato a scalare prestissimo, avevo undici anni. Le competizioni indoor non mi interessavano, volevo scalare fuori, in falesia. Così mia madre ha iniziato a seguirmi, ad assecondare ogni mio progetto. Ma senza mai mettermi pressione, anzi lei prima manco scalava, ha iniziato con me (e ora sale l’8a ndr). Mi ha facilitato la vita a livello logistico ed è stato un grande supporto psicologico.
A quindici anni scalavi l’8c. Non proprio un’adolescenza “classica”
In realtà me la sono goduta molto l’adolescenza. Certo, a modo mio. Scalavo, mi allenavo, ma era esattamente ciò che volevo. Tutto è cambiato, poi, quando sono diventato professionista. Quando ho realizzato che scalare era anche il mio lavoro, ho avuto un periodo un po’ critico. Mi mettevo molta pressione, pensavo di dover chiudere un progetto dopo l’altro a tutti i costi. Non erano gli sponsor a mettermi pressione, ero io. È stato difficile gestire le aspettative, ho fatto un grande lavoro mentale e di dialogo e confronto con sponsor e altri atleti.
Il tuo obiettivo è trovare delle “megalines”. Sei un’esteta della scalata
Esatto. Sono stimolato da una via quando si tratta di una linea bella, estetica, intrigante. Ad esempio, quando ho provato Biographie (il 9b+ di Céüse), non pensavo di avere il livello per farla ma quella linea è così bella che sono riuscito a dare tutto.
Sei la seconda persona al mondo ad aver scalato un 9c…
Beh, intanto è solo una proposta. Prima di poterlo definire davvero 9c, aspetto che qualcuno la scali e confermi il grado. Comunque, a me, del grado importava poco. Io volevo solo fare la via e ho speso tantissimo tempo ed energia per farcela. Quando l’ho chiusa ero indeciso sul grado, 9b+ o 9c, e alla fine mi sono quasi pentito.
Cioè?
Non è stato entusiasmante avere i riflettori puntati addosso. Ribadisco, io volevo salire quella via e invece si è creato un clamore enorme intorno a questa salita. L’ho patito. Tutti sanno chi sei e si aspettano delle cose da te. Il giorno che va in falesia e scali male perché non sei in forma, diventa subito il gossip del momento. Insomma, dovessero sgradarla non ci rimarrei male.
Quando non scali cosa fai?
Adoro andare in montagna, fare surf e skateboard. Poi ho da poco iniziato un corso universitario sulla psicologia sportiva.
E studio molto la storia dell’arrampicata. È importante conoscere il percorso che ci ha portato a ciò che facciamo oggi.
Via preferita?
Domandona! Dai, te ne dico almeno tre. “A Muerte Bilou” in Verdon perché è in un contesto pazzesco. “Move hard” a Flatanger perché mi ha richiesto tanti anni di lavoro. “The dream” in Albania perché c’è stata una bella componente avventurosa.
Ora, invece sto lavorando a un progetto in Francia che secondo me è più duro di DNA (9c). Vedremo!