Gente di montagna

Jean Couzy, il conquistatore del Makalu

Fu il primo, con Lionel Terray, a salire nel 1955 le cima himalayana. Ma dello scalatore transalpino si ricordano anche grandissime ascensioni nel Gruppo del Bianco e in Dolomiti

“L’alpinismo è un gioco e come tale se ne possono modificare le regole latenti”

Jean Couzy

Jean Couzy è stato uno dei migliori rappresentanti della seconda generazione dell’alpinismo francese del dopoguerra, capace non solo di confrontarsi con i grandiosi itinerari saliti negli anni 30, ma anche di spingere ancora oltre le frontiere della difficoltà, portando sulle grandi montagne delle Alpi occidentali l’utilizzo disinibito e sistematico della scalata artificiale e partecipando all’epoca eroica della conquista degli 8000.

Nonostante la scomparsa prematura Couzy va annoverato fra i protagonisti assoluti della storia dell’alpinismo. Emblematico in tal senso il giudizio espresso da Gian Piero Motti: “Ambedue cittadini, Couzy e Desmaison si possono considerare tra i massimi esponenti dell’alpinismo del dopoguerra, al pari di un Bonatti, di un Buhl o di un Messner”.

La vita e l’alpinismo

Jean Couzy nasce il 9 luglio del 1923 a Nérac, un piccolo comune nel dipartimento del Lot e Garonna, nel sudovest della Francia.

Per chi vive in quella zona i Pirenei sono le cime più a portata di mano ed è proprio lì che Jean comincia ad appassionarsi della montagna, a partire dall’età di 15 anni.

La nascente passione per l’alpinismo non gli impedisce di dedicarsi con altrettanta dedizione e successo ad altri aspetti della vita. Ha carattere estremamente determinato e metodico, affiancato da un’intelligenza vivace che gli consente di avviarsi a una brillante carriera scolastica e professionale: frequenta, infatti, l’Échole Politechnique e, giovanissimo, si laurea a pieni voti all’Échole Supérieure d’Aéronathique.

È proprio il corso di studi a portarlo a Parigi, dove entra in contatto con l’ambiente degli scalatori che, nel corso degli anni 40, si mettono in luce per le loro straordinarie abilità nella scalata su roccia, maturate frequentando i massi della foresta di Fontainebleau e le pareti del Saussois.

Fra questi c’è Marcel Schatz, solo di qualche anno più anziano di lui, che diviene il suo abituale compagno di cordata. Assieme affrontano le prime salite veramente difficili.

Dopo una stagione dedicata alla ripetizione degli itinerari più classici delle Alpi austriache, Couzy, nel 1948, torna nei Pirenei, dove mette a segno assieme a Lucien Georges la prima ascensione diretta della parete nordest del Pic des Crabioules.

Nello stesso anno, in compagnia di Schatz, è fra i primi scalatori francesi a confrontarsi con le grandi vie di VI grado delle dolomiti. Salgono la Tissi alla Torre Trieste, aprendo una variante diretta, poi la Comici-Dimai alla nord della Cima Grande di Lavaredo e, nel ’49, firmano la terza ripetizione della via di Gino Soldà alla parete sud della Marmolada.

La straordinaria progressione gli vale l’ammissione nella squadra che porta a termine con successo la spedizione nazionale all’Annapurna, decretando il trionfo del nuovo alpinismo francese, che si aggiudica così la prima salita di una cima di 8000 metri (raggiunta il 3 giugno del 1950 da Maurice Herzog e Louis Lachenal).

Nonostante lo straordinario successo all’Annapurna, fino a quel momento pur fortissimi scalatori d’oltralpe (nomi del calibro di Rébuffat, Terray, Lachenal e Frendo), sulle Alpi si sono sostanzialmente limitati ad effettuare le prime ripetizioni dei grandiosi itinerari aperti dagli italiani, dagli austriaci e dai tedeschi negli anni che hanno preceduto il secondo conflitto mondiale.

Qualcosa però in quel periodo comincia a cambiare, soprattutto nella consapevolezza delle loro effettive capacità. Un momento di svolta è il 1952, quando Guido Magnone, Lucien Bernardini e Adrien Degory aprono una nuova via sulla parete ovest del Petit Dru. L’impresa è criticata aspramente per il ricorso ai chiodi a pressione e la scelta di completare la salita in due tempi, raggiungendo con un traverso dalla parete nord il punto massimo toccato nel primo tentativo. Si tratta comunque di un itinerario grandioso che non ha eguali nel gruppo del Monte Bianco per la difficoltà tecnica.

Nel ’51, sulla est del Grand Capucin, Bonatti e Ghigo avevano dimostrato che, grazie all’utilizzo sistematico delle tecniche di arrampicata artificiale, si potevano salire anche le più repulsive pareti delle Alpi occidentali. La via di Magnone e compagni rappresenta un ulteriore passo in avanti: la parete è lunga più del doppio di quella del Capucin ed è posta in un contesto ambientale ben più grandioso e complesso. Negli anni a venire Couzy (e con lui altri astri nascenti della scalata francese come René Desmaison e George Livanos) raccoglieranno il loro testimone, per portarlo verso obiettivi ancora più ambiziosi.

Nel frattempo Jean perfeziona la sua tecnica confrontandosi con altri grandi itinerari dolomitici come la Soldà sulla parete nord del Sassolungo di cui, nel 1951, effettua la prima ripetizione. Poi altre ripetizioni di assoluto prestigio come lo sperone Walker delle Grandes Jorasses, la Devies-Gervasutti all’Ailefroide e la Gervasutti-Boccalatte al Pic Guglielmina.

Nel 1952 eccolo esprimersi finalmente come apritore di nuove vie, aggiudicandosi con il parigino Salson la prima del pilastro nord alla cima ovest delle Droites.

Nel frattempo non manca di portare avanti l’esplorazione dei massicci calcarei delle Prealpi francesi, con un’attenzione alla bellezza e alla difficoltà dell’arrampicata, più che all’importanza delle vette raggiunte, che contribuirà alla grande rivoluzione che trasformerà l’alpinismo a partire dalla fine degli anni 60.

Il suo apporto all’evoluzione dell’alpinismo si manifesta anche in ambito culturale. Firmerà, infatti, la cronaca delle salite sulla prestigiosa rivista La Montagne et l’Alpinisme, contribuendo con i suoi articoli a fare chiarezza nella classificazione delle difficoltà fra gli itinerari occidentali e quelli dolomitici e sulla distinzione fra arrampicata libera e artificiale.

Nell’autunno del 1954 una nuova spedizione francese parte per l’Himalaya. Obiettivo questa volta è la vetta inviolata del Makalu, la quinta montagna delle Terra con i suoi 8470 metri di quota. Del gruppo fanno parte i veterani dell’Annapurna, fra cui lo stesso Couzy e Lionel Terray. Le avverse condizioni climatiche bloccano ogni tentativo, ma, prima di fare rientro, proprio Couzy e Terray riescono ad aggiudicarsi la prima assoluta dei 7796 metri del Chomo-Lonzo.

È solo un anticipo della perfetta intesa che si replicherà l’anno successivo, quando i due raggiungeranno la vetta del Makalu, seguiti poi da tutti gli altri membri della spedizione.

A questo punto Couzy ha già accumulato un palmares da campione assoluto dell’alpinismo, ma non ha alcuna intenzione di appendere la piccozza al chiodo. Ci sono ancora molti obiettivi da raggiungere e, anche sulle vecchie Alpi, molto resta da fare: “L’alpinismo è un gioco – scrive – e come tale se ne possono modificare le regole latenti”.

A modificare le regole Jean comincia già nel ’56 quando, in cordata con André Vialatte, sale per primo nella stagione più fredda lo Sperone della Brenva al Monte Bianco, dando impulso all’esplosione della “moda” delle prime invernali, che caratterizzerà gran parte della seconda metà degli anni 50 e 60. Il freddo, le giornate brevissime e la neve rappresentano un’aggiunta di impegno e difficoltà, che trasfigura gli itinerari già saliti in estate, offrendo agli scalatori un terreno di gioco sostanzialmente nuovo su cui confrontarsi.

La svolta fondamentale nella carriera alpinistica di Couzy avviene però fra le calde e accoglienti pareti del Saussois, dove, nel 1955, fa la conoscenza di René Desmaison, con cui formerà una cordata formidabile.

I due hanno caratteri diversi, anzi opposti. Tanto Couzy è calcolatore e metodico, quanto Desmaison è impulsivo ed esaltato dall’azione diretta. Sembrano inevitabilmente destinati a confliggere, eppure, in parete, le loro differenti inclinazioni si fondono e si compensano vicendevolmente, rendendoli una perfetta “macchina da scalata”.

Lo dimostrano subito, aggiudicandosi, nel ’56, la prima ascensione della cresta nord dell’Aiguille Noire de Peutérey che si innalza per 350 metri dalla breccia sud delle Dames Anglaises e, oltre all’ambiente severo e isolato, offre difficoltà molto elevate in arrampicata artificiale.

Per la cordata è solo una prova generale. Nello stesso anno sono al cospetto della parete nordovest del Pic d’Olan, nel selvaggio gruppo degli Ecrins. Lì dal 3 al 5 agosto, aprono una via diretta di 1100 metri di sviluppo. L’impegno della scalata è massimo, la chiodatura precaria e non mancano certo i pericoli oggettivi e la roccia friabile, ma la linea è logica ed elegante, destinata a diventare il loro capolavoro e, ancora oggi, una classica di alta difficoltà.

Nell’inverno del 1957 salgono la Via dei Francesi alla ovest del Petit Dru: nulla di così difficile è mai stato realizzato in quella stagione nel gruppo del Monte Bianco.

Ad agosto sono di nuovo in azione sul Bianco, dove tracciano una via diretta alla Punta Bich, che si stacca dalla via Boccalatte per salire direttamente sulla parete ovest dell’Aiguille Noire de Péuterey, con difficoltà di A3 in artificiale e VI in libera.

Nel frattempo in Dolomiti la corsa alle direttissime sta entrando nel vivo… Nel mese di luglio del ’58 i tedeschi Lothar Brandler, Dieter Hasse, Jörg Lehne, Sigi Löw hanno aperto una via incredibile sugli strapiombi della parete nord della Cima Grande di Lavaredo. Una linea pazzesca, superiore per difficoltà a tutto quanto è mai stato fatto fino ad allora fra le pareti dei Monti Pallidi.

Couzy e Desmaison sono convinti di poter dire la loro in questa nuova gara con l’impossibile. Proprio lì accanto, sulla nord della Cima Ovest di Lavaredo, c’è il più aggettante strapiombo delle Dolomiti, che Cassin e Ratti hanno aggirato nel 1935 con un’astuta e coraggiosa traversata, e che nessuno da allora ha mai osato affrontare direttamente. In quella stessa estate i due francesi ci provano. Lottano per tre giorni con la forza di gravità, ma alla fine sono costretti a rinunciare.

Si consolano mettendo a segno la terza ripetizione della Hasse-Brandler alla Cima Grande e poi ripartono alla volta del Monte Bianco, dove li attende la loro ultima salita assieme. Prendono di mira lo Sperone Margherita alla nord Grandes Jorasses e lì aprono un nuovo itinerario di 800 metri molto difficile, sia su ghiaccio che su roccia.

La diretta alla nord della ovest di Lavaredo è solo rimandata, ma Jean non potrà prendere parte a questa nuova avventura: il 2 novembre di quello stesso anno, durante una tranquilla giornata di arrampicata sulla parete ovest della La Crête du Berger, nelle Prealpi del Devoluy, una scarica di sassi lo travolgerà, ponendo fine alla sua vita.

L’anno successivo Réne Desmaison tornerà al cospetto del grande strapiombo della Cima Ovest di Lavaredo dove, dal 3 al 6 settembre, assieme a Pierre Mazeaud, Pierre Kohlmann e Bernard Lagesse, traccerà finalmente una via direttissima, utilizzando un numero relativamente limitato di chiodi a pressione e portando l’arrampicata artificiale al grado A4, il massimo mai raggiunto sino ad allora nelle Dolomiti. La via sarà dedicata alla memoria di Jean Couzy.

Le più importanti salite

 

  • 1952 – prima ascensione del pilastro nord della cima ovest delle Droites
  • 1954: prima ascensione del Chomo Lonzo (Himalaya), con Lionel Terray
  • 1955 – prima ascensione del Makalu (Himalaya), con Lionel Terray
  • 1956 – prima ascensione invernale dello Sperone della Brenva
  • 1956 – prima ascensione della cresta nord dell’aiguille Noire de Peuterey
  • 1956 – prima ascensione della parete nordovest del Pic d’Olan nell’Oisans
  • 1957 – prima ascensione della diretta alla Punta Bich, sulla parete ovest dell’Aiguille Noire de Peuterey
  • 1957 – prima ascensione invernale della Via dei Francesi sulla parete ovest del Dru
  • 1958 – prima ascensione dello sperone Margherita sulla parete nord delle Grandes Jorasses

Libri

  • Al profilo umano e alle ascensioni di Jean Couzy sono dedicati molti passi delle opere dell’amico Réne Desmaison, come Le forze della montagna (Corbaccio, 2009) e La montagna a mani nude (Corbaccio, 2021)

“Più tardi, sul ghiacciaio, oltre gli ultimi crepacci, ci siamo slegati. Là, ai piedi della grande parete, doveva finire per sempre la nostra cordata”.

Réne Desmaison

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