A tu per tu con Nirmal “Nims” Purja
Il fortissimo scalatore si racconta. L’impegno a favore del suo popolo e la nuova consapevolezza degli alpinisti nepalesi: “I più forti del mondo sopra i 6000 metri”, dice
“If there is a will, there is a way” il suo mantra. Non accetta scuse o giustificazioni Nirmal Purja. “Ci sono migliaia di ragioni per non fare le cose nella vita. Ma se si vuole davvero una cosa, allora esiste il modo per farla”. Un passato nei Gurkha, poi dieci anni nelle forze speciali inglesi (gli SBS), fino ad arrivare a scalare tutti gli ottomila in sette mesi e alla prima ascesa del K2 in invernale. Diciamo che non c’è proprio spazio per le scuse per un curriculum così.
Sabato scorso “Nims” Purja, ambassador globale di Scarpa, è arrivato ai piedi del Monte Bianco in occasione dell’evento Courmayeur Feeling Mountain: ad attenderlo 700 persone, tanti quanti ne poteva accogliere il Palazzetto dello sport. “Non vi preoccupate, dopo faccio foto e autografi a tutti, anche a costo di andare avanti tutta la notte!”, ha esordito.
Lo abbiamo incontrato prima dell’inizio della serata.
Oggi sei salito a Punta Helbronner con la Skyway. Ti piacciono le nostre Alpi?
Sì, tantissimo. Ci ero stato anche l’anno scorso insieme a Mingma David e Mingma Tenzi, i miei compagni di cordata e soci in affari. Passo più tempo con loro che con mia moglie!
Come vedi il futuro dell’alpinismo himalayano?
La “big mountain community” sta crescendo in modo esponenziale! C’è sempre più gente che scala in Himalaya, anche ispirata dalla mia storia, dal mio documentario. E questo sta alimentando un business incredibile: sempre più gente che acquista materiale, sempre più guide che possono lavorare in Himalaya. Per me questo sviluppo economico legato all’himalayismo è qualcosa di positivo.
I nepalesi continuano a vedere gli ottomila solo come lavoro o iniziano ad avere velleità alpinistiche in proprio?
Sta cambiando molto. Quando la mia gente ha visto ciò che ho fatto e che abbiamo fatto sul K2 in inverno, in tanti hanno preso una nuova consapevolezza. Tra i nepalesi ci sono degli scalatori davvero capaci. Molti di loro stanno iniziando a considerare la montagna una vera e propria passione e non solo un modo per sfamare la famiglia e questa cosa è meravigliosa! Io per primo credo molto in questa cosa: l’anno scorso, ad esempio, ho sponsorizzato una decina di ragazzi che volevano inseguire il loro sogno. Uno di questi desiderava salire l’Everest, il Lhotse e il Nuptse. L’ho supportato dandogli i soldi di tasca mia.
I nepalesi sono davvero i più forti sugli ottomila?
Assolutamente. Ad altre quote ci sono tanti scalatori e alpinisti incredibili con cui non potrò mai competere. Ma dai seimila in su non c’è storia, i nepalesi sono i più forti in assoluto e questo è un punto fermo per me. Per questo motivo, per me era fondamentale che l’invernale al K2 fosse un’ascesa collettiva. L’obiettivo era dimostrare a tutto il mondo cosa è capace di fare la gente del mio Paese!
In un team come quello del K2 ci sono davvero tanti caratteri e personalità diverse. Come expedition leader come riesci a far funzionare la squadra?
Beh, sono diventato Gurkha a 18 anni. Ho fatto tante esperienze diverse, sono andato in guerra e all’università nel Regno Unito, ho avuto a che fare con moltissime persone. Ecco, tutte queste diverse esperienze messe mi hanno permesso di diventare ciò che sono oggi e di fare ciò che ho fatto mettendo insieme tante persone a lavorare per un obiettivo comune.
Molti alpinisti occidentali si impegnano in progetti umanitari o ambientali perché dicono di sentirsi egoisti per la vita che fanno. Per te è diverso…
Innanzitutto, ciò che per me conta davvero è che la Terra è la nostra unica casa. La Natura è ciò che ci salva e ci guarisce da tutto. Io voglio fare quanto posso per proteggere la nostra casa. La mia fondazione si basa completamente sul concetto di sostenibilità. Lavoriamo per ripulire le montagne himalayane, promoviamo le energie rinnovabili in Nepal, supportiamo le comunità montane e investiamo sull’educazione delle nuove generazioni. Tutto questo viene dal mio cuore, non ci sono altre motivazioni.
Cosa pensi dell’impresa di Kristin Harila?
Ciò che ha fatto è incredibile ma si tratta di qualcosa di molto diverso da ciò che ho portato a termine io. Vedi, quando nel ’78 Reinhold Messner e Peter Habeler annunciarono di voler salire l’Everest senza ossigeno nessuno dette loro credito. Addirittura, gli scienziati sostenevano che l’uomo non potesse sopravvivere nella Death Zone senza ossigeno supplementare. Messner e Habeler hanno aperto una strada e ora ci sono tante persone che ogni anno salgono l’Everest senza ossigeno. Il mio record era considerato impossibile prima che io lo realizzassi. Ho aperto una nuova strada e la Harila è venuta dopo.
Dopo tutti questi record verrebbe quasi da dire e adesso che fai?
Sono uno che non si ferma mai, che non si riposa mai. Ho continuamente in mente nuovi progetti, nuovi obiettivi. La mia auto disciplina mi impone di essere sempre attivo. In questo momento, comunque, faccio la guida di alta quota undici mesi all’anno, gestisco varie società, porto avanti la mia fondazione. Ma ho delle idee nuove. Presto le scoprirete, magari su uno schermo…!