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Parte il Tor des Glaciers: 450 km di sentieri per 180 temerari. L’esperienza di Guendalina Sibona

Emozioni e difficoltà di una sfida estrema raccontate dall’ultrarunner lombarda, una delle pochissime donne ad avere concluso la gara disegnata lungo le Alte vie dimenticate della Valle d’Aosta

180 gli impavidi questa sera saranno al via del Tor des Glaciers, la più impegnativa tra le gare di endurance trail che si disputano in Italia. La competizione fa parte del cosiddetto sistema TORX, ovvero le quattro gare che si disputeranno nei prossimi giorni in Valle d’Aosta. Ma se tutti ormai conoscono il Tor des Géants, la cui quattordicesima edizione partirà domenica, pochi ancora hanno sentito parlare della sua sorellona  extralarge. E ancora meno sono coloro che si azzardano a considerare l’ipotesi di prendervi parte.

Parlano per prima cosa i numeri: 450 chilometri e 32.000 metri di dislivello da percorrere entro il tempo massimo di 190 ore. Quanto basta per far tremare i polsi, ma il bello deve ancora venire. Il tracciato effettua il giro completo della Valle d’Aosta, con partenza e arrivo a Courmayeur, percorrendo le Alte Vie  dimenticate 3 e 4, che si sviluppano a quote elevate e su terreni spesso molto disagevoli. A differenza delle altre gare, i concorrenti non potranno quasi mai orientarsi seguendo le bandierine posizionate dagli organizzatori (succede solo nei tratti in cui il percorso coincide con quello delle competizioni più brevi), ma potranno fare riferimento solo alla traccia gps che devono scaricare sui propri dispositivi.  Limitate al massimo sono anche le basi vita: sono appena i tre punti in cui sarà possibile trovare la sacca con il proprio materiale di scorta. Tutto il resto si porta sulle spalle.

Zero comfort e via a correre, quindi. Anzi, a camminare, perché anche i più veloci sono costretti a coprire la maggior parte della gara al passo. Non c’è nulla di invitante, a prima vista. Eppure chi l’ha disputato ne conserva un ricordo fatto di magia e sensazioni estreme. Incancellabile.

Come è accaduto a Guendalina Sibona, una delle pochissime donne (otto in tutto) che fino a oggi hanno concluso la gara. Al Tor des Glaciers Guendalina ha anche dedicato il libro Un passo in più (Ed. Solferino), uscito all’inizio dell’estate.

Perché, nonostante le difficoltà Il Tor des Glaciers è così amato da chi l’ha disputato?

Non è paragonabile con nient’altro. Ti dimentichi subito che stai facendo una gara. Il percorso lunghissimo e il numero limitato di concorrenti fanno sì che tu rimanga per tante ore da solo. Tu e la montagna, tu e il tuo passo, tu e le tue fatiche e i tuoi pensieri. Allo stesso tempo sei consapevole di essere in qualche modo monitorato dall’organizzazione e questo dà un po’ di sicurezza in più. Il percorso poi si snoda su sentieri poco frequentati, lontano dai rifugi anche gli escursionisti di passaggio sono rari.

Cosa deve avere chi parte per questa gara?

L’aspetto più importante è che occorre sapere stare in montagna, quindi essere autonomi e in grado di gestire ogni situazione. Quando incappi in una bufera, magari di notte e dopo tanti giorni che sei in giro, devi sapere come comportarti. Lo stesso quando ti assale una crisi, e succede di frequente. In quel caso non devi perdere la fiducia in te stesso, devi ripeterti che tanto passerà. E non devi perdere la lucidità, messa a dura prova anche dalle pochissime ore di sonno che ti puoi concedere, pena rischiare di compiere scelte sbagliate.

C’è solidarietà tra i concorrenti?

Sì. Anche se arriviamo da tutto il mondo abbiamo tutti la stessa mentalità: prima l’aiuto reciproco, poi la gara. Non si abbandona nessuno in difficoltà, si fanno spesso dei tratti insieme per sostenere chi in quel momento è troppo stanco e lo si accompagna fino al successivo rifugio o luogo sicuro. Il camminare insieme aiuta molto, si condivide la fatica e i chilometri passano più in fretta.

Quali sono i momenti della gara che ti sono rimasti più impressi?

Certamente il Passage du Grand Neyron sopra la Valsavarenche. E’ un settore tecnico, mi sono trovata nel mio nonostante che in quel tratto stessi soffrendo per la quota elevata. Niente di esagerato eh, ma dovere appoggiare le mani sulla roccia mi ha fatto stare bene sia salendo verso lo scollinamento che nella discesa (attrezzata) successiva. Bellissimo anche il passaggio alla Bettolina, tra la Valle del Lys e la Val d’Ayas con da un versante nebbia fitta e dall’altro i profili dei quattromila in pieno sole. Poi, sarò strana, sapevo che mi attendeva una lunga discesa su pietraia, roba che a me piace. Infine la bufera dell’ultima notte: neve, freddo, difficoltà di ogni genere accresciute da uno stato fisico che risentiva delle 150 e passa ore già trascorse sui sentieri. Ero con Marco, il mio compagno con cui ho condiviso buona parte della gara, mi sono sempre sentita al sicuro. Ma non è stato facile.

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