Meridiani Montagne

Verso i cieli dell’Oberland

Testo di Umberto Isman, tratto dal numero di Meridiani Montagne “Jungfrau e Oberland Bernese”

Sono otto le cime di 4000 metri che si innalzano attorno al Ghiacciaio dell’Aletsch, ancora oggi il più vasto delle Alpi (18 km di lunghezza, 80 km² di superficie, 800 metri di spessore massimo). Tra queste, il Finsteraarhorn (4274 m), la più alta del gruppo, e la Jungfrau (4158 m), la più famosa. Un luogo di eccezionale bellezza (nel 2001 la regione Jungfrau-Aletsch-Bietschhorn è stata la prima area alpina a diventare Patrimonio naturale dell’Unesco) che ha attirato l’attenzione degli scialpinisti fin dall’esordio della disciplina. Era il gennaio 1897, infatti, quando Wilhelm Paulcke, geologo e alpinista tedesco, portò a termine la prima traversata invernale dell’Oberland, con alcuni amici e un paio di portatori. Il gruppo tentò anche la salita del Finsteraarhorn e della Jungfrau, ma venne respinto dal maltempo. A firmare la prima scialpinistica del Finsteraarhorn (e del Mönch) fu, nel novembre 1901, un gruppo guidato dal geologo e scrittore tedesco Henry William Hoek. Gli svizzeri si affacciarono sulla scena dell’alpinismo invernale tre anni più tardi, nel 1904, con Gustav Hasler, cofondatore della sezione di Grindelwald del Cas, che assieme ai fratelli Amatter compì la prima invernale dell’Aletschhorn, salendo dall’impressionante versante nord. Ancora non c’era il treno dello Jungfraujoch: il gruppo partì il 24 gennaio da Grindelwald, con destinazione la Berglihütte, affrontando i 2300 metri di dislivello carichi di viveri e legna da ardere. Da lì il 26, con grandi rischi e difficoltà, raggiunsero la cima, per rientrare a notte fonda alla Konkordiahütte e scendere a Fiesch il giorno seguente.

Dal Mönch alla Konkordiahütte

L’apertura, nel 1912, della Jungfraubahn cambiò le regole del gioco. Ancora oggi le ferrovie storiche raggiungono alcuni degli angoli più sperduti delle montagne elvetiche, e il binomio ferrovia-scialpinismo permette, soprattutto qui, tra Oberland e Vallese, di progettare ascensioni e traversate agevoli ed entusiasmanti. E proprio a bordo di un treno, da Briga attraverso Interlaken e Grindelwald, comincia il nostro viaggio invernale. Siamo una comitiva piccola e ben assortita: insieme a me, ci sono Nadine Grossnicklaus, giovane promessa dell’alpinismo locale, Andrea Peron, ex campione di ciclismo, e Denis Trento, guida alpina, atleta scialpinista e sciatore estremo.

La nostra avventura inizia allo Jungfraujoch (3454 m), da dove vogliamo intraprendere la traversata dalla cresta sudest del Mönch, seguendo la via Normale alla cima. Sci ai piedi, dalla stazione ci spostiamo alla base della cresta. Quando, il 15 agosto 1857, Christian Almer scalò il Mönch per la prima volta, con Christian Kaufmann, Ulrich Kaufmann e Sigismund Porges, le condizioni della montagna erano certamente diverse, e anche solo pochi anni fa, fino a primavera inoltrata la cresta era quasi interamente nevosa. A noi, invece, tocca superare alcuni tratti di roccia che la rendono più delicata. Valutate le condizioni, decidiamo di lasciare gli sci e proseguire a piedi, rinunciando alla ripida sciata lungo la parete sud (tra i 45 e i 50 gradi). Ma anche così non mancano i brividi alpinistici: l’ultimo tratto di cresta, prima della cima, è una lama di rasoio nel cuore dell’Oberland.

Ridiscesi e recuperati gli sci, raggiungiamo la Mönchsjochhütte, rifugio costruito nel 1978 in sostituzione dell’albergo-ristorante che si trovava all’interno della stazione dello Jungfraujoch, distrutto da un incendio nel 1972. I 45 minuti necessari per raggiungerlo, specie in inverno, lo rendono a tutti gli effetti un rifugio alpino, il più alto della Svizzera, a 3657 metri.

Una piazza parigina tra i ghiacciai

La nostra meta è ora il Louwihorn (3776 m), facile cima a sud della Jungfrau. Dal rifugio, attraversiamo la parte alta dello Jungfraufirn, fino ad arrivare alla base del Louwihorn, per poi raggiungerne la vetta. Scesi alla sottostante sella del Louwitor (3658 m), attraverso la colata di ghiaccio del Kranzbergfirn, arriviamo a posare gli sci sul Grosser Aletschfirn, uno dei ghiacciai che confluiscono nella grande piana della Konkordiaplatz. Chiamata come una celebre piazza parigina, è così grande che potrebbe contenere la città di Siena. Attraversiamo la Konkordiaplatz da ovest a est, e raggiungiamo la base dello sperone roccioso in cima al quale si trova la Konkordiahütte (2850 m). Il rifugio, il primo di questa zona, fu costruito nel 1877, in sostituzione di un piccolo capanno di caccia. Quello che adesso è il corpo principale, invece, fu realizzato nel 1898. La posizione fu scelta in base alla conformazione del terreno, ma nessuno poteva allora prevedere l’attuale cambiamento climatico. Così, quelli che all’inizio erano “solo” una cinquantina di metri di dislivello tra il rifugio e il ghiacciaio, oggi sono diventati duecento. Li supera un’ardita scala metallica, che ha sostituito le vecchie scale in legno. Depositiamo sci, bastoni e materiale alpinistico dietro a un masso, e la affrontiamo con il passo pesante di chi non si aspettava questa ulteriore fatica. Finalmente al rifugio, ci prendiamo il tempo per osservare l’immensa piana della Konkordiaplatz, dalla quale si stacca la lunga lingua ghiacciata dell’Aletschgletscher che, piegando a sud, prosegue verso valle per quasi venti chilometri. La neve ricopre le singolari linee parallele delle due morene mediane che lo caratterizzano in estate.

La lunga discesa verso la Lötschental

La mattina seguente, terzo e ultimo giorno della nostra traversata, ci dirigiamo sci ai piedi verso il Lötschenlücke (3153 m), valico oltre il quale comincia la lunga discesa della Lötschental. Procediamo in fila indiana su un terreno apparentemente uniforme e privo di insidie ma, per sicurezza, preferiamo legarci e muoverci distanziati. La pendenza è minima, di tanto in tanto lo sguardo si alza verso il punto di arrivo, e la distanza sembra non diminuire mai. Finalmente raggiungiamo la nostra meta. Il valico è sovrastato da un altro rifugio, l’Hollandiahütte (3238 m), un vero nido d’aquila affacciato su un alto gradino roccioso. Ce lo lasciamo alle spalle e caliamo direttamente nel Vallese lungo una discesa che pare eterna: una dozzina di chilometri e 1600 metri di dislivello, fino a Fafleralp e poi, lungo la strada, a Blatten, il comune più alto (1540 m) della Lötschental. Da qui ancora qualche chilometro da coprire con l’efficiente rete di mezzi pubblici, e ci ritroviamo a Goppenstein, stazione d’ingresso del vecchio traforo ferroviario del Lötschberg, inaugurato nel 1913. È quest’altra importante ferrovia storica che ci riporta a Briga, per chiudere ad anello un’avventura di treni e di neve che forse solo in Svizzera si può vivere.

Altri approfondimenti sul numero 120 di Meridiani Montagne “Jungfrau e Oberland Bernese”.

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