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Meridiani Montagne in edicola con il numero dedicato a tre superbe vallate del Canton Ticino, in Svizzera

Il numero 127 della rivista accompagna i lettori alla scoperta delle valli Maggia, Verzasca e Bavona, gioielli poco noti appena oltre il confine

La montagna vera, senza mediazioni. Quella del lavoro e della natura, delle grandi pareti da scalare e dei villaggi scarsamente popolati ma tenacemente attaccati a tradizioni di cui vanno orgogliosi. E che perpetuano senza esitazioni. E’ una montagna svizzera diversa da quella alla quale siamo abituati, certo. Ma più accessibile, a misura d’uomo. In queste vallate appena a nord del Lago Maggiore è frequente fermarsi a scambiare quattro chiacchiere (in italiano, tra l’altro) con le persone che si incontrano per vicoli o sentieri. Non c’è fretta, l’ospite è benvenuto, non falsamente riverito. Non servono salamelecchi di volta in volta professionali o ipocriti. Qui è tutto vero.

A introdurre il numero 127 di Meridiani Montagne è il direttore Paolo Paci

Una magnifica illusione

Il dilemma era: arrampicata o bagno nel torrente? Abbiamo trascorso più di un pomeriggio in Val Verzasca o in Valle Maggia, incerti tra le due (non spiacevoli) alternative. C’era in verità una terza via, perfino più sibaritica: il crotto (che i ticinesi pronunciano con la “g”), dove la pietra era quella dei tavolacci all’aperto, all’ombra dei tigli, e l’acqua si trasformava miracolosamente in vino, il liquore nero e aspro dei vigneti ticinesi. Era, ed è rimasto, un campo di giochi infiniti, quello che si apre a nord di Locarno, facile da raggiungere, un mondo di solide placconate che sorgono dai castagneti, lassù le big wall da sognare, e sparsi nel bosco tanti massi, ognuno con il suo enigma da risolvere.

Era bello. Una magnifica illusione. Sì, perché ciò che non sapevamo, noi ragazzi di città, era l’estrema povertà materiale di quei luoghi. Il destino di emigrazione a cui per secoli si erano assoggettate le locali popolazioni di contadini e pastori, tanto bene e terribilmente descritto nei romanzi di Plinio Martini. Non sapevamo nulla delle transumanze, del lavoro nelle cave, delle dighe che producono ricchezza per la pianura e nulla lasciano alla montagna (come ancora oggi in Val Bavona). Paradossalmente, quella povertà, ha conservato le valli nella loro integrità. Ci restituisce un paesaggio e una cultura di valore inestimabile. Le straordinarie architetture walser, con i tetti di lose pesanti, le cascate fragorose, le scalinate nella roccia per raggiungere gli alpeggi più impervi, perfino un ghiacciaio, il Basòdino, che ancora per qualche anno rischiarerà l’alta quota.

Oggi continuiamo a divertirci su rocce e sentieri, e sorridiamo per l’affollarsi di bagnanti nelle acque cristalline della Verzasca (Maldive a due passi dalla Lombardia, le chiamano). Ma con un nuovo sguardo. Consapevoli che la montagna non è solo un parco giochi. E che quando torniamo a casa, dopo le nostre avventure, lassù restano i custodi delle valli, a immaginare il futuro.

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