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Filip Babicz racconta il suo Grand Capucin in 49 minuti

Quest’anno, nel cuore del Monte Bianco, l’autunno è arrivato all’improvviso. Il 24 settembre, il secondo giorno della nuova stagione, la neve ha imbiancato le magnifiche guglie di granito ai piedi del Mont Blanc du Tacul. Il giorno precedente, che ha segnato l’inizio dell’autunno, il tempo e le condizioni erano assolutamente perfetti.
A mezzogiorno in punto Filip Babicz, campione di speed climbing nato quarant’anni fa a Zakopane, atleta militare con la doppia cittadinanza italiana e polacca, ha attaccato le rocce del Grand Capucin, teatro in passato degli exploit di Walter Bonatti, Jean-Marc Boivin, Michel Piola e decine di altri alpinisti famosi. Quando è arrivato sui 3838 metri della cima, dopo 570 metri di scalata con difficoltà fino al 6b, erano passati solo 49 minuti. 

Babicz, che dal 2003 vive a Courmayeur, ha già alle spalle numerosi record di velocità. Ad agosto del 2020, sulla cresta Sud dell’Aiguille Noire, ha fatto fermare il cronometro su un’ora, 30 minuti e 14 secondi. Quaranta giorni prima aveva percorso da solo, in 17 ore e aggiungendo due vette al percorso storico, l’“Integralissima” di Peutérey, dal fondo della Val Vény ai 4810 metri del Monte Bianco. Nell’estate del 2021, nelle Alpi centrali, ha salito lo spigolo Nord del Piz Badile, in 42 minuti e 52 secondi.

Filip Babicz, perché il Grand Capucin? Perché una solitaria veloce della Via degli Svizzeri con uscita su O Sole Mio? 

Per me questa è stata un’estate complicata. Sono partito per una spedizione in Perù, ma mi sono ammalato e sono dovuto tornare a casa. Poi ho iniziato a preparare un altro record sul Piz Badile, ma dei problemi personali mi hanno costretto ad abbandonare anche questo progetto. Allora ho pensato alla Via degli Svizzeri al Capucin, che avevo salito per la prima volta a maggio di quest’anno.

Quanto tempo hai impiegato per preparare il tuo record?

Circa un mese. Ho iniziato a prepararmi il 20 agosto, e da allora sono tornato sul Grand Capucin per sei volte, tre in cordata e tre in solitaria. Per chi pratica lo speed climbing è importante non solo memorizzare i passaggi, ma trovare e imparare le traiettorie più veloci. Nell’ultimo sopralluogo prima del record ho anche tolto un po’ di neve dalle cenge, per salire veloce e in sicurezza. 

Il 23 settembre, giorno del record, sei salito interamente in libera?     

No, io seguo la regola di Alex Honnold, secondo cui nello speed climbing “decide il tempo, non lo stile”. Se tirare un rinvio o una catena mi fa andare più velocemente lo faccio. 

Secondo le guide, la Via degli Svizzeri misura 350 metri. Tu, sulla tua pagina Facebook, hai scritto di averne percorsi 570. Mi puoi spiegare? 

Certo. L’attacco tradizionale della Via degli Svizzeri, quello della prima ascensione del 1956, inizia salendo il Couloir des Aiguillettes, un ripido canalone di neve. Quest’anno cadevano sassi, il canalone era troppo pericoloso, e ho attaccato nel punto più basso delle rocce. Ho iniziato sull’attacco diretto della Via Bonatti, alla fine ho seguito O Sole Mio, aperta nel 1984 da Piola e Pierre-Alain Steiner. Sono sceso in doppia sul percorso di salita, in 50 minuti.

Che segni ha lasciato sul Grand Capucin l’estate bollente che si è appena conclusa?

A settembre, a causa del caldo estivo, il ghiacciaio si era abbassato di 30 metri rispetto a maggio. E’ venuto allo scoperto un nuovo tiro di corda, con difficoltà fino al 6a.

Sulla Sud della Noire avevi arrampicato leggerissimo. Cos’hai portato stavolta?

Qualcosa in più: due rinvii, un friend, una longe, un discensore ultraleggero. Più un cordino di kevlar, per scendere in doppia. 

Esisteva già un record di velocità sulla Via degli Svizzeri? 

Sì, del bavarese Alex Huber, che nel 2008 ha impiegato 59 minuti. Ma lui Ma lui è partito dal Couloir des Aiguillettes, percorrendo 350 metri. 

Come fai a essere sicuro del tuo tempo? E chi ha assistito al tuo exploit?

Avevo con me due cronometri. Sono partito a mezzogiorno in punto, per facilitare eventuali calcoli manuali. All’attacco c’erano Vittorio Maggioni di Cantabris, che ha realizzato le riprese, e Michela Patriarca. Corrado Gottier, una guida del Gran Paradiso che era con un cliente sull’Aiguille d’Entrèves, mi ha raccontato di avermi visto attaccare. Nel pomeriggio, quando abbiamo brindato al rifugio Torino, ha confessato di non avermi più visto, perché guardava troppo in basso.

Quanto tempo pensavi di impiegare? Sulla Cresta Sud della Noire pensavi di metterci di più, e invece sei salito in un’ora e mezza. 

E’ successo anche sul Grand Capucin. Puntavo a salire impiegando tra un’ora e un’ora e mezza, il mio sogno era di stare sotto l’ora. Se qualcuno avesse parlato di un tempo sotto ai 50 minuti lo avrei preso per pazzo. Invece…

Invece è accaduto di nuovo. Nelle tue solitarie da record, quando prendi il ritmo giusto, vai più veloce di quello che tu stesso hai previsto. 

E’ vero! E’ successo così anche sul Grand Capucin.

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