Sci alpinismo

Dall’idea alla gara, cosa c’è dietro a una competizione internazionale. Ce lo racconta Camandona

Pacchi gara pronti al ritiro, percorso tracciato, accoglienza, stampa, mostre fotografiche, concorsi e altre attività collaterali. Quando capiti nel village di un evento outdoor tutto sembra “facile”. Facile da organizzare, facile da gestire. Ma la realtà è ben diversa. Dietro ci sono mesi, se non anni, di lavoro. Ci sono problemi da risolvere, stress, un’organizzazione maniacale che spesso porta via tempo prezioso alle cose della vita. “Lo fai per passione, per il tuo paese. Per il territorio, piccolo e poco conosciuto, ma che ha tanto da offrire” ci racconta Barbara Luboz, uno dei cuori pulsanti che si nasconde dietro l’organizzazione del celebre Millet Tour du Rutor Extrême che si terrà i prossimi 31 marzo, 1 e 2 aprile.

Giunta alla sua ventesima edizione la manifestazione, gara su lunga distanza per eccellenza, è pronta a tornare dopo il lungo stop imposto dalla pandemia da Coronavirus. La macchina organizzativa ha i motori a regime e il direttore tecnico Marco Camandona ha già indossato gli sci per valutare le condizioni del percorso di gara. Grazie alla sua testimonianza e a quella di Barbara siamo andati alla scoperta del mondo che si cela dietro tre giorni di un evento di caratura internazionale.

Marco, com’è iniziato tutto?

“Da 4 amici a cui si sono uniti nel tempo altri appassionati di sci alpinismo. Abbiamo messo in piedi un primo evento, quella che oggi è l’ultima tappa del Tour. Per farlo ci siamo ispirati a una storica competizione che si è svolta sul Rutor nel 1933. All’inizio non è stato facile, lo sci alpinismo era diverso. Nessuno pensava alle Olimpiadi al tempo e in pochi immaginavano i grandi eventi. Anche le attrezzature erano diverse. Pian piano poi tutto è cambiato. Le attrezzature si sono fatte specifiche e con loro anche noi siamo andati evolvendoci. La gara è cresciuta, prima due giorni, ora tre. Tutte a quote mediamente alte, dove serve un’attenta valutazione tecnica e di gestione dell’alta montagna.”

Barbara, quando si inizia a lavorare su un’edizione del Tour du Rutor?

“Almeno un anno e mezzo prima. Finita un’edizione lasciamo passare i mesi estivi poi, in autunno, si riparte. Dietro ci sono tante ore di lavoro. Bisogna cercare sponsor, preparare dossier di presentazione, tradurli, prendere contatti, fare riunioni. Star dietro alle domande per i contributi pubblici. Dietro alla gara c’è moltissima burocrazia.”

Serve anche molta inventiva…

“Si, per rendere l’evento sempre originale. Noi siamo bravi nell’ideare eventi collaterali alla competizione. Ormai siamo alla quinta edizione del mountain village, dov’è possibile confrontarsi con le aziende e scoprire i loro prodotti. Abbiamo poi una collaborazione con i fisioterapisti dell’università di Torino attraverso cui offriamo un servizio aggiuntivo agli atleti e un’occasione formativa agli studenti. Dall’edizione 2018 è attivo un concorso fotografico e da ultimo, ma non per importanza, sosteniamo due associazioni: Sanonani Onlus, che cerca di offrire un futuro ai bambini in Nepal, e Parent Project, un’associazione di pazienti e genitori con figli affetti da distrofia muscolare di Duchenne e Becker.”

Quante persone ci sono dietro al Tour?

“7 persone impegnate tutto l’anno e circa 250-300 volontari durante l’evento. Chi organizza vive il mese precedente dedicando l’80 percento della sua giornata, festivi compresi, alla gara.”

Marco, i volontari come vengono reclutati?

“Arrivano grazie al passaparola, o attraverso conoscenze comuni. Ma chi partecipa non lo fa solo per il nome del Tour du Rutor o dello sci club. Lo fa perché si sente parte di una grande famiglia piena di entusiasmo. Solo così nascono belle storie.”

Una famiglia che racchiude anche tanti campioni…

“Dagli anni Novanta a oggi siamo riusciti a fare qualcosa di bello, a partire dagli allenatori dello sci club che sono atleti di alto livello e fanno una formazione che non è solo sci alpinismo, ma di montagna. Negli anni abbiamo visto nascere atleti di grande spessore e guide alpine. Ragazzi che crescendo sono diventati parte dei volontari del Tour a cui offrono le loro competenze come guide o tracciatori.”

Che tipo di lavoro è quello dei tracciatori?

“Tutto parte da un’ottima conoscenza del territorio e dai diversi sopralluoghi che si svolgono durante la stagione. I tracciatori del Tour sono 18, divisi in tre squadre. Ognuna ha un capo tracciatore che insieme a me svolge i sopralluoghi. Durante questi valutiamo più volte le condizioni e la sicurezza del terreno.”

Quando poi arriva la gara cosa fanno?

“Loro non la vedono, perché si traccia sempre il giorno prima per il giorno dopo. Quando poi ci sono giornate di brutto tempo si traccia durante la notte per la mattina, poi riposano e il pomeriggio tornano a tracciare.”

Dietro ci deve essere un gran lavoro di formazione…

“Sia per loro che per tutto il personale medico e di soccorso che andrà a operare sul terreno. Tutti devono essere autonomi e saper praticare sci alpinismo. I tracciatori poi devono essere completamente autonomi e capaci di gestire le diverse situazioni che si potrebbero trovare a vivere in ambiente di alta montagna. Per tutti gli operatori sono previste giornate di formazione, utili ad acquisire tutte le nozioni necessarie al funzionamento della macchina.

Sopra a tutto vigila, in caso di incidente, il soccorso alpino.”

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