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Vita da volontario: cronaca di tre intensissimi giorni al Millet Tour du Rutor

Nessuna gara potrebbe svolgersi senza il supporto dei volontari. Il racconto in prima persona di una giornalista di montagna.tv, che ha prestato servizio alla grande competizione di skialp valdostana

“Due piumini basteranno? Mah, prendiamone un terzo che il TDR non scherza”. Per chi fa il volontario lungo il percorso di gara la sveglia suona ben prima di quella degli atleti: alle quattro e mezza si è in piedi a riempire lo zaino di vestiti caldi.

All’immancabile appuntamento del caffè mattutino si ritrovano visi noti seppure estranei per due anni. Ad ogni Millet Tour du Rutor ci si rincontra, si condividono fatiche e emozioni insieme e poi arrivederci alla prossima edizione. Un piccolo microcosmo che negli anni pari si ritrova sulle nevi della Valgrisenche per contribuire alla riuscita di una delle gare più spettacolari dello scialpinismo internazionale. Ecco allora il racconto in prima persona di un lungo fine settimana da volontaria sulle montagne della Valle d’Aosta.

Tappa 1 “Alé – hop”

Finalmente dopo anni di tentativi andati a vuoto il sogno di “Cama” (al secolo Marco Camandona, l’anima della manifestazione, n.d.r.) si avvera. Il maxi-tappone che da La Thuile sale sinuoso fino alla madonnina del Rutor è realtà. Aleggia l’emozione anche tra i piazzolisti, i tanti volontari che allestiscono le piazzole lungo il percorso e monitorano i cambi d’assetto degli atleti. Caffè delle sei meno dieci al bar di La Thuile che insieme alle risate di benvenuto di Cama fanno una bella combo adrenalinica. Poi tutti sulla funivia, perché ehi, la partenza da giù lasciamola agli atleti, se noi possiamo guadagnare qualche manciata di metri di dislivello ben venga!

Sulle piste arriva così una massa blu, come le divise Millet che indossiamo, che in poco tempo si appropria delle righine immacolate. Due curve ed è già tempo di mettere le pelli e guadagnare il percorso di gara. A questo punto, ogni gruppetto ha il proprio obiettivo. Chi si ferma dopo duecento metri al primo cambio pelli e chi invece, e si riconosce dall’espressione tesa, deve farsi oltre un millino per raggiungere le piazzole più in alto. Poi ci sono i volontari che hanno vinto alla lotteria, ovvero quelli che sono stati assegnati a piazzole talmente in alto da dover essere raggiunte in elicottero. Premio: un bel tour panoramico a bordo dell’Écureuil.

Enrico ed io, invece, siamo alla base del primo canale a piedi della tappa. I primi passano che quasi non te ne accorgi, quando arriva la pancia del gruppo invece è una festa. Tutine colorate che si affanno una in fila all’altra e che ogni tanto hanno anche il fiato per scambiare un “grazie” o un “ehi anche tu qui?”

Tappa 2 “Wind – chill”

A Valgrisa piove. Tour bagnato, Tour fortunato? Mah… Le pelli iniziano subito ad impastarsi con la neve pesante, carica di acqua. Mauro ed io saliamo lentamente, complice anche il fatto che lui la sera prima si è attardato in un terzo tempo con qualche altro volontario.

Agli alpeggi dell’Arp Vieille inizia il leit motiv della giornata: raffiche di vento violente ed è subito chiarito l’epiteto di “Extreme”. Per fortuna la nostra piazzola è pochi metri più in su ma dalle comunicazioni alla radio scopriamo che i “colleghi” alla Forclaz du Bré sono in una vera e propria bufera. La forza del vento ci stende a terra e ci toglie il respiro, in alto è impossibile muoversi. La riduzione della tappa è necessaria per non farsi male. La gara arriva fino a dove siamo noi, tutti quelli più in alto ci devono raggiungere. Nel white out iniziano a comparire le figure di volontari e spettatori.

Il vento continua ad essere insopportabile ma ora che siamo un gruppo nutrito la montagna sembra meno ostica. Le guide alpine si mettono al lavoro per scavare un’ampia truna nella neve e c’è chi tira fuori the e biscotti per scaldarsi. Il medico della gara, a sorpresa non ha solo paracetamolo e garze nello zaino, ma tira fuori pane e salame e inizia a distribuirne in giro. Lo spirito del Millet Tour du Rutor è rispettato: sofferenza, fatica, condizioni severe ma anche festa, condivisione, passione, tifo forsennato.

Tappa 3 “Andate piano!”

Temperatura percepita prevista in cima allo Château Blanc: -32  gradi con vento forte Nord-Ovest. Grazie, ma anche no. Anche oggi la tappa è accorciata ma sono tutti piuttosto sollevati di non dover passare la mattinata alla mercé degli elementi naturali. Si rimane a quote più basse ma bisogna comunque salire. Partiamo in silenzio, incolonnati, insieme ai tantissimi spettatori intenzionati a arrivare in cima prima degli atleti per godersi lo spettacolo. Il percorso è imperlato di neve fresca, l’atmosfera è grandiosa. È un giorno di festa. Tra di noi ci scambiamo sorrisi e sorsate di the bollente. In men che non si dica le squadre sono in cima alla prima salita. In discesa vanno come dei missili ma la parte bassa del percorso è bella ghiacciata e i volontari sono chiamati a fare i vigili urbani per un giorno. “Piano! Piano!” chi si sbraccia, chi sventola bandierine. Qualche incidente c’è lo stesso, qualcuno si fa male, qualcun altro perde gli sci ma fa parte del gioco.

Tappa “Siamo una squadra fortissimi!”

Mentre noi piazzolisti saliamo e scendiamo sulle montagne valdostane, al campo base c’è un esercito silenzioso che fa un lavoro grandioso. Chi prepara da mangiare, chi rifocilla gli atleti all’arrivo, chi allestisce il parterre, chi segue la logistica o porge tazze fumanti agli sportivi infreddoliti. Tutti insieme i volontari del TDR formano un piccolo alveare di operosità ed efficienza. C’è chi si è fatto tutte le edizioni senza aver mai messo degli sci d’alpinismo ai piedi, a ricordare che le manifestazioni sportive vanno aldilà del gesto agonistico in sé. Sono spettacolo puro, adrenalina, emozione. Anche con i piedi a terra, dietro al tavolo di un rifornimento.

Tappa “Hors Catégorie” – I tracciatori

Dietro a tutto questo però, c’è una categoria di volontari che si fa davvero il c..uore a mille. I tracciatori. Instancabili mangia-neve pennellano i pendii del Rutor con tracce pulite e precise, da far invidia a uno studio di geometri. Già nelle settimane precedenti alla gara, iniziano a scandagliare ogni percorso. Montano i bivacchi di emergenza, preparano le bandierine rosse e verdi. Quando inizia la gara, loro stanno già tracciando la tappa del giorno dopo con passo assiduo e zelante. Insomma, si fanno un Tour du Rutor ma senza pettorale e senza tifo. L’unica situazione in cui sono davvero protagonisti e la festa finale della domenica. Lì, non hanno più bisogno di nessuna bandierina a scacchi per attirare l’attenzione!

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